lunedì 30 maggio 2022

David Sylvian – Dead Bees On A Cake (1999)


E' giunta l'ora per me di rivalutare un disco che all'epoca non ripagò adeguatamente la lunghissima attesa. Erano infatti passati ben 12 anni da quello che restò il suo insuperabile capolavoro, ed in quel lasso di tempo DS aveva fatto qualsiasi cosa non fosse un album solista, in ordine sparso: la dissimulata riunione dei Japan, gli esperimenti ambientali con Holger Czukaj, qualche tour autocelebrativo, la discussa e controversa avventura con Fripp, e forse altro che non ricordo e non ho voglia di andare a scovare. Dead bees on a cake comparve con sembianze di grande speranza, ma in realtà, ad una manciata di anni dall'irreversibile metamorfosi del nostro, rappresentò un enorme compromesso fra le meraviglie passate (I surrender, Thalhiem, Cafè Europa, The shining of things), spiccatissime derive ethno-world, sofisticazioni di lusso quasi salottiero, e persino una sfuriata free-jazz. Un album molto ma molto eterogeneo, quasi incasinato se non suonasse come un insulto alla classe sylvianiana. Non diventerà un capitolo molto amato per i fans, ma merita una ripresa anche soltanto per il poker sopra citato, una sorta di testamento di ciò che aveva rappresentato negli anni '80, lasciando aperti grandi interrogativi su quello che sarebbe stato il filone esplorativo di lì a venire. Che nessuno potè prevedere, in ossequio ad uno spirito inquieto e nomade com'è sempre stato.

venerdì 27 maggio 2022

Van Der Graaf Generator ‎– Live At Rockpalast - Leverkusen 2005


Uno degli ultimi concerti del primo tour della storica riunione, che ha fruttato anche relativo DVD, curiosamente pubblicato soltanto nel 2018. Soprattutto, in pratica l'ultima occasione nota con David Jackson che di lì a poco se ne andrà sbattendo la porta, e di conseguenza l'ultima occasione per ascoltare determinati pezzi impossibili da suonare senza di lui, che scompariranno dal repertorio live. 

Noi che amiamo il Generatore come poche altre entità, sappiamo che quei concerti erano tutt'altro che perfetti, in quanto la perfezione non ha mai fatto parte di esso. I quattro magnifici avevano tanta, tantissima ruggine da scrollarsi di dosso, e forse le tensioni montanti con Jaxon giocarono la loro parte. 

Detto questo, se si assimilano serenamente tali imperfezioni, Rockpalast fu soprattutto una grande prova di Hammill e Evans, una buona di Banton ed una un po' affaticata di Jackson. Il fattore reunion, che all'epoca fece il proprio rumore, ora che sono passati 15 anni, è giocoforza affievolito. La determinazione nell'andare avanti nonostante l'incidente darà loro piena ragione. Menzione speciale per Lemmings, Darkness, Childlike Faith e Every bloody emperor.

martedì 24 maggio 2022

Chrome – The Visitation (1976)

Solitamente relegato a poco più che una curiosità, soprattutto a causa del pauroso avvenire che aspettava i Chrome da lì ad un anno, The Visitation è un disco stranissimo ma degno di rivalutazione e tenendo presente che si trattò di una prima autoproduzione, occorre dare alla buonanima di Damon Edge quello che gli spetta. Nell'attesa di incrociare le scariche elettriche con Helios Creed, il batterista/ideologo lasciava la parte puramente melodica ai competenti John Lambdin e Gary Spain, mentre il cantante era un tal Mike Low, in possesso di una voce dai toni piuttosto alti, con un timbro neutro, non proprio memorabile. La musica era la vera anomalia: con Edge indeciso fra pantomime esotiche ed i suoi caracollanti ritmi ostinati, Lambdin e Spain mettevano in scena uno stranito acid-street-rock con puntine di decadenza e qualche piccolo effetto sci-fi, che qualche critico ha brillantemente definito un'incrocio fra il Brian Eno cantautoriale ed il Santana non ancora trivializzato. Segnali anticipatori di ciò che Edge stava cantierando si possono udire su Return To Zanzibar, Sun Control, Memory Cords Over The Bay. Davvero niente male, e pensare che un discografico interpellato rese i nastri al mittente definendolo un pasticciaccio derivativo dei Doors (..!..).

La feticistica Cleopatra l'ha ristampato in cd nel 2014, e le interessanti liner notes riportano una cronaca dettagliata a cura di Lambdin e Spain sulle origini del gruppo, tratteggiando un ritratto della complessa personalità di Edge e delle dinamiche interne al gruppo, da cui in seguito i due suddetti si ritrovarono fuori per motivi non dipendenti dalle loro volontà. Fecero comunque in tempo a partecipare alla storia ed esserne esclusivi testimoni.

sabato 21 maggio 2022

White Birch – The Weight Of Spring (2015)

 Il ritorno di Ola Fløttum a 10 anni di distanza dal precedente, sublime Come Up For Air. Durante quel lungo silenzio, erano ovviamente successe un po' di cose. I WB come entità conosciuta nel decennio precedente si erano sciolti nel 2006, ed il factotum si era dato alle sonorizzazioni ed alle soundtracks, oltre a metter su famiglia. Accatastando materiale non idoneo alle sue commissioni, si accorse che ce n'era abbastanza per poter concepire una nuova opera d'artigianato a nome WB, e realizzarla con un paio di collaboratori necessari alla strumentazione di accompagnamento, con la Glitterhouse a patrocinare volentieri.

Fu un torto agli ex compagni di avventura? Non lo possiamo sapere, possiamo solo ringraziare che il norvegese abbia dato alle stampe un'altra puntata del suo melanconico, etereo, soffuso catalogo, fatto di ballads avvolgenti, così intimamente scandinave e pregnanti di calore umano, col surplus della maggiore esperienza a compensare qualche piccolissimo cedimento di stanca in scaletta. Spiccano il volo per la stratosfera The Fall, Lamentation, Winter Bride, Spring. La primavera ha un suo peso, Ola Fløttum il suo specifico l'ha ampiamente dimostrato. Speriamo affastèlli ancora, in qualsiasi altra stagione.

mercoledì 18 maggio 2022

Built To Spill – Ultimate Alternative Wavers (1993)


Liberatosi dai modesti Treepeople, Doug Martsch tornò a casa e si fece il suo gruppo, inizialmente con la sezione ritmica di Youtz e Netson. Con questo debutto così potè mettere in scena il suo personalissimo cantautorato elettrico, certamente erede delle epiche nevrosi neilyounghiane, che genererà uno dei più grandi capolavori americani degli anni '90, un live all'altezza ed una maturità più che dignitosa, anche se a singhiozzo. Visto in prospettiva, quindi, UAW è un disco grezzo, prodotto un po' lo-fi e con alcune incertezze, ed anche a causa di ciò all'epoca venne salutato come l'opera prima di un gruppo promettente, simbolo del trapasso del grunge e del recupero di certe radici, valorosamente aggiornate a quei giorni. Esemplari ed anticipatori delle meraviglie future: Shameful Dread, Three years ago today e Built To Spill. Il deposito del marchio.

domenica 15 maggio 2022

Yellow Swans ‎– Psychic Secession (2005)

Ora che è passato un certo numero di anni, penso che di tutta l'ondata american-noise degli anni zero, gli YS possano essere definiti un nome da podio globale. I loro colossali lavori della maturità, At All Ends e Going Places, stabilirono uno standard difficile da replicare grazie alla cura maniacale del suono ed alle tessiture strutturali, capaci di rasoiare senza pietà ma anche di concedere astrazioni non facili da cogliere al volo. Psychic Secession, il secondo maggiore (ma la loro discografia è una selva inestricabile, in questo non sono stati da meno degli altri), conteneva già in nuce questa tendenza ai chiaro/scuri, anche se tagliata ad una grana molto grossa. Il mastodontico True Union, di 20 minuti, è un'alluncinato space-harsh che rende la vita molto difficile al resto della scaletta, che ne soffre un po' le conseguenze fino all'astrattismo finale di Velocity of the yolk, in cui una straniata voce femminile segnala la sua presenza in uno scenario post-nucleare. A quel punto, il cerchio sembra chiudersi magistralmente.

giovedì 12 maggio 2022

Angel'in Heavy Syrup ‎– III (1995)


Il terzo delle acid-queens nipponiche, in chiara progressione rispetto ai precedenti, grazie anche all'ingresso di un'altra chitarrista che arricchiva ed irrobustiva il suono. Fra le pochissime bios a loro dedicate in rete, ne ho letta una che inizia definendole un incrocio fra Cocteau Twins e Butthole Surfers, davvero fantasiosa anche se in effetti qualche venatura dream-pop si può udire lungo la scaletta. Meno Pink Floyd e decisamente più Amon Duul II, III è un viaggio emozionante con delle avventurose escursioni lisergiche (Breath of life, Flower And Dream, Water Dream), tutt'altro che perfetto (il canto, spesso stonato, è un evidente stecca nel contesto) ma suonato gettando il cuore oltre l'ostacolo.


lunedì 9 maggio 2022

Low ‎– Double Negative (2018)


Nel riuscito tentativo di invecchiare con dignità, conservando la propria essenza ma cercando nuovi stimoli e sbocchi, i Low hanno semplicemente cambiato il vestito delle loro arrendevoli ballads. Apparentemente non è cambiato molto dai primi, commoventi, struggenti albums; la loro fonte di ispirazione resta quella dell'introspezione e dell'ispezione dell'anima più profonda. Dopo aver attraversato una crisi di mezza età, per gran parte degli anni Zero, da qualche anno hanno saputo trovare la forma migliore facendosi produrre da uno specialista, tal Bj Burton, che li ha spinti verso panorami espressivi di elettronica aspra, stridenti desolazioni mixate con gli immancabili impasti vocali di Sparhawk e Parker. Si potrebbe definire il Kid A dei Low, con le dovute proporzioni temporali. La critica si è unanimemente strappata le vesti per questo disco, io non faccio altrettanto ma non posso fare a meno di sottolineare il pregio ed il piacevole disorientamento grazie al quale i Low stanno invecchiando molto, ma molto bene. Eccellenti Dancing and blood, Always trying to work it out, Dancing and fire, Poor sucker.

domenica 8 maggio 2022

Van Der Graaf Generator - Live Teatro Delle Celebrazioni, Bologna 05/05/2022


(Nota: non appena Max si degnerà di passarmi le innumerevoli foto che ha scattato, provvederò a pubblicarne una selezione). Che ogni volta possa essere l'ultima, è un dato di fatto, ma i VDGG sembrano viverla in maniera leggera, leggerissima. Il divertimento di Peter Hammill è stato visibile e contagioso, in questa data al Teatro Delle Celebrazioni di Bologna (non c'ero mai stato, un'acustica eccezionale) che originalmente era prevista per l'aprile di due anni fa. Il suo italiano, notevolmente migliorato, ci ha fatto capire che lo spirito del gruppo era assolutamente sereno, alla vada come vada, siamo ancora noi, con i nostri limiti e la ruggine del tempo, siamo la nostra storia che resta scolpita nella pietra, la rappresentiamo ancora e siamo qui per voi che ci stimate ed avete fatto i biglietti prima del Covid, pazienza se abbiamo due anni in più. Quando annuncia Alfa Berlina, PH parla della genesi e con un sorriso allarga le braccia pronunciando 50 anni fa.... 

Il pubblico è evidentemente composto da fedelissimi stagionati, teste calve in abbondanza, teste calve con zazzere bianche, barbe candide, andature stanche, ma con entusiasmo da ragazzini da vendere. Guy Evans ha sempre lo stesso sguardo impenetrabile, mai una smorfia nè un sorriso; il batterista più apocalittico della storia, dò una notizia, non sbaglia ancora un colpo. Hugh Piè veloce Banton stesso discorso, si aiuta con un monitor sopra la tastiera ma con l'immancabile moto perfetuo di raddrizzare la schiena all'indietro per controllare cosa succede a terra. E PH, sempre più umano ed erratico, erroneo e per l'appunto, divertito, con una forma vocale che a 73 anni e mezzo fa paura. Quando imbraccia la chitarra per Lemmings, capisci che la postura non può essere diversa ed al limite cogli che i riflessi non sono certo più gli stessi; di conseguenza la commozione ed il ringraziamento è maggiore rispetto a 10, 15 anni fa, a questi grandi uomini.

Il repertorio è in larga parte dedicato a Do Not Disturb e A Grounding In Numbers, a riprova della fierezza più recente e della fiducia in quanto (presumo faticosamente) messo a punto in età già avanzata, o perchè no, per la stanchezza e la dedizione che richiedono i numeri più antichi, per quanto più amati dal pubblico. Saremo anche vecchie cariatidi, ma abbiamo un orgoglio grande così, oltre che il cuore. Spicca l'inaspettato recupero di Masks, il brivido teatrale di Childlike e pazienza se House with no door, invocata più volte da un esuberante spettatore, viene eseguita nel bis con più di un indecisione e qualche accordo sbagliato. Se sia l'ultima volta, non lo so, ma non è mai troppo tardi per il Generatore, perchè è eterno e può trovare sempre nuovi estimatori. Giusto, Max?

venerdì 6 maggio 2022

Leanan Sidhe – Planesequence (1994)


Non ho alcun dubbio: se invece di essere fiorentini i Leanan Sidhe fossero stati nativi di Chicago o Boston o Minneapolis, avrebbero inciso per la Kranky. E a dire il vero, se degli eventuali demos di Planesequence fossero finiti sulla scrivania dei due boss dell'appena nata etichetta, probabilmente li avrebbero posti sullo stesso piano dei Jessamine o dei Labradford, perchè gli si avvicinavano molto, anticipando di un soffio anche le sonorità di bands come i Bowery Electric, con una ricetta speziata di wave, trance alla Loop e shoegaze, scandita da ritmiche inquiete, chitarre espanse e canto strumento aggiunto. 

Planesequence ha avuto soltanto un limite, quello della sostanziale auto-produzione; una mano più sapiente li avrebbe indirizzati su un suono meno compresso, liberando al meglio gli interscambi fra gli strumenti e donando una fondamentale profondità. Resta comunque la sostanza di un viaggio emozionante e variopinto, con tanti di quegli spunti creativi che, per l'appunto, avrebbero fatto un figurone su Kranky e costituito un trampolino di lancio per intere carriere di nomi minori. Non era destino, purtroppo.


martedì 3 maggio 2022

Kafka's Ibiki – Okite (2014)


Un'anno dopo il debutto, il trio di Ishibashi (piano), Yamamoto (batteria) e O'Rourke (elettronica) replicava con un'altra improvvisazione, questa volta in un unico flusso organico di 38 minuti. Le fonti di ispirazione restano indubbiamente le maratone dei Necks, con O'Rourke a svolgere la mansione di eccellente effettista (presumo in maggior parte con la chitarra, un po' alla Ambarchi) a ravvivare un panorama che gli altri due portano avanti con ostinazione, la Ishibashi con cascate minimali e Yamamoto con patterns sottotraccia molto insistenti. La svolta al minuto 23, quando la suite sembra essere giunta al termine e dopo qualche minuto di stasi ambientale rinasce come una fenice sotto forma di tempesta magnetica space-free-rock, con Yamamoto sugli scudi. Notevole.