sabato 12 giugno 2010

PJ Harvey - White chalk (2007)

Più passa il tempo e più la stampa si fa indifferente nei confronti di lei. Lontani i tempi in cui si guadagnava le copertine, in cui si metteva sotto i riflettori in intimo. La Polly vicina ai 40 anni sembra una donna che non ha perso la propria inquietudine, ma la affronta con matura consapevolezza e un po' di spleen. Che sembra scorrere a fiumi in White Chalk, di sicuro il disco più sommesso, riflessivo e perchè no, triste della sua storia.
Le prime tre tracce sono delle coltellate barocche al centro del cuore: The devil, Dead Darkness e Grow nascono per voce e piano e sviluppano arrangiamenti con poco altro, una leggera vena sinfonica e la solita, immarcescibile classe compositiva, seppur virata in toni nero-trasogna(n)ti. La ritmica è pressochè inesistente in questo disco che forse avrà diviso le schiere dei vecchi fans. Un filo di luce s'intravede nella title-track, in cui s'affaccia una timida chitarrina. Il folk minimale di Broken harp e la cantilena drammatica di The piano diventano nobilissimi surrogati per chi eventualmente sarà rimasto deluso dalla svolta soul di Cat Power.
Ma ben presto si sprofonda di nuovo negli abissi tristissimi con i quali si era partiti, nei quali trova il modo di estrarre perle finissime come To talk to you o la terminale The mountain, con vocalizzi rabbrividenti che sembrano visualizzare la Harvey perdersi in un vortice misterioso e tutt'altro che rassicurante.
Un disco coraggioso ed ostico. Lunga vita a Polly, finchè ce n'è così.

(originalmente pubblicato il 01/09/09)

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