martedì 4 maggio 2010

Boris - Flood (2000)


Oltre a Feedbacker, questo è il disco dei Boris per il quale ho perso la testa, il primo ad aprirmi veramente le porte dell'incomprensibile universo del trio nipponico. Ovviamente non è il disco che sconvolge la storia del rock, dello stoner o di qualsiasi cosa, ma è semplicemente la concezione e la posa in opera del tutto che mi fa flippare il cervello. Flood è una mega-suite divisa in 4 parti, da 20 minuti, 2 delle quali caratterizzate da un suono incredibilmente placido, contemplativo e sereno, che già pensando ai Boris sembra una cosa inconcepibile. E' come osservare dall'alto un paesaggio sommerso, per l'appunto, dall'inondazione. La prima parte è forse la meno interessante, con Wata ipnotizzata da un giro minimale all'infinito; ad un certo punto iniziano ad arrivare le rullate di Takeshi da una caverna, che si fanno sempre più forti e assordanti fino a diventare un rimbombo unico. Ma ecco che cambia tutto ed inizia la fase 2, quella paradisiaca; ritmo moviola, due accordi di base di Atsuo, Wata che leggiadra regala l'assolo più lento della storia, ma proprio per questo assaporabile in tutta la sua serena melodicità. Quando la batteria si ferma è la fase 3, un sussurro appena udibile (ovviamente in lingua), breve variazione di accordi, poi sale il fuzz, il drumless space come una sega elettrica, piccola fase pastorale da brivido e poi ritorna il panzer Takeshi. Puro Melvins-style iper-amplificato, saturazione a tutta birra sul riff macellaio, si scende giù all'inferno fino a toccare la lava. La fase 4 prosegue lo stesso riff con quiete liquida fino a sfumare in un ambient impalpabile, per terminare con un minaccioso gong manipolato.
Forse sarò stato l'unico ad esaltarmi così tanto per questo mattone e per Feedbacker, ma non m'importa nulla, chiaramente....

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