venerdì 31 dicembre 2021

Shorty – Fresh Breath EP (1994)

Fulmineo EP di un quarto d'ora scarso che chiuse la repentina carriera degli Shorty, un'anno prima che Al Johnson e Mark Shippy tornassero con gli U.S. Maple. Cinque pezzi roventi e fumiganti, che rilanciavano la proposta già udita l'anno prima con Thumb Days. Se qualche fan dei Jesus Lizard nel 1994 si sentiva deluso dal (presunto) ammorbidimento di Down, poteva rifarsi con gli interessi grazie agli Shorty e le loro tempeste granitiche, i loro ritmi sghembi, la fucina di riff incessanti di Shippy, le urla invasate e beffarde di Johnson e tutto il resto. Unico neo, la produzione un po' da bunker, tipica comunque della Skin Graft di quel periodo.

 

mercoledì 29 dicembre 2021

Protomartyr ‎– Ultimate Success Today (2020)


Buona conferma dei Protomartyr, ormai in possesso di uno di quei trademark distintivi che li rendono bene in vista nell'odierno panorama. Un suono ispido ma mai disturbante, una cifra tecnica modesta (a partire dal cantante, che a quanto pare invece è il personaggio più chiacchierato, forse per le liriche) ma estremamente efficace e composizioni ordinarie quanto ad effetto (The Aphorist su tutte). Io li vedo sempre più come dei National ignoranti, dalle radici punk mai del tutto sopite, con un chitarrista fiero anche nei passaggi più naif.

Il problema di dischi come questo è che oggi li apprezziamo e li ascoltiamo con piacere, ma passato un tempo significativo forse ignoreremo il nome Protomartyr, non conservandone un ricordo significativo.

lunedì 27 dicembre 2021

Screams From The List #103 - Mythos – Mythos (1972)


Affascinante debutto di un trio berlinese che indugiava con disinvoltura fra fascinazioni raga, distensioni etniche, danze flautate alla Jethro Tull, sanguigne impennate blues-rock, allucinazioni cosmiche e minuetti prog. Detta così Mythos sembrerebbe un calderone fin troppo eterogeneo, in realtà i tre sapevano destreggiarsi molto bene, grazie ad una produzione illuminata a fuoco (Dieter Dierks, migliaia di registrazioni, una specie di Conny Plank meno famoso) ed una buona dote compositiva. Soprattutto la seconda suite, Encyclopedia Terra, riesce ad eguagliare gli stati lisergici dei primi Ash Ra Tempel con  trovate non molto ad effetto, ma efficaci. Un nome minore, ma degno di un recupero.

sabato 25 dicembre 2021

Harmonia ‎– Live 1974 (2007)


Un live in patria di materiale inedito dalla fedeltà di livello assoluto per l'epoca, ripescato provvidenzialmente nel 2007, il cui entusiasmo portò addirittura i tre a riformarsi, anche se solo per qualche esibizione dal vivo. Poco da dire, l'ispirazione era ai massimi livelli e le tensioni scaturite di lì a poco in Deluxe ancora a venire, con un Rother stellare a lanciare figure intercalanti nell'iperspazio, Moebius e Roedelius ad innescare macchine umanoidi ed un pubblico a bocca aperta, del tutto impercettibile (e probabilmente non sobrio). A dimostrazione dell'eccellenza, il fatto che i pezzi migliori siano i più lunghi: Veteranissimo e Holta-Polta. Talenti fusi in un contesto sicuramente superiore alla somma dei singoli.

giovedì 23 dicembre 2021

Miasma & The Carousel Of Headless Horses ‎– Manfauna (2007)


Mini di 20 minuti, purtroppo rimasta l'ultima testimonianza in studio di questo eccellente quintetto che due anni prima fece la comparsa con il fenomenale Perils. Il side project dei Guapo, con O'Sullivan impegnato alla chitarra e Dave Smith alla batteria apocalittica, trovò qui un canto del cigno all'altezza, che avrebbe meritato assolutamente un proseguimento. Tre pezzi: Manticore, elaboratissimo e ricco di spezie balcaniche in tipica ambientazione da fine del mondo guapiana. Taus, sinistra e greve soundtrack di cuscinetto. Garp Gadriel, si apre leggiadra con piano e violino (a me ricorda certe partiture di Roger Eno!), e poi monta la grandeur guapiana progressivamente fino al climax finale. Spettacolare.


martedì 21 dicembre 2021

Galaxie 500 ‎– Peel Sessions (2005)


Due sedute da San John Peel, una nell'Ottobre 1989 e l'altra nel Novembre 1990, a pochissimo tempo dallo split. Un totale di 8 pezzi, metà cover e metà estratti dal loro album migliore. Un assemblaggio che sulla carta non avrebbe aggiunto nulla alla sostanza della storia di questo trio, ed invece funziona perchè le renditions furono eseguite con un piglio più focalizzato ed un energia che poteva creare spiragli per sviluppi futuri, che ovviamente non ci furono. 

E fa aumentare un po' il rimpianto perchè in fondo i Galaxie 500 furono un'incompiuta, un gruppo che forse non si prese abbastanza sul serio e non si concentrò per realizzare il meraviglioso disco che hanno soltanto sfiorato. Per fortuna, ci avrebbero pensato i Low a proseguire quella tradizione, con più talento e convinzione. A loro testamento, Decomposing Trees appare qui in una superba versione.

domenica 19 dicembre 2021

PJ Harvey ‎– White Chalk - Demos (2021)


Nel 2020, a 27 anni di distanza dai 4 Track Demos, PJH ha ripreso a pubblicare dei demos dei suoi vecchi dischi. Questa volta però non si è fermata, e ad una cadenza repentina la Island ha messo sul mercato tutte le versioni grezze dei suoi albums. Una tendenza strana e forse sintomatica, visto lo iato ormai di un lustro dal suo ultimo originale, interrotto soltanto da una bellissima colonna sonora.

White Chalk sembra essere il grande controsenso di questa operazione gigante, trattandosi del suo disco più scarno, dimesso e meno arrangiato della collezione. Fu il simbolo della massima introspezione ed abbandono, forse influenzato dalla fine di una relazione, fatto sta che mi prese il cuore fin dal primo ascolto e continuo a reputarlo il mio preferito, a dispetto della critica che non lo ha mai accolto bene. Inutile tornarci sopra più di tanto, questi Demos in fondo rappresentano una scusa per riascoltarselo, da poca che è la differenza sostanziale con l'originale (quasi nessuna strutturale, il canto più fragile ed incerto, un riverbero naturale che non guasta per niente). E godere di questa PJ così raccolta, intimista e superbamente di rottura per i suoi canoni.

venerdì 17 dicembre 2021

For Against - December (1989)


Due anni dopo il bel debutto di Echelons, il trio del Nebraska rilanciò con la propria formula da brillantissimi ritardatari del post-dark-punk, ma al contempo rinvigorendo ed irrobustendo la  componente spleen-pop-jingle-jangle che, complice il rimpasto di formazione, verrà smascherato definitivamente qualche anno dopo con il bellissimo Aperture. Più che un disco di transizione, quindi, una conferma di abilità compositive (Sabres, Stranded in Greenland, The Last Laugh) e registrazione, eccellente nonostante l'indipendenza della proposta. Peculiare, più che nell'esordio, il percussionismo di Hill, un performer illuminato ed iper-dinamico (avvicinabile veramente a Stewart Copeland), capace di caratterizzare un suono che generalmente non lasciava molto spazio ai batteristi. Il suo abbandono costringerà il gruppo a cambiare stile in maniera drastica, ma la storia dei For Against proseguirà con ottimi risultati anche molti anni dopo, così come tante altre storie di abbandoni dolorosi e non sostituibili con disinvoltura, a condizione di avere una minima scorta di talento.

mercoledì 15 dicembre 2021

Stray Ghost - If I Could Cross The Space To You (2020)


Come espressamente dichiarato, si tratta dell'ultimo disco del Fantasma Randagio. Anthony Saggers, giunto a 33 anni e sistematosi in Turchia dopo aver conosciuto la sua White Rose, è giunto alla conclusione di dover chiudere il glorioso ciclo che l'ha visto pubblicare tante belle perle nel corso di un decennio, per l'appunto, molto vagante. Condivido la sua scelta al 100%, dal momento che la sua torrenziale discografia può ritenersi più che completa. Partito come scultore di suoni e cattedrali imponenti, l'inglese ha via via affinato la sua arte verso un neo-classicismo minimale e sempre più emotivamente pregnante. Purtroppo, aggiungo io, senza guadagnare consensi nè un pubblico consistente.

If I Could Cross The Space To You sembra un titolo programmatico: se potesse arrivare ad un pubblico più vasto, se potesse colmare quella distanza, il buon Anthony meriterebbe un bel po' di plausi. Spero soltanto che non si arrenda e che trovi nuove forme di espressione per la sua grande anima. Non è il suo disco migliore, probabilmente, ma lo consiglierei a qualsiasi neofita disposto a mettere a disposizione delle proprie orecchie l'elegia della lentezza, della quiete e della contemplazione. E citando il mio pezzo preferito del lotto, è suonato quasi come un addio...

lunedì 13 dicembre 2021

Explosions In The Sky ‎– Those Who Tell The Truth Shall Die, Those Who Tell The Truth Shall Live Forever (2001)


Potremmo essere davvero in pochi a pensarla così (di sicuro la stampa lo esclude), ma il mio album preferito degli EITS resta sempre e comunque The Earth is not a cold dead place del 2003, un capolavoro grondante di emozioni, sobbalzi, lanci e cadute. Per me la miglior sintesi del loro selvaggio romanticismo resta fotografata in quel magico firmamento sonoro. Considerando che negli anni '10 hanno rilasciato soltanto 2 album che purtroppo hanno certificato un declino ispirativo forse inevitabile, è naturale andare a ripescare il loro secondo Those Who Tell the truth..., che all'epoca fece sensazione e li smarcò dall'ombra del paragone con i Godspeed. Non ascoltandolo da almeno 15 anni, resto con piacere dell'idea che fu disco seminale per tantissimi epigoni, che contenga grandi anticipazioni (Yasmin the light e With Tired Eyes...), e che abbia l'unica pecca di non essere perfettamente omogeneo, con qualche piccola dispersione. Un problema da poco, comunque, soprattutto in prospettiva. In fondo suonavano soltanto da un paio d'anni, e la sensazione di un gruppo capace di fare imprese la cogliemmo in tanti.
 

sabato 11 dicembre 2021

Toygasm ‎– Nighttime Rainbows (2020)

Altra porticina che si apre a seguito dello split di Lucky Pierre, anche se in ottica minore rispetto alla meraviglia targata Nyx Nòtt, a mio avviso disco dell'anno 2020. Durante la primavera 2020 Aidan Moffat varò la sua tape label personale Little Box Of Hiss, dedita a nastri registrati in solitudine, in sede casalinga. Che fosse per noia o per forzata inattività poco importa, perchè il Nostro è in una fase molto creativa e trovo giusto che si esprima in tutte le salse che gli vengono (così come su Twitter, dov'è verboso ai limiti dell'incontinenza). Toygasm è il primo capitolo, concentrato su suoni ricavati da giocattoli, apps, field recordings e tastierine di varia natura, con alcune comparsate vocali dei piccoli Samuel e Mabel, presumibilmente i suoi figli. E' quindi un florilegio di autoharp, carillon, melodiche, campanellini, tamburelli, cicalecci di pianino, nella consueta (e adorata, almeno da me) vena trasognata di AM, fra hauntologia polverosa e dolce malinconia. Un disco giocattolo, quindi, dedicato ai suoni dell'infanzia, che recupera gli intermezzi più ludici di alcuni capitoli Lucky Pierre e li amplia con il suo proverbiale know how. Una delizia a cui abbandonarsi, che si può apprezzare ancor di più se si ha un figlio in età infantile ed al quale consiglio anche di provare a somministrare. Il mio ha gradito.
 

giovedì 9 dicembre 2021

Hash Jar Tempo ‎– Well Oiled (1997)


Devo ammetterlo, non ho mai approfondito la figura di Roy Montgomery, chitarrista nato a Londra ma cresciuto neozelandese, attivo da una quarantina d'anni nell'underground, ma che ha guadagnato un minimo di visibilità soltanto a metà '90's con qualche album su Kranky. Forse sarà anche perchè alcune delle sue collaborazioni più rinomate (Dadamah e Dissolve) mi hanno tutt'altro che fatto impazzire. Eppure si tratta di un artista idolatrato da PS al punto di riuscire ad ottenere un ultra-raro 9/10 con questo Well Oiled, lunghissima escursione psichedelica condivisa con gli statunitensi Bardo Pond, probabilmente anime gemelle nello spirito e nelle applicazioni. Data la natura presumibilmente improvvisativa del disco, si dev'essere trattato di un agglomerato di jams come viene viene, nel senso più nobile del termine.
La solista di RM è indiscussa protagonista e perno centrale, sia in veste acida e puntuta che in forma di rombo galattico. Sette pezzi senza titolo, della durata da 2 a 18 minuti. Difficile aggiungere qualcosa di concreto a livello descrittivo: è senza dubbio un gran bell'ascolto per chi ama queste sonorità, ma da qui ad assegnargli 9/10 ce ne corre. Evidentemente PS si trovava in una fase particolare quando ha fissato il voto...assunzioni di natura chimica?

martedì 7 dicembre 2021

Von Lmo ‎– Tranceformer (Future Language 2.001) (2003)


Antologia redatta dalla spagnola Munster nel 2003, che si è occupata di recuperare un tesoretto niente male degli archivi di Frank Cavallo, un personaggio del quale ho già disquisito in un paio di occasioni. Trattasi di un doppio che include Future Language, l'album di debutto risalente al 1981, che in larga parte fu ripreso dopo ben 13 anni dalla Variant in Cosmic Interception. Poco altro da aggiungere, se non che le registrazioni lo-fi in prospettiva non rendono migliori le versioni originali, ma è un dettaglio tutto sommato trascurabile: irresistibile acid-punk fantascientifico suonato con furore iconoclastico.
Transformer invece recupera una decina di inediti e rarità assolute registrate in maniera precaria fra il 1978 ed il 1984, con ogni probabilità tutte in presa diretta; tutta roba che strameritava di uscire dai cassetti. Eccezionali in particolare We're not crazy, Transformer, Flying Saucer '88, Zivoid Is Cuming, Womb of eternity. In due parole, un suono anfetaminico che eredita le componenti più dure di Hawkwind, MC5, ma con quell'aggiunta cyberpunk che lo rendeva originalissimo. E con un frontman oggettivamente superbo e folle, dalla voce carismatica ed incontrollabile agli assoli sulfurei di una chitarra che in più di un tratto anticipa clamorosamente le scorribande yankee del noise-rock '80/'90.

domenica 5 dicembre 2021

Flying Saucer Attack ‎– Further (1995)


Il secondo album dei FSA, dopo gli sconquassi eterei in feedback di Rural Psychedelia, si propose di mettere un minimo di ordine in un sound caotico ed apparentemente incontrollabile, e gettò la maschera rivelando un songwriting acustico di finissimo cesello; In the light of time, Come And Close My Eyes, For Silence, She is the daylight sono gemme trasognate a base di fingerpicking cristallino e la voce di Pearce echeggiante, in pura trance. Al di sopra di queste tenui architetture, l'eruzione di chitarre laviche e risonanze al di sopra della soglia di controllo continuò ad essere il trademark insostituibile del duo, facendo sì che Further resti un gioiello di stridore e stupore, come quello che instillò all'epoca, al netto della sorpresa del debutto. Dopo oltre un quarto di secolo, conserva ancora tutte le caratteristiche essenziali e non risulta per nulla datato.

venerdì 3 dicembre 2021

Windhand ‎– Eternal Return (2018)


Dopo un disco interlocutorio nel 2015, i Windhand sono tornati ad una prova convincente ed ai livelli eccelsi dei dischi con cui li avevo conosciuti. Non ci sono stravolgimenti sostanziali, sempre di doom-metal melo-ortodosso si tratta, ma sono i dettagli in particolare a far brillare Eternal Return. Qualche striata galattica di chitarra che sparge un po' di pepe, un paio di pezzi standard particolarmente riusciti (Halcyon e Eyeshine si candidano a palma del loro repertorio), un paio di varianti con bpm sostenuti (Red Cloud e Diablerie, e Pitchfork ha tirato in ballo il grunge.....), i fills del batterista più interessanti del solito ed una sensazione di compattezza granitica che in fondo stabilisce la loro cifra stilistica principale. Difficile stabilire se si tratti di un punto di non ritorno, perchè alla prossima prova sarà difficile fare di meglio, se non opereranno una rivoluzione netta e decisa.

mercoledì 1 dicembre 2021

Braen's Machine ‎– Temi Ritmici E Dinamici (1973)

 

Il secondo album della premiata ditta Alessandroni (aka Girolamo Ugolini) ed Oronzo De Filippi (aka Awake) non fu una replica della scatenata hard-library di Underground, bensì una più canonica rassegna di strumentali di sonorizzazione in guisa light, tutti di 3 minuti, con probabile focus sull'attività sportiva, come intuibile dalla cover e da alcuni titoli. Competizione, Attività all'aperto, Esercizi Ginnici, Allenamento, eccetera eccetera.

Una facciata a testa ed il vinile è diviso in due come una mela. Meglio quella di Alessandroni, raffinato ed ispirato come gli capitava spesso in quegli anni, capace di snocciolare composizioni elegantissime per sezione ritmica, chitarra discreta ed ornamenti di moog, celesta (o spinetta) e flauto. Più paciosa e gigioneggiante quella di De Filippi, che immagino abbia utilizzato gli stessi session men. L'impressione finale è comunque quella di un disco coeso, che come una macchina del tempo ci teletrasporta nell'Italia post-boom, per una mezz'oretta abbondante di purissimo gusto.