lunedì 31 marzo 2014

Vocokesh - Smile And Point At The Mountain (1995)

Lo psych-master americano Franecki, dopo aver abbandonato la navicella F / i, varò il progetto Vocokesh continuando la sua missione lisergica. In fondo i presupposti erano gli stessi, ma le esagerazioni soltanto un po' mediate dal fatto che l'esuberanza giovanile dei F/i era passata ed il chitarrista cercava nuove vie.
In tal senso Smile ci riusciva; 8 tracce tutte senza titolo, col consiglio di ascoltare il cd in modalità shuffle ben evidenziato nelle note interne, di cui 2 che oltrepassano il quarto d'ora di durata (5 una evoluzione indianeggiante di Ummagumma, 3 uno stordimento che li fa sembrare come dei Dead C liquefatti), che passano fra distorsioni galattiche, fasi ambient, metronomie tedesche ed elettronica analogica compiendo l'impresa di non stancare praticamente mai nonostante la lunghezza.
In fondo si tratta solo di sorridere e scrutare la montagna sacra della psichedelia. Bellissimo.

domenica 30 marzo 2014

Vladislav Delay - Anima (2001)

Un'ora e 2 minuti di flusso unico, ininterrotto, basato su 3 accordi di tastiera, attorno a cui gira un mondo intero di glitches, bleeps, percussioni smorzate e digitalismi assortiti.
Non sono mai stato un grande fan di queste sonorità, devo essere sincero; dev'essere per questo se fatico a cogliere il lirismo e l'intensità emotiva del disco. E non è certo per la ripetitività di quest'ora, altrimenti non sarei grande fan di Basinski, ad esempio, per non fare tanti altri nomi. Sarà perchè il vero godimento di Anima forse sta nel cogliere le progressioni o i giochi ad incastro degli effetti elettronici. Boh, io non l'ho capito.

sabato 29 marzo 2014

Vidna Obmana - The Spiritual Bonding (1994)

Il belga Serries è un'elemento importante della scuola europea post-industriale, in quanto ambient-master dalla carriera ormai trentennale, anche se negli ultimi 10 anni ha cambiato nome al progetto. L'intestazione Vidna Obmana in questo capitolo sembra un po' stretta; il materiale era farina del suo sacco ma Steve Roach posa la sua lunga mano sul lavoro occupandosi della produzione e del missaggio, in modo che le sonorità siano praticamente uguali ai suoi lavori degli anni precedenti.
Ma non voglio togliere meriti a Serries; tutt'alpiù si potrebbe definire The spiritual bonding una valida alternativa dark alla new-age del californiano, di cui mutua i tintinii percussivi ed il freddo retrogusto world dei timbri. In sostanza però, sempre di dark ambient si tratta che sosta in un guado; siamo sì in una grotta ma a poca distanza c'è l'uscita ed il suono di un flauto arriva trasportato dal vento. Un bel viaggio, ma in categoria i campioni erano altri.

venerdì 28 marzo 2014

Vibracathedral Orchestra - Dabbling With Gravity And Who You Are (2002)

Collettivo inglese dedito ad un orgiastico free-form-raga che discende dai minimalisti degli anni '60 e dalla psichedelia più antica.
Il loro è un baccanale di una testardaggine infinita che fa pensare ad un trip furioso per le strade di Bombay o durante una rissa al mercato sulle rive del Gange. Sulle prime il fascino è indiscutibile, ma l'aspetto mistico viene lasciato in un angolino e l'orchestra si fa prendere la mano, così diventa una gara a chi si vuol far sentire di più tra gli strumenti.
Insomma, il concetto stravince sull'organizzazione e ciò non è sinonimo di funzionamento generale. Il disco è abbastanza pesantuccio, nel complesso.

giovedì 27 marzo 2014

Verve - A Storm in heaven (1993)

Dopo i primi, promettenti singoli, i Verve presero piena confidenza dei loro mezzi e sfornarono un ambizioso disco di debutto, che non possedeva ancora il piglio pop che li avrebbe resi famosi al mondo nel giro di pochi anni, ma che evidenziava un gusto psichedelico refrattario al revival bello e buono.
Merito anche del songwriting e di Ashcroft, uscito un po' dai fumi lisergici e più presente nell'economia del risultato finale. Il periodo storico era di quelli di transizione estetica: grunge e shoegaze erano al massimo della fama mondiale, poco prima del declino artistico. Il brit-pop era in stato embrionale ed i Verve se ne stavano in una bolla tutta loro; il chitarrista McCabe, funzionale e molto espressivo, faceva ondeggiare il suono con i riverbero a palla e poche distorsioni, il tutto esclusivamente al servizio della canzone. Giusto qualche vago ricordo degli Echo & The Bunnymen in qua e in là.
Slide Away, Already there, Beautiful mind, Virtual World sono le migliori. Io li ricordo per questo, non per Bittersweet symphony.

mercoledì 26 marzo 2014

Vaz - The Lie That Matches The Furniture (2005)

I modi brutali dei mitici Hammerhead sono stati perpetrati dai Vaz, che da quel trio ereditava sezione ritmica e dinamiche. Così Erickson (basso e chitarra) e Mooridian (batteria), migrando da una costa all'altra degli Stati Uniti hanno cercato di modernizzarsi: non più voce spella-cordevocali ma canto modulato freddo e distaccato, non più muraglie impenetrabili di rumore bianco ma aperture a soluzioni di un ventaglio più ampio. Questo è stato il loro terzo album, con un chitarrista aggiunto in formazione: la novità saliente è l'utilizzo di 5-6 brevi intermezzi strumentali che stridono nettamente con il blocco dei pezzi diciamo normali: ci sono intermezzi stranianti per organo, vibrafono, droni raggelanti, synth ed una gag finale. E sono importanti nell'economia del disco, che in sostanza è un aggiornamento del noise-rock ai giorni nostri con una dose massiccia di drammaturgia emotiva (se non apocalittica) ed un drumming trascinante che si porta via tutto come un treno. Pezzo di punta l'iniziale The past is past, con inaspettata folata di mellotron nel finale, a lottare con il chitarrone.

martedì 25 marzo 2014

Vas Deferens Organization - Zyzzybaloubah (1997)

Per quest'occasione la VDO includeva come ospiti, accreditati come membri della confraternita e non co-titolari del progetto, il tastierista Doug Ferguson ed il chitarrista Jim Edgerton, protagonisti della scena freak texana. La loro impronta finisce per rendere Zyzzybaloubah il disco più acido della discografia, con marcature strette sullo space-rock e sui corrieri cosmici tedeschi degli anni '70.
Ferguson dilaga a destra a manca con ogni sorta di synth e moog facendo più casino possibile, Edgerton viene utilizzato con parsimonia ma denota una tecnica di derivazione hendrixiana che rende l'operazione molto vintagistica. Ma è sempre l'assemblaggio che rappresenta il valore aggiunto, in casa VDO, e non mancano mai le sorprese: basti citare Futura Perspective, un imponente monolite di 14 minuti con basso possente che ricorda, fin dal titolo, la De Futura dei Magma.

domenica 23 marzo 2014

The Necks Live In Melting Box, Rimini, sabato 22-03

(la location di giorno)
(la location in notturna)
(prima del live)
Nell'avveniristica situazione del Melting Box, situato alla periferia di Rimini, ieri sera si è tenuto un piccolo grande avvenimento culturale. Grazie all'operato del simpatico Matteo, gestore di un bar riminese e curiosa controfigura di Frank Zappa, il trio australiano fuoriclasse dei Necks ha tenuto un concerto per pochi intimi (saremo stati neanche una quarantina), seduti sul pavimento a pochi centimetri dagli stessi. Osservare i maestri in azione e subirne l'impro-opera in una situazione così diretta (quasi intima, direi) per me è stata un esperienza di enorme intensità.
Prima di tutto, la location. Una specie di hangar in lamiera grecata esterna con la parete che dà sul giardino inclinata di 45° verso l'esterno, di proprietà di uno studio di architettura. Luogo che non sembra proprio avvezzo ad ospitare concerti, da qui la quasi necessità di sedersi sul duro pavimento, ma dal fascino indiscutibile.
Intorno alle 22.30 F.M. Palumbo dei Larsen, il loro agente nazionale, annuncia l'inizio del live, diviso in due tronconi di un ora separati da una breve pausa. I tre, con fare rilassato e sornione, prendono posizione.
Le dinamiche interne sembrano elementari quanto misteriose. Tutto parte da una frase di pochissime note di Swanton al contrabbasso, dopo un paio di minuti Abrahams inizia a sgocciolare qualche nota al piano, con parsimonia. L'ultimo ad entrare è Buck, che secondo me è stato l'elemento più interessante da osservare: il suo stile alla batteria è unico ed inclassificabile.
Come un motore che necessita di scaldarsi a dovere, l'alchimia dei Necks ha bisogno di carburare con pazienza ed estrema concentrazione. In tal senso, la seconda ora è stata letteralmente fenomenale.
Nel momento a mio avviso più memorabile della performance, visibile nel 4° video fra i sottostanti, Abrahams stava compiendo giochi di prestigio sulle note più alte della tastiera con una gragnuola di note impenetrabili, prima di entrare nel tunnel minimalistico con l'uso massiccio del pedale destro. Swanton distillava note profonde prima di estrarre l'archetto e creare un muro di suono dronico che riempiva tutto l'hangar. Buck posizionava un piattino sul tom alto, prendeva in mano una di quelle racchettine con le palline all'estremità di laccetti e la faceva ruotare fra il rullante e il tom stesso, generando colpi random delle palline che battevano sul piattino o sul rullante o sulla pelle del tom o sui ferri di circonferenza. Prima di prendere le bacchette e farle battere come ali di calabrone sul ride per svariati minuti.
Questi sono solo esempi dell'immensa maestria degli australiani, capaci di ipnotizzarci per due ore senza che ce ne accorgessimo. So che dovrebbero tornare nel prossimo autunno, anche se non ci sono date prenotate al momento; spero di rivederli ardentemente.

Vas Deferens Organization & Christopher - Miasmata (1996)

Altro lavoro mirabile a mio avviso, anche se normalmente viene citato come episodio minore. Tal Christopher Moock, collaboratore in due circostanze della VDO, in Miasmata era il principale responsabile delle musiche che venivano drasticamente rielaborate dai due matti.
Tre tracce rigorosamente senza titolo, tre schiaffi in faccia a tutta la scena psych-weird-impro degli anni 2000. Le principali fonti di ispirazione qui sembrano essere Faust (le fosche ambientazioni con basso e batteria ben presenti, il frastuono infernale dei synth, le allucinazioni ludiche nella prima traccia), i Magma (la drammatica tensione della seconda, con l'aggiunta di un free-sax orrendemente deturpato) ed i Nurse With Wound (i taglia e cuci della terza). Ma per carità, si prendano queste pietre soltanto come utilities per dare un idea remota di ciò che la VDO era in grado di realizzare; un assurda, ribollente e labirintica produzione dei suoni più bizzarri possibili, il nonsense vs. la cognizione musicale più coraggiosa.

sabato 22 marzo 2014

Vas Deferens Organization & Brad Laner - Transcontinental Conspiracy (1996)

Una delle mie più sconvolgenti scoperte degli ultimi 2-3 anni è stata la VDO, di base un duo di matti (Matt Castille ed Eric Lumbleau) stabilitisi a Dallas a metà anni '90, aiutato da una serie di collaboratori più o meno saltuari ed autore in pochi anni di una serie serrata di lavori impressionanti che hanno elevato la freakitudine ad un arte superiore, un po' come fecero certi giganti fra i 60 e i 70.
Verso i quali, onesti e trasparenti, hanno sempre dichiarato aperta reverenza e debito di ispirazione. Ma la realtà è che la VDO, specialmente con questo capolavoro assoluto che è Transcontinental Conspiracy (il collaboratore di turno non a caso era piuttosto illustre, ex-chitarrista dei Savage Republic, al tempo nei Medicine e negli Scenic) hanno aperto nuove strade alla sperimentazione grazie anche alle loro professionali capacità di usare le tecniche e lo studio di registrazione come veri e propri strumenti a parte. Per cui: eredità psichedelica e avant-rock delle più eretiche traslate in un universo parallelo in cui l'elettronica deformata si insinuava con ardore e massima libertà espressiva.
Inutile dire che non se li filò nessuno, come gran parte dei geni più incompromissori. Superfluo anche cercare di spiegare Transcontinental Conspiracy, non se ne può uscire con nessuna teoria logica. E' un vulcano in perenne ebollizione; si sente una portentosa coesione del discorso, nonostante i cordoni del suono siano allargatissimi, c'è la visione d'insieme e la fondamentale, irrinunciabile dose gigante d'ironia che solo chi ha il cervello capace di fare tali acrobazie sonore può dispensare.
Colossale.

venerdì 21 marzo 2014

Van Pelt - Speeding Train (1997) + Same as stone (2005) 7"

Spazzolata finale all'esiguo catalogo dei VP, proprio mentre Chris Leo annuncia l'uscita di un immaginario terzo album contenente le ultime registrazioni prima dello scioglimento, che poi in parte confluirono nel primo album dei Lapse e nel 7'' The Speeding Train, quindi nulla di particolarmente prezioso e/o rivelatorio per i residui fans che non dimenticano.
Sempre valida comunque la scusa per recuperare la splendida The Speeding Train e il suo lavorìo di chitarre gracidanti, per uno dei migliori giri discendenti mai composti da Leo. Poco incisiva la b-side, The democratic's teacher union.
Diverso il caso di Same as stone, misterioso oggetto recuperato nel 2005 dall'etichetta hardcore bergamasca (!) Red Cars Go Faster e risalente addirittura al 1993/94, quando Native Nod erano ancora belli attivi. Ripescaggio di rigore, ascoltando il materiale: Same as stone e The swede's down at the beach contengono già, seppur in forma acerba, il prezioso dna di Sultans in chiave compositiva.
Sembra uno scherzetto invece lo split 7'' del 1995 con i punk Young Pioneers; Everything's alright è la ripresa di un tema di Jesus Christ Superstar, interpretata con baldanza indie e la complicità di una vocalist suadente: se Leo aveva delle velleità teatrali, si può dire che con quest'esperimento se le sia affossate da solo ....

giovedì 20 marzo 2014

Van Der Graaf Generator - Live at the Paradiso (2009)

Sono stato testimone oculare della tourneè europea nel 2009 del Generatore, e data l'eccezionale resa non mi ha stupito la pubblicazione di un altro live a soltanto 2 anni di distanza da Real Time. Un filo di autoindulgenza ormai se la possono anche permettere, visto che non devono dimostrare più niente a nessuno e si accontentano del loro zoccolo duro di estimatori.
Il concerto di Amsterdam pertanto va inquadrato in quest'ottica. A dispetto della partenza un po' zoppicante di Lemmings (dovuta più che altro ai ricorrenti errori esecutivi di Hammill, ma quanto gli vogliamo bene per questo!), la scaletta scorre entusiastica annoverando ripescaggi clamorosi come Black Room (fe-no-me-na-le!), Meurglys III e persino la ritualistica Gog che compariva su In Camera. 
Per il resto, come da tendenza soltanto 3 pezzi degli anni recenti su 11 in totale, ed il pugno di ultra-classici di cui è sempre bello godere. Per lo zoccolo duro, s'intenda.

mercoledì 19 marzo 2014

Van Der Graaf Generator - Vital (1978)

Episodio a sè stante della storia VDGG, questo live rappresentò l'addio in quanto uscito pochi mesi dopo l'annuncio ufficiale dello scioglimento. Con Hammill lanciato verso la definitiva carriera solitaria, un rimescolatissimo quintetto suonava al Marquee per pochi testimoni di ciò che avrebbe potuto rappresentare un'apertura verso nuovi orizzonti: senza più Jackson (che fa tuttavia qualche comparsata) nè il maestro Banton, la spina dorsale del suono era in mano al violinista di estrazione orchestrale Smith ed al redivivo Nic Potter, prepotentemente in primo piano.
Hammill tirava fuori tutta la sua grinta, chitarra distorta e voce inerpicata per valichi sempre più impervi. Non gli era bastato essere fra i padri fondatori della new-wave, qui si rilanciava: Vital è quasi rabbioso, un ibrido non catalogabile: le riprese di inizio decennio trasudavano tutto il loro pathos esistenziale ma gli arrangiamenti erano stravolti (Pioneers over C arriva a durare 17 minuti, Killer viene ridotta ed inserita a forza dentro Urban), e nella scaletta abbondano titoli inediti contrassegnati da una virulenza inaudita per i loro standards, con il basso fuzzato fino alla saturazione, il tornado Evans sempre straordinario e uno Smith visionario oltre misura, posseduto da chissà quali demoni.
Vital di solito viene rappresentato così, un po' come un anomalia della discografia perchè isolato da tutto il resto, in tutti i sensi. Oppure addirittura ignorato, neanche menzionato. Che crimine.

martedì 18 marzo 2014

Vampire Rodents - Lullaby Land (1993)

Parlare di un disco dei VM è compito assai aleatorio; una volta settato lo stile generico ed innovativo dei canadesi, c'è giusto da affinare i dettagli. Prima di tutto perchè i loro dischi sono sempre stati piuttosto lunghi e sfaccettati, poi perchè azzardare un termine come industrial-rock da camera potrebbe strappare qualche sorriso piuttosto che sollecitare interesse.
Non è che Lullaby land sia tanto diverso dagli altri, se non che a primi ascolti sembra che il violino abbia maggior spazio rispetto ai precedenti e che una musicalità maggiore si sia infiltrata fra le pieghe dell'anima (c'è persino un pezzo cantato, l'eccellente Catacomb). Per il resto erano sempre al top della loro formula, fra vergate post-Chrome, campionamenti a raffica di ogni tipo e scudisciate industriali da far impallidire tutta la scena che ai tempi peraltro aveva una grossa rilevanza. Grandi.

lunedì 17 marzo 2014

Vagina Dentata Organ - Un chien catalan (1994)

Questo è per la goliardia, per il paradosso e per farsi due risate. 
Ai tempi leggevo Rumore e c'era la rubrica dedicata all'industrial, solitamente curata da Vittore Baroni. Ero molto incuriosito dalle recensioni ed ero ai miei albori di conoscitore di queste musiche altre, ma non avevo il coraggio di acquistare cd e mi arrabattavo con gli scambi e le cassette via posta. VDO scatenò la fantasia in me e nel mio amico Berto, già fan dei Gerogerigegege: Baroni arrendevolmente sparava a zero su Un Chien Catalan sollevando la questione che un cd fatto semplicemente del suono di un trattore che gironzola per i campi fosse  perfettamente inutile al mercato.
A vent'anni di distanza decido di ascoltarlo per la prima volta. Il catalano Jordi Valls, peraltro, era performer recidivo in installazioni di questo tipo: fra latrare di cani, campane, orgasmi manipolati e quant'altro era evidente il livello di provocazione da egli inscenato. In realtà non si tratta di un trattore, bensì dell'Harley Davidson appartenente al tipo illustrato in copertina. Quindi, 70 minuti di rombo della moto che procede a bassa velocità, il soffiare del vento nel microfono, qualche rumore casuale incontrato per strada e nient'altro: 7 movimenti, ognuno si apre con l'accensione, si fa il giretto e si chiude con lo spegnimento.
Il bello è che il folle Valls, in un intervista a dir poco esilarante, la definisce come un opera profondissima e concettuale; non contento di ciò, non trovò di meglio da fare che insultare coloro che avevano recensito bene i suoi lavori e persino chi aveva comprato i cd. Chi lo scarica è bravo, chi se lo ascolta ancora di più.

domenica 16 marzo 2014

Woodworm Festival al Locomotiv Club, venerdì 14

La Woodworm mi appare come un prototipo esemplare di indie italiana moderna, una specie di La7 alternativa: raccoglie glorie nazionali più o meno stagionate, rimescolamenti e qualche gioventù assortita di indubbio appeal moderno. Il sito è esemplare: grafica poco meno che essenziale, sponsor bene in evidenza e la pagina dei servizi offerti che denota una professionalità di matrice aziendale chiara e precisa. Di questi tempi, per sopravvivere occorre questo e ben altro.
Un plauso va sicuro per l'iniziativa, una tre sere per 6 entità del rooster di buon richiamo. I sentimenti finali sono misti. Giungiamo al Locomotiv alle 22.30, nella fiducia che non ci saranno ritardi vista l'ingenza numerica delle esibizioni: i Crazy World of Mr. Rubik stanno già suonando, non li conosco ma mi sembrano davvero poca roba. Passiamo oltre e sale il mitico Umberto Giardini, accompagnato soltanto dal suo chitarrista: soltanto 20-25 minuti ma di grandissima intensità, per un pugno di pezzi recenti, nudi e crudi. La bellezza degli stessi e la sua grandissima vocalità sopperiscono appieno la mancanza della sezione ritmica.
E' il turno dei Julie's Haircut, altri veterani della scena. Non sono mai impazzito particolarmente per loro, e guardandoli purtroppo ottengo solo conferme. Il loro set è troppo lungo (40-45 minuti), i pezzi monotoni e ben poco originali: un pasticcio di post-rock, psichedelia, motorik e indie-shoe-gaze senza tanta fantasia che non è nè carne nè pesce, con cover finale di Planet Caravan dei Black Sabbath che affossa tutto (Succi, perchè ti sei prestato???). Una brutta copia dei Giardini di Mirò, 
Ben altra storia il live di Manzan aka Bologna Violenta, improntato sul tema della gang della Uno Bianca come il suo disco fresco di uscita: la storia viene proiettata dietro al palco, ma si è indecisi se guardare il filmato o osservare Manzan che è spettacolare di suo, nel torturare chirurgicamente la SG, in preda al raptus continuo delle basi convulse ed ipercinetiche. Nel finale estrae il suo violino per eseguire il requiem delle gesta dei Savi, catturati dopo anni di crimini efferati. Bellissimo ed avvincente.
A quel punto speravamo di assistere al live dei Bachi, ma non avevamo fatto i conti con i Fast Animals and Slow Kids, che non conosciamo. Abbiamo dato un occhiata all'orologio, erano quasi le 2 e la stanchezza accumulata durante la settimana lavorativa, unita all'ora di strada necessaria per raggiungere casa, ci ha fatti desistere dal proseguio. Peccato.

sabato 15 marzo 2014

Lino Capra Vaccina - Antico Adagio (1978)

Percussionista / vibrafonista appartenente alla scena art-avant-prog italiana dei primi anni '70, Vaccina si formò negli Aktuala e proseguì la carriera come orchestrale alla Scala, oltre che come importante collaboratore di Battiato ed altri famosi artisti italiani. Antico adagio fu il suo primo album solista ed è un ambizioso collage di new age, esotismi vari ed astrazioni minimalistiche.
La title-track ed Elegia rivelano l'influenza pastorale dei Popol Vuh, sebbene il suono sia limitato all'apporto di vibrafono e flauto. Movimento e silenzi per spazi bianchiVoce in XY è un cicaleccio minimalista nello stile del primo Battiato, oltretutto col contributo vocale estatico del grande Juri Camisasca. Più sperimentale il resto del disco, Canti delle sfere e Frammenti di sono, cupe immersioni in un sottobosco atonale fatto di gong, droni raggelanti e percussioni sorde. E' proprio questo il versante di Vaccina che resiste meglio nel tempo: la prima sfociava quasi nel dark-ambient industriale, la seconda era una ipnosi cerebrale rilevantissima. Pioniere importante, forse non abbastanza riconosciuto perchè ben poco produttivo: il disco successivo lo fece dopo 15 anni.

venerdì 14 marzo 2014

USA Is A Monster - R.I.P. (2010)

Trovo più che lecito sviscerare la loro discografia così, in ordine sparso. Come recita il titolo, un disco postumo uscito sulla prestigiosa label Northern Spy, non si sa assemblato in quale modo ma abbastanza omogeneo da ritenerlo album in tutti i sensi.
Proseguendo con l'apertura progressiva del sound verso spazi sempre più aperti, Langenus e Hoffman nei loro ultimi mesi di vita erano pervenuti ad una elettrificazione del folk pellerossa geneticamente modificato, con un'attenzione speciale alle melodie angolari. Heavner sembrava essere il manifesto, con la cantilena balzellante tipica sostituita da un passo marziale con assolo chitarristico lancinante nel finale.
I capolavori stanno nei due pezzi più lunghi, come peraltro era già successo con Space Programs: l'ipnosi pseudo-blues di Dynamite day sfocia in uno splendido caleidoscopio flower-power, No drugs til now invece liberava tutta la loro voglia di prog con degli stacchi vertiginosi in stile quasi Jethro Tull.
E melodie cristalline, da ricordare all'istante. Quant'erano diversi dall'inizio, e chissà dove sarebbero potuti arrivare.

giovedì 13 marzo 2014

USA Is A Monster - Citizens Of The Chronic (2003)

Raccolta dei primi due EP che gli UIAM pubblicarono nel 2002, Citizen of the universe e Masonic chronic, improntati su un suono abbastanza grezzo e lo-fi ma già fin da subito rivelatore delle abilità fulminanti dei due prodi guerrieri antigovernativi.
Citizen parte con una docile cantilena folk, ma l'illusione è breve: la debordante formula math-noise faceva sfracelli con un flusso continuo di schegge impazzite, un mulinello di iniziative selvagge e mai fini a sè stesse. Masonic era persino più concitato e frastornante, pur contenendo la prima delle loro ballads ed arrivando ad elaborare la loro prima agile suite acid-prog-punk con gli 8 minuti della finale Trippa bobippa. Primi, fondamentali tasselli di battaglia.

mercoledì 12 marzo 2014

Uochi Toki - Idioti (2012)

La traccia n. 10 si chiama La recensione del disco e basterebbe quel testo a capire il livello di denigrazione (anche un po' cattivella) che hanno gli UT nei confronti della stampa. Una sfilata di luoghi comuni che ha messo un po' in imbarazzo i vari recensori, diversi dei quali hanno effettivamente stroncato Idioti.
Io non sono un recensore e questo dischetto mi piace, al di là di quanto abbiano fatto prima e dopo. Ho sempre detestato il rap, ma gli UT non lo fanno in senso classico: i suoni sono scabri e minimali, totalmente atonali e squassanti, ed il rapper snocciola versi contorti, arzigogolatissimi, con un linguaggio moderno ma mai volgare, del tutto privi di rime come si converrebbe invece agli abusatissimi clichès del genere.
Poi si può discutere sul fatto che le storie siano infarcite di idiozie e inverosimilità, che gli UT siano spocchiosi ed antipatici, ma questo è un discorso che al momento non mi interessa. Qui ci sono almeno 3-4 tracce irresistibili che oggi sono in loop nella mia auto: Tigre contro tigre, Tavolando il pattino, Perifrastica e Al Azif.

martedì 11 marzo 2014

Unwound - Leaves Turn Inside You (2001)

All'epoca in pochi riuscirono a farsi una ragione dello scioglimento degli Unwound, anche perchè le ragioni addotte dalla band furono l'impossibilità di fare concerti per un periodo indefinito. Nel loro nome fu battezzato persino un locale concerti.
Dopo aver realizzato Leaves, comunque, sembravano aver raggiunto un punto di non ritorno. Partiti da un ambizioso post-hardcore un po' arruffone, seppur coraggioso, e dopo una decennale carriera integerrima su Kill Rock Stars, finalmente avevano trovato una forma musicale compiuta ed eclettica. L'estetica virava su più fronti, fino a comporre un doppio cd pieno zeppo di spunti: oggi non se li ricorda più nessuno ed anch'io non lo ascoltavo da 12 anni, ma che caposaldo....Con fraseggi post-rock, dream-pop, shoegaze da manuale; come unire nella stessa stanza Slowdive, Slint e Husker Du.
Un titolo su tutti Terminus, 10 minuti in tre movimenti con apice nella fase centrale, alla Godspeed You! Black Emperor. Violino e mellotron concorrono a superare definitivamente lo status alternativo per salire di grado in profondità espressiva. Demons sing love songs batte i Blonde Redhead sul loro stesso campo, Radio Gra il loro climax slow-core-progressive, Below the salt il lungo, doloroso addio.

lunedì 10 marzo 2014

Unmade Bed - Mornaite Muntide (2011)

Se i Father Murphy sono gli attuali propositori di spirito psichedelico più brillanti in Italia da un punto ottico diciamo in veste cerimoniale, i fiorentini UB lo sono in chiave extra-sensoriale.
Questo loro secondo album, registrato in una chiesa sconsacrata, ha un suono molto vintage ed è un'esperienza ai limiti dell'onirico che ha un retaggio sì psichedelico ma non è che si ferma lì. Il tratteggio sfumato e sfocato del trio rasenta una forma grezza di ambient-rock (non dissimile da certe pagine dei Bark Psychosis), crea illusioni auditive e disorienta il filo del discorso anche dopo svariati ascolti. 
Sarà per la generale atmosfera soffusa ed ovattata, sarà anche perchè le 5 tracce sono legate fra di loro in un continuum, o perchè ci sono degli spunti clamorosamente belli come Gentle Marionette e At twilight giant farflies, ma questo trio rischia di passare inosservato e sarebbe un ingiustizia: non hanno nulla da invidiare nè a Jennifer Gentle nè ai sopracitati Father Murphy, anzi: sono storia a loro stessi. 

domenica 9 marzo 2014

United States Of America - United States Of America (1968)

Quanto può suonarci bizzarra certa musica degli anni '60 oggi...Pur invecchiando benissimo, come d'altra parte nel caso dell'unico album degli USA, sembrano esser passati veramente secoli da quelle sonorità; vien da chiedersi come sarebbero suonati meglio con le tecniche di registrazioni a disposizione soltanto 10 anni dopo. Antifona a parte, gli USA furono una band one-shot originalissima, che univa psichedelia, vaudeville, avanguardia e pop in un colpo soltanto. Anche se al primo ascolto sembra di aver a che fare con una versione arty dei Jefferson Airplane (a partire dalla voce della cantante, meno dotata ma dal timbro simile alla Slick), ad un esame più accurato si ode anche l'influenza di Van Dyke Parks e il suo pop cabarettistico, ma senza mai copiare pedissequamente nè i primi nè il secondo. Ciò anche a causa di una line-up fantasiosa che annoverava un violinista visionario, un audio-generator antidiluviano ad emettere disturbanti spirali space. Il songwriting, ad opera del leader / tastierista Byrd, non passerà alla storia come il più illuminato ma può lasciarci almeno due gemme luminescenti: sul lato rock The garden of earthly delights, su quello psichedelico selvatico The american way of love e la sublime, pastorale Love song for the dead che.
Poco rilevanti le 10 bonus tracks presenti nella ristampa in cd del 2004.

sabato 8 marzo 2014

Uncode Duello - Uncode Duello (2004)

Da intendersi come prosecuzione degli A Short Apnea?
No. Con il loro ultimo (in ordine di tempo) progetto in essere, pur fermo dal 2009, Cantù ed Iriondo stanno provando a confermarsi piloti di una certa intellighenzia free-avant-rock, con l'ausilio di un batterista, Calcagnile, appartenente a tale area. Ma al contrario di quella splendida ed illuminata esperienza, cercano di trovare una via dissennata, direi scultorea, ad una forma di free-jazz rumoristico. Le chitarre singhiozzano, i suoni concreti si mischiano alle percussioni in maniera quasi deforme, Cantù starnazza qualche clarinetto, i silenzi si alternano alle grezze cavalcate, Ciappini fa capolino ed emette qualche urlo afono.
In questo campo fecero meglio i Bron Y Aur un decennio fa, purtroppo. Non mi pare di udire grosse impennate creative in questo disco, nè nei due successivi da loro realizzati. Non voglio dire che la vena creativa si stia inaridendo, però da loro mi aspettavo sicuramente di più.

venerdì 7 marzo 2014

Piero Umiliani ‎- To-Day's Sound (1973)

Spettacolare raccolta di temi cinematici per il fiorentino, già rivalutato a fine anni '90 durante la mini esplosione del lounge, ma ad oggi mi sento di asserire personalmente che si tratta di musica ancora fresca, coinvolgente non soltato per le composizioni in sè: occorre spezzare una lancia anche a favore degli accompagnatori di Umiliani, presumibilmente jazzisti di gusto raffinatissimo e perfetti nell'adattarsi alle atmosfere senza mai sbrodolare, restando sul pezzo, funzionali. Per non dire dello stesso Umiliani, asso esecutivo al Rhodes e al moog.
Gli stili sono innumerevoli; bossa, fiammate rockeggianti (la fenomenale title-track), funk, ballad languide e sensuali, arie melanconiche e screziate di italianità fino la midollo.
Proprio qui sta il concetto: un suono che trasuda e respira Italia di quegli anni, che probabilmente abbiamo sentito a corredo di tante immagini ma che di cui possiamo tastarne la validità artistica solo fermandoci ad ascoltare.

giovedì 6 marzo 2014

Ulver - Shadows of the sun (2007)

Non posso dire pressochè nulla sugli Ulver perchè questo è l'unico loro disco che conosco (lo so, sono colpevole e lo ammetto), ma, al netto di una certificata schizofrenia creativa nel corso della loro ventennale carriera, posso solo asserire che Shadows of the sun è un gioiello di ambient-rock in cui l'inevitabile retaggio scandinavo viene splendidamente contaminato da arie simil-gotiche di ispirazione britannica, per formare un ibrido di raffinato impressionismo.
Si prenda All the love, una delle vette in lista: dopo un intro celestiale per cori, il pezzo prende quota, entra la batteria e, voce a parte, non siamo molto distanti dal David Sylvian degli anni '80. Rimango stregato dalle atmosfere avvolgenti, generalmente ispirate da un piano acustico bello riverberato, dalle linee vocali e dalle impennate compositive: Like Music, Vigil, Funebre sono le altre gemme più preziose di questo magico crepuscolo.

mercoledì 5 marzo 2014

Girolamo Ugolini - Nel Mondo Del Lavoro (197?)

La caccia alla scoperta dell'anno di rilascio è sempre un giochino divertente, ma con la Panda Records c'è solo da fare ipotesi. Dato quasi per certo che il primo prodotto, la raccolta di servizio Astrofisica, risalga al 1971, potrei pensare che Nel mondo del lavoro sia datato fra il '72 e il '73.
A parte questo, sotto quest'anacronistico appellativo si celava il grande Alessandro Alessandroni, che per l'occasione si calava nel sociale più stretto. Il volumetto è, manco a dirlo, un'altra dimostrazione di classe e libertà artistica: pur restando concentrato sulla sua infiammata chitarra acustica, il celebre fischio si cimentava con eclettismo in svariate forme di accompagnamento meno stranianti di altre, con un'attenzione particolare per ritmi ottundenti e sbuffi di elettronica pre-industriale. 
Poco da fare, funziona come un disco compiuto e focalizzato. E pensare che l'avrà registrato in un giorno o due al massimo.

martedì 4 marzo 2014

Ufomammut - Oro: Opus Primum (2012)

Alla fine del secolo scorso con quel nome lì era abbastanza intuibile che tipologia di suono avrebbe avuto il trio piemontese. Lo stoner era ancora abbastanza in auge e con autoritaria costanza hanno raggiunto una visibilità internazionale fino ad approdare alla Neurot con questo episodio. Complimenti quindi ai ragazzi per esser stati di fatto la prima band nazionale in questo ambito a sfondare all'estero.
Uscito in pratica insieme ad Oro Opus Alter, speculare del presente, Primum non passerà alla storia come uno dei capisaldi del genere, in primus perchè non è di fatto possibile innovare questo stile che ha trovato il meglio nei suoi innovatori/fuoriclasse (nello specifico qui parlo di Melvins, Sleep e Boris, anche se si sborda in area sludge-doom più opprimente), poi anche perchè nell'intenzione di rielaborare un loro piccolo Dopesmoker gli Ufomammut riversano tutta la loro pesantezza con fare un po' stantio, senza trovare impennate notabili e cadendo in tutti i clichès possibili ed immaginabili. Non bastano certamente un po' di effetti space per mischiare il mazzo, e il disco alla lunga stanca.

lunedì 3 marzo 2014

U.S. Maple - Talker (1999)

Alla continua ricerca di distillare prezioso sciroppo, l'acero americano tornò un paio d'anni dopo con Talker. Stabilito e marchiato Sang phat editor come chiaro punto di non ritorno, si materializzano scampoli e brandelli di musicalità. 
Nel percorso che li rese sempre meno storti col passare del tempo, Talker seppe mediare in maniera perfetta: due centri perfetti come Stupid deep indoors e Apollo don't you crost? sembravano portare il sound su derive jazz fino ad assomigliare a Storm And Strass, usciti un paio d'anni prima col debutto. A spiazzare era la ritmica inusualmente regolare di Go to bruises, la melodia noir di More Horror, il blues strascicato di So long bonus. Un apertura che ai tempi la critica salutò come svolta beefheartiana.

domenica 2 marzo 2014

U.S. Maple - Sang Phat Editor (1997)

Stramaledetti geniacci indisciplinati degli U.S. Maple! E chi ci capiva, e chi ci capisce qualcosa in questo che andava ben oltre il debutto?
Io non capisco e ne godo. Radicalizzazione spietata che rade al suolo il concetto di math-rock, di blues licantropo, di avanguardia. Uno sbeffeggio epocale, sonora presa per i fondelli.
SPE non ha un inizio nè una fine. E' un labirinto in cui non si trova un bandolo neanche a cercarlo col lanternino, e Al Johnson spunta sempre inaspettato dietro l'angolo a far finta di farci paura con quell'emissione che non definirei neanche vocalismo, nè recitato, nulla di tutto questo. Corde vocali mai sentite così. Uno scherzo della natura come lo erano David Thomas o il Capitano, non importa quanto sia ascoltabile o meno.
Cubisti dell'assurdo.

sabato 1 marzo 2014

U.S. Christmas - The Valley Path (2011)

Non dev'esser stato facile realizzare questo disco per gli US Christmas, band abbastanza prescindibile del rooster Neurot che normalmente si abbevera ad una fonte anacronistica di rock psychedelico pesante, ai confini con lo space-rock quanto il metal quanto lo stoner. A seconda dei punti di vista, per il loro pubblico abituale può esser sembrato un colpo di spugna alle ambizioni quanto un coraggioso tentativo di rompere con gli (abusati) stili a cui lo avevano abituato, complice anche un rimescolamento drastico della line-up
Trattasi di un pezzo unico di quasi 40 minuti che evita quasi del tutto chitarroni e fattanze hawkwindiane del passato (unico comune denominatore un lungo assolo di chitarra nella parte centrale, non a caso il momento più debole) per entrare in un limbo di abbandono alla malinconia più inguaribile, lambendo il post-rock più solenne (dinamiche quasi alla GYBE!, violino in evidenza) e andando addirittura a sfiorare territori slow-core (il canto debosciato, il ritmo piuttosto lento). Diviso in 3 fasi significative, il mattone finisce per diventare qualcosa di epico che non genera certamente nuovi mostri ma può far breccia nel cuore di più audiences.