giovedì 22 aprile 2010

Boris - Feedbacker (2003)

In un panorama intasato e inflazionato come lo stoner i Boris per me sono una garanzia, oltre che una rivelazione in generale. Sono uno dei gruppi più bloggati in assoluto, così sono corso a procurarmi tutti i loro dischi. Non può essere secondario il fatto che sono giapponesi; la loro cultura per la libertà d'espressione e di estremismo in qualche modo li rende speciali e unici. Sono stato ancora più sorpreso quando ho saputo che alla chitarra sludge-core c'è una ragazza, Wata. (n.b. Intendiamoci, non sto facendo discorsi maschilisti o robe del genere). Sono attivi ormai da 12 anni e al loro attivo ci sono almeno 30-35 dischi comprese le collaborazioni, gli split e i live. Per primo avevo ascoltato Absolutego, ma non mi aveva impressionato più di tanto. Sono rimasto letteralmente sconvolto quando ho sentito Flood e me ne sono innamorato perdutamente. Da allora sono corso a sentire tutto ciò che ho trovato e la mia conclusione è questa: i Boris sono una band assolutamente eclettica, in grado di assimilare tante cose e riversarle sui dischi con estremismo. Stoner, psichedelia, drone, minimalismo, rumorismo, hardcore, metal, trash, pop, questo e quant'altro si può trovare nella marea (flood, appunto!) di releases. Ok, alcune sono deciamente ostiche e non è il caso di alzare troppo il volume, altre sono difficilmente digeribili. Però non si possono confinare assolutamente a cloni dei Melvins, sarebbe un grave errore!
Ho eletto Feedbacker a loro vertice espressivo, una spanna appena sopra il capolavoro Flood. Trattasi anche in questo caso di una suite lunga più di un'ora, divisa in 5 movimenti, da ascoltare rigorosamente senza interruzioni.
E' un ondata in cui perdersi in maniera totale, in cui abbandonarsi senza condizioni. Un opera completa in cui si trova un sunto di molti punti già toccati in precedenza, mixati in soluzione di continuità. Ciò che rende speciale il tutto è un senso di epico e di monumentale che pone Feedbacker come musica senza tempo e senza luogo, anche se ribadisco il fatto che difficilmente una band europea o americana avrebbe potuto concepire questo capolavoro.
Il primo movimento è atmosfera galleggiante, con la Les Paul di Wata in solitario, impegnata in nove minuti di fuzz lento e sospeso, con riverberi glaciali. Nel secondo movimento entrano in scena, molto lentamente, anche la doubleneck di Takeshi e la batteria di Atsuo. L'atmosfera si fa onirica ed echeggiante, con Wata che sfodera un solo minimale da brividi.... Se i Pink Floyd fossero nati in Giappone negli anni '90 avrebbero suonato così.
I tre sospendono, ripartono e Takeshi va al microfono, canta un motivo dimesso e onirico, poi il crushing parte alla grande e il nuovo leit-motiv mi fa drizzare i peli sulle gambe e sulle braccia.
Parte il terzo movimento, la tensione è alle stelle, la saturazione è di poco entro i limiti. Attaccano veloci e appare il basso, questo è puro e naturale stoner non standardizzato.
Non ci sono molte parole per descrivere l'alternanza di stati d'animo, di ritmi e di atmosfere di questo capolavoro. Sono sei minuti, Feedbacker part 3, da assegnare alla storia del rock.
Il quarto movimento deve per forza purificare e sigillare la chisura con una sinfonia di feedback assordanti, e quando anche la batteria si ferma lo scenario è post-apocalittico, post-nucleare.
La chisura è ancora da brividi, riprendendo il secondo movimento contornato dagli ultimi fischi che non ne vogliono sapere di smetterla.....
L'ultimo minuto è etereo, le chitarre minimali e sognanti, ogni volta che lo ascolto vorrei che non finisse mai, mai e poi mai....
Da ascoltare assolutamente anche nella versione ridotta ma egualmente suggestiva, presente sul live-split con Merzbow dell'anno scorso Rock Dream. Esiste anche un DVD bootleg di una versione live negli US del 2005.

(Originalmente pubblicato il 02/03/2008)

2 commenti:

  1. Devo assolutamente sentirli stì tipi quà...li tiro giù subito.

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  2. Sìsì sentilo perchè questa è una roba grossa grossa, veh!

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