domenica 30 gennaio 2022

M.B. ‎– Carcinosi (1983)


Ogni qualvolta decido di ascoltare un MB d'annata, vado a rileggermi le varie bios a lui dedicate e provo un po' d'invidia per chi ha avuto la costanza e la dedizione di passarsi in rassegna tutta la sua produzione. La probabilità è che, alla luce anche delle parole forbite e dei profondi concetti espressi nelle interviste, la statura dell'artista sia realmente quella che gli si accredita. Io sono soltanto al terzo titolo, dopo I.B.M. e Armaghedon, e Carcinosi non sfugge alla regola, sotto tutti i punti di vista: due monoliti di 23 minuti tagliati con le forbici, due Decomposizioni Per Organismi Bionici E Mutazioni Concrete. Il contenuto è il solito ma è sempre differente: due allucinazioni sonore di una potenza devastante, che tramortiscono e costringono alla massima attenzione per coglierne lo sviluppo magmatico, sempre nascosto fra le pieghe delle oscillazioni.

venerdì 28 gennaio 2022

Ensemble Economique ‎– Blossoms In Red (2015)


Da quanto si è dato irrimediabilmente ad un gotico elettronico che sembra emergere dalla nebbia delle brughiere britanniche, Brian Pyle è un artista molto diverso da quello che emerse dalla multiforme scena weirdo orbitante alla Not Not Fun, ben più di un decennio fa. Il punto di svolta avvenne nel momento in cui il californiano lasciò l'etichetta che aiutò a lanciarlo per accasarsi alla tedesca Denovali, che dal 2013 gli ha rilasciato 6 album. Con Melt Into Nothing avevo già notato che la metamorfosi si era compiuta, e con buoni risultati. Blossoms in red, l'anno successivo, ha fatto persino meglio. Cinque pezzi tutti molto diversi: in apertura un drone leggermente tedioso di 8 minuti, poi parte un beat elettronico che introduce la muraglia di synth della title-track, di sicuro impatto ma forse un po' scolastico.

A partire da On The Sand, il terzo pezzo, si inizia a fare sul serio. Un giro di organo saturo, note isolate di chitarra, il filo di voce, la batteria a passo slow-core, l'incedere maestoso e melmoso, un gran pezzo. La voce di JMoon (l'italiana Jessica Einaudi) prende il proscenio nella successiva You by candlelight, un altra stasi altamente ipnotica a passo lentissimo, con le stratificazioni sottopelle di organo e chitarra a costruire una tensione spasmodica. In spiazzante chiusura, il minimalismo di pianoforte Nothing is perfect, che per il suo fascino avrebbe meritato sicuramente uno sviluppo ulteriore.

Ma la musica di Brian Pyle è così. Non importa la forma, forse conta più l'istinto, il momento, la creazione di uno stato d'animo con i pochi mezzi a disposizione. Non tutto funziona su Blossoms In Red, ma quando gira, gira molto bene.

mercoledì 26 gennaio 2022

Screams From The List #104 - Jean-François Pauvros - Gaby Bizien ‎– No Man's Land (1976)


Duo francese per una collaborazione rimasta isolata, ed entrambi al debutto. La serie è i matti sono liberi di circolare, ma d'altra parte l'epoca era proprio quella più fertile. Parlare di free-jazz forse è un tantinello esagerato, per questo non è scatenatevi bestie. Siamo in un area più o meno grigia: Pauvros, chitarrista nevrastenico e per nulla convenzionale, rigorosamente dissonante, schizofrenico. Bizien, batterista lui sì dotato di tecnica, probabilmente di estrazione, e nei ritagli di tempo impegnato anche con un trombone, come ha definito Vlad, aerofagico. E' proprio la perfomance di quest'ultimo ad attirare di più l'attenzione, perchè il contesto appare del tutto slegato e privo di conduzione, ma molto superiore a decine di dischi della List concepiti e realizzati sul canovaccio dell'assoluta naivetè.

lunedì 24 gennaio 2022

Nick Cave & The Bad Seeds ‎– The Good Son (1990)


Raramente ho riscontrato una tale unanimità di pareri, anche fra fonti piuttosto disparate: The Good Son non è soltanto il capolavoro di Nick Cave, ma di molto altro. A distanza siderale da quando lo ascoltai per l'ultima volta, non posso non allinearmi, se non altro per i miei pezzi preferiti: Sorrow's child e Lament, ballate sinfoniche strappalacrime in apparenza semplici ma frutto di un ispirazione straordinaria. Che altrove non manca di certo, bilanciata a meraviglia fra gli ardori del passato, il croonering di razza che già aveva coniato, il gospel virato in bianco, e perchè no, qualche lontano eco dello Scott Walker degli anni '60, restando in tema di sinfonismi e carisma del grande interprete. E poi come non citare anche The Ship Song, Foi Na Cruz, The Weeping Song. Giù il cappello.


sabato 22 gennaio 2022

Dan Oxenberg, Bear Galvin + Friends (Pillow Mt. Conspiracy) ‎– Early Abstractions. Vol. 1 (2019)


Tre anni dopo il grande rientro di Late Superimpositions, il caro vecchio Danny è tornato, di nuovo insieme al misterioso Orso Galvin (presumibilmente il tizio con i pantaloni della tuta adidas nella foto sopra), ma questa volta si tratta in gran parte (non meglio precisata) di vecchio materiale degli anni '90, tant'è che appaiono altri due ex-Supreme Dicks, Steve Shavel e Mark Hanson. Si tratta quindi di un album d'archivio, al contrario del precedente, e si sente. Lo spettro tremolante del passato si agita fra le ballad anemiche, gli sballi allucinogeni, il flautino dissonante, la voce fragilissima, l'Orgone citato in un paio di titoli. E' una raccolta in chiara chiave lo-fi, indirizzata essenzialmente ai fan dei SD.

giovedì 20 gennaio 2022

Roger Eno ‎– Fragile (Music) (2005)


Massimo relax per questo album del Rogerino maturo, direi al massimo della propria sobrietà e compostezza. Non è un disco per tutti, questo va premesso, non è ricco di colori e stagioni come Voices nè impressionistico e festivaliero come Lost in translation. E' semplicemente una raccolta per solo piano, lento, sgocciolato e compassato nella vena più satieana possibile, con quelle sottile vena autunnale e surrealmente malinconica che costituisce da sempre il suo trademark caratteristico. Per un oretta di contemplazioni asciutte e per sottofondi filosofici.


martedì 18 gennaio 2022

Cleric ‎– Retrocausal (2017)


Non è stato soltanto a causa  della loro formula incredibilmente complessa che i Cleric hanno impiegato 7 anni per dare un seguito al pauroso Regressions. Nel Settembre del 2010, durante il tour di promozione dell'album, subirono un furto della loro attrezzatura che li mise in ginocchio e li impossibilitò a lavorare per parecchio tempo. Non si diedero vinti comunque, e continuarono a concepire Retrocasual, che non attenua minimamente gli effetti dei loro sforzi titanici in tutti i sensi. Quindi, avant-metal labirintico, elaborato ancora una volta in un contesto di durata kilometrica che annienta i sensi e lascia tramortiti, con perizia impressionante. Rispetto al debutto, si può notare una maggiore inflessione jazz che affiora a più riprese, con l'ospitata di John Zorn nella traccia finale. Ecco stabilito quindi il parallelo più calzante per i Cleric: i suoi Naked City, negli anni '90, avevano già testato l'animale jazz-metal con una serie di prove annichilenti. I Cleric sono ancora qua, per rilanciare ed osare l'impossibile.

domenica 16 gennaio 2022

Sensations' Fix ‎– Boxes Paradise (1977)


Seguito dello splendido Finest Finger, che ricavò beneficio da un sistema rodato e sempre meglio arrangiato grazie alla presenza fissa del tastierista Head. Si intrasente anche un leggero miglioramento nelle registrazioni, ma l'aspetto sostanziale resta che Falsini si trovava in chiaro stato di grazia compositivo e confezionò un'altro centro, mediando alla perfezione l'aspetto terreno, più grintoso e viscerale con quello spaziale, più vaporoso tipico del primo album. Lo slowhand toscano peraltro, in un paio di fasi della scaletta, si trovò a ricorrere a dei passaggi di quel Cold Nose che languiva confinato in un cassetto. 

Un album variopinto e di grande dinamica, che non lesina le felici incursioni ad un passo dal pop (l'iniziale The Flu, che in realtà si chiama Grow on you sull'antologia del 2012) e che sfiora più volte quel progressive a cui sono sempre stati attaccati, nonostante le evidenti differenze (le articolazioni di Luna Slain, gli inserti acustici di Mother's day). Sarà sempre troppo tardi per farli scoprire a qualcuno, ma vale la pena spendere il tempo.

venerdì 14 gennaio 2022

Black Wing ‎– ...Is Doomed (2015)


Apparentemente archiviato il discorso Giles Corey, che rappresentava forse una parentesi acustica della sua indole, Dan Barrett ha varato il progetto Black Wing, all'insegna di un synth-gothic più in linea con la classica produzione Have A Nice Life. ....Is Doomed contiene alcuni chiari riferimenti al repertorio del duo, in effetti, anche se mondato del basso, ma le caratteristiche armonie vocali e corali del vocalist restano un marchio di fabbrica. Ottimi Luther, Unemployed e If I let him in.  Interessante anche una divagazione come il danzereccio DSA. Non si era certo ai vertici, ma è stato sintomo di un rinnovato stato di salute artistica in un momento molto difficile (si era all'indomani del fallimentare secondo HANL).

mercoledì 12 gennaio 2022

This Heat ‎– Live 80/81 (2006)


Reperto archeologico emerso nel 2006 che testimonia un tour europeo dell'avant-trio nel periodo citato, di qualità estremamente lo-fi (fu registrato tramite un volgarissimo mangiacassette utilizzando un microfono piazzato vicino al mixer, presumibilmente quello a distanza, non da palco) ma prezioso nel documentare la qualità superba delle performance. Il periodo è quello di transizione fra le asperità del debutto e le parziali normalizzazioni (per modo di dire) di Deceit, con una scaletta che pesca anche in anticipo da quest'ultimo, ma suonato con una foga ed un urgenza inenarrabili. Quando il trio viaggia a pieno ritmo con chitarra basso batteria, rombano arrembanti. Quando divagano e tirano fuori kazoo, clarinetto ed organo, l'atmosfera si fa plumbea, beffarda e sinistra. Un vero peccato che la registrazione sia così.

lunedì 10 gennaio 2022

Aburadako - 2004 (Tunnel)


Tre decenni di Aburadako: il punk e l'art-hardcore degli anni '80, il sofisticato math-rock degli anni '90, ed infine il paradossale decennio Zero, con soltanto due dischi di cui questo Tunnel del 2004, con ogni probabilità il più cervellotico della loro discografia, definito infatti dall'ottimo Federico Savini un tributo (più o meno volontario) a Lick My Decals Off Baby del Capitano ed alla sua estrema complessità, alle sue partiture impossibili ed alle sue digressioni vagamente blueseggianti, di quel blues che tal vien richiamato soltanto per similitudini beffarde che per le strutture.

Hasegawa, per conto suo, non fa nulla per evitare il confronto. Il suo metodo compositivo sembra proprio quello di DVV. Non è più l'urlatore alla carta vetrata del passato, ma l'effetto della sua verbosità non è meno caustico: sono le capacità del super-trio alle sue spalle ad impressionare persino più che in passato, col chitarrista Masato esclusivamente su toni puliti.

Nella cartella c'è un bonus di 24 minuti, che potrebbe essere il disco del Fiume, ovvero la pubblicazione del 2002, (come sempre, impossibile ricavare qualsiasi informazione) un unico pezzo piuttosto strano per i loro standard, lineare e vagamente psichedelico, con dei passaggi quasi slintiani. Forse un esperimento per disorientare il proprio pubblico, posto dopo Tunnel ha un effetto quasi rilassante.

sabato 8 gennaio 2022

Residents ‎– Not Available (1978)


E' sempre molto difficile affrontare un 9/10 di PS senza avere qualche pregiudizio. Nel caso di Not Available, però, mi è venuta in soccorso una piccola serie di ricordi lontani: Rupert e Mixo che ne mandavano in onda delle sezioni per decantarne il genio, la visionarietà e la follia, a più riprese. Anche se il mio preferito resta sempre Eskimo, lo psico-melodramma in 4 parti di Not Available non sembra accusare l'invecchiamento, nemmeno da un punto di vista strettamente tecnico: l'arsenale di tastiere di Hardy Fox, che includeva in dosi massicce il famigerato Eminent e le voci deliranti di Flynn costituiscono l'asse portante del disco, a cui si aggiungevano percussioni scarne, fasi intermittenti di drum-machine e sezioni importanti di sax, nient'altro. E' una messa in scena grottesca, amara e dissacrante che riesce sempre a disorientare, non ha ancora perso la sua forza iconoclastica ed ha delle trovate compositive che suonano tutt'ora geniali.

giovedì 6 gennaio 2022

Boris - Dear (2017)


Dopo essermi esaltato per le loro prove sperimentali dei primi Duemila, ho continuato a seguire le gesta dei Boris più o meno sporadicamente, senza riuscire ad ascoltare tutta la discografia ma comunque senza mai riscontrare un disco che scendesse sotto la sufficienza, sempre all'insegna della loro schizofrenia incontrollabile nel saltare di palo in frasca. Dear, concepito come un addio allo scoccare del quarto di secolo di carriera, ha segnato un valido punto di ritorno alle sonorità più sludgy-melvinsiane, quelle dell'esordio Absolutego (citato anche nella track-listing), ma contenute in 11 pezzi fra i 5 ed i 12 minuti. 

Poco da dire, la freschezza che denotano dopo una vita, senza produrre novità di rilievo, resta il loro punto di forza. C'è energia, c'è pesantezza, c'è ispirazione melodica a profusione e la solita, indiscutibile professionalità da parte di chi, nel rispetto delle fonti originarie mai negate, ha costruito una carriera di assoluta onestà e con vette indimenticabili. Su Dear ad esempio, sta nei 12 minuti di Dystopia / Vanishing Point, un crescendo epic di classicissimo stampo borisiano.

Ah, la fine sembra non essere arrivata, perchè hanno continuato a pubblicare nel frattempo....

martedì 4 gennaio 2022

Lubricated Goat ‎– Psychedelicatessen (1990)


In uno dei primissimi Rockerilla che comprai, nel 1993, c'era un servizio su questo gruppo australiano (Sidney) dal nome improbabille, descritto come temibile, rumoroso e composto di personaggi ben poco raccomandabili. Parole che a quasi 30 anni di distanza suonano ben poco intimidatorie, ma che all'epoca rientravano perfettamente nell'estetica di quel giornale, che usava (ed abusava di) descrizioni alquanto variopinte pur di scatenare sensazioni di curiosità. E' vero comunque che la storia di Stu Spasm, leader ed unico membro fisso dei LG, non fu esente da inconvenienti. Nel 1990, durante il loro primo tour europeo, con concrete possibilità di infilarsi nel carrozzone alternativo di riscontro popolare underground, venne accoltellato a Berlino e necessitò di qualche anno per riprendersi.

Psychedelicatessen è un buon compendio di garage-alternative-noise venato di psichedelia, dotato della cattiveria giusta per adescare il pubblico di Cows, Cop Shoot Cop e compagnia malevola. Predica il verbo originario dei migliori Stooges, pizzico di perversione inclusa, con delle prospettive noise-rock che, come detto, li avrebbe potuti far riscontrare negli Stati Uniti se fossero approdati ad esempio alla Amphetamine Reptile o alla Touch & Go. Eccellente la registrazione.

domenica 2 gennaio 2022

Oneiroid Psychosis ‎– Forever Is Forgotten (2004)


Duo di fratelli del Wisconsin artefice di un ultra-gotico sfaccettato ed improntato all'europeismo più trasudante. La scuola di riferimento include comunque Lycia e Black Tape For a Blue Girl, per quanto riguarda le fasi più eteree di Forever Is Forgotten, un disco multiforme che passa da puntate quasi doom al synth-dark in un batter d'occhio, da arie neo-classiche a stasi ambientali, da ambientazioni horror a cyber-carpenterismi. Il cuore pulsante del disco sta nel quarto d'ora di Birth And Death, un viaggio mozzafiato guidato dal pianoforte, che non spreca neanche un secondo della propria ispirazione. Nel resto del disco fanno capolino alcune lungaggini che, in caso fossero state mondate, avrebbero reso l'album un piccolo gioiello di neo-dark moderno, ovvero una rarità assoluta.