mercoledì 16 maggio 2012

Caretaker - An Empty Bliss Beyond This World (2011)

E' un personaggio che ho conosciuto da poco tempo, l'inglese James Leyland Kirby. Davvero particolare: tanto è profondo e psicologico il suo lavoro quanto sfrenata (almeno a quanto sostiene in un intervista) la sua vita nei locali notturni.
Immerso in un mondo tutto suo e fieramente schierato a favore della propria originalità, il ricciolone agisce da più di dieci anni sotto alcuni pseudonimi: se il progetto col nome proprio denota un'impressionante scultura di spleen ambientale (bellissimi gli ultimi due Sadly The Future Is No Longer What It Was e Eager to Tear Apart the Stars), quello a nome The Caretaker si occupa con ostinazione di ricerche mnemoniche attraverso un lavoro collagistico che a tratti ha del sublime.
An Empty Bliss Beyond This World nello specifico è un affresco che attinge a piene mani da una musica antichissima e da vinili oltremodo obsoleti. Il fruscio e gli scricchiolii della puntina su quei solchi stanchi e danneggiati diventa un sottofondo avvolgente, e non mi sarei mai aspettato di scoprire quanto fosse bella questa musica (jazz anni '30? '40?) nelle mani sapienti del Custode evocativo. Per dirne una, è stato disco dell'anno per Mattioli di Blow Up.
Appaiono così disincantate orchestrine per archi e trombe (All you are going to want to do is get back there, Libet's delay, Camaraderie at arms length), compassate sonatine pianistiche che evocano realmente immagini di un passato remotissimo (Moments of sufficent lucidity, A relationship with the sublime, Tiny gradiations of loss, fra le migliori), senza che venga meno il lato più oscuro di Kirby che esplora anche panorami angosciosi come nella trascendente I feel as if I might be vanishing.
Il risultato finale è che sembra di essere trasportati in un mondo ovattato, fuori dal tempo, melanconico ed allegro al tempo stesso (pare che il concept sia ispirato ai ricordi che l'ascolto della musica istiga nei malati di Alzhaimer). Si tratta del disco che ho ascoltato di più in assoluto negli ultimi 2-3 mesi, una vera e propria ossessione.
Kirby è un musicista davvero incontinente e mi ci vorrà una vita per ascoltare la maggior parte dei suoi lavori, ma credo sia una missione da compiere.

martedì 15 maggio 2012

Captain Quentin - Instrumental Jet Set (2011)

Intrigante quintetto, e fa ancor più piacere che provengono dalla Calabria, che a mia memoria non è che abbia mai generato grosse espressioni in campo alternativo. Il disco è strumentale e propone una specie di math divertito e gioviale, mai eccessivo in nessun senso, con una produzione estremamente curata. L'ausilio ad intermittenza di synth e sax gioca a favore dell'effetto varietà, e le tessiture chitarristiche sono interessanti.
Come primo passo non è per niente male. Spero osino di più la prossima volta, ma in fondo va bene così.

RIPESCAGGIO: Acqua Fragile - Mass Media Stars (1974)


(Premessa: a 2 anni di distanza scopro la misteriosa scomparsa di questo post: probabilmente è opera della DMCA, senza nessun avviso come successe con i Nirvana un paio di volte. Ma tanto devono fallire, quindi una volta in più o in meno non fa nessuna differenza)
*****
Furono una piccola anomalia nel panorama prog italiano, perchè Lanzetti aveva studiato in America e al suo ritorno decise di cantare in inglese. Il vocalist, che poi avrebbe di fatto determinato lo scioglimento rispondendo alla sirena della PFM da sbandata americana, doveva molto a Gabriel (quindi moltissimo a Chapman dei Family) per la sua impostazione vocale vibrata e sostenuta. Altra curiosità, le musiche erano composte dal batterista Canavera che poi era forse l'elemento meno in vista nel sound ricco e pieno dell'AF, esso stesso debitore di influenze genesisiane, lato chiaro in rilevanza. Ma nonostante gli scomodi paragoni, in questo album i parmigiani sfornavano 6 piccole suite prog-suggestive, senza mai indugiare in sepolcralità di alcun tipo e denotando una bravura tecnica impressionante, con una cura maniacale per le parti corali. Fra acusticherie bucoliche e fughe serrate, il vertice è senz'altro la pirotecnica Mass Media Stars, labirinto multicolour con il bassista Dondi in grande evidenza.
Anche se non vengono mai citati nelle superclassifiche del prog italiano, decisamente molto bravi.

(originalmente pubblicato il 05/05/2010)

lunedì 14 maggio 2012

Captain Beefheart - Ice cream for crow (1982)

Vien da pensare che l'abbandono susseguente a quest'ultimo capolavoro non fosse premeditato, tant'è che addirittura venne approntato un videoclip promozionale per la title-track che apre sbeffeggiante la scaletta.
Non c'è molto da dire, se non che si tratta di uno dei 3-4 migliori dischi in assoluto di una carriera che si interruppe troppo presto, ad appena 40 anni per quest'uomo unico e geniale. E' persino più ispido dell'ottimo precedente Doc At The Radar Station, è un giro urticante scandito dalla sua verbosità sempre più roca ed irrefrenabile. Poche le concessioni a melodie, ci sono un paio di strumentali per dare giustizia alla Magic Band di turno, diverse le tracce da far strabuzzare gli occhi: Cardboard cutout sundown, che si direbbe outtake di Trout Mask Replica, The past sure is tense, Ink Mathematics, The thousandth and tenth day of the human totem pole (con assolo delirante di clarinetto, da non perdere), la conclusiva Skeleton is good. Titolo quasi programmatico, fine della corsa.
Era lo stesso anno in cui si scioglieva anche la prima versione dei Pere Ubu. Difficili, gli anni '80.

domenica 13 maggio 2012

Can - Future Days (1973)

Amarcord: un Planet Rock di metà anni '90, un Mixo estasiato che mette su Bel Air e interrompendola a 4'23" irrompe con un "Bam! Ti esplode in testa!".
Seppur meno celebrato rispetto a Tago Mago, questo capitolo dei Can non è da meno come portata storica. E' meno stravagante, è quasi esotico. La facciata A si muove su passi etnici con un Liebezeit che si dà parecchio alle percussioni, un Karoli protagonista di svisature a tutto tondo, con la title-track e Spray che si adagiano neanche troppo freneticamente su lidi psichedelici extra-sensoriali. Suzuki non si scompone mai e sembra messo un po' in disparte, tant'è che di lì a poco abbandonerà.
E' la facciata B a fare storia. I 3 minuti di Moonshake (talmente influente da dare il nome ad un ottimo gruppo inglese su Too Pure negli anni '90) mettono in scena una danza sorniona a dir poco irresistibile, poi vengono i 20 minuti della magnifica Bel Air, un po' versione edulcorata di Aumgn, un po' Halleluwah, ma in gran parte esplorazione nell'ignoto come soltanto i Can potevano elaborare al tempo.

sabato 12 maggio 2012

Calm Blue Sea - The Calm Blue Sea (2008)

Sembrerebbe difficile trovare parole nuove per l'epic-instru della più bell'acqua come nel caso di questi bravi Austiniani. Tanto ormai si è capito che in Texas si respira un'aria fresca e coinvolgente e sono sempre più le formazioni che se ne escono con bei lavori come questo, alla faccia dei detrattori.
Qua siamo sul versante più mogwaiano per le fasi gentili, con fraseggi insistiti e delicatamente accademici ma di buon armonia. Le impennate rumorose trovano sbocco soltanto in due passaggi del disco (come nell'ultima, emozionante This will never happen again), mentre l'afflato chitarristico più concittadino possibile viene consegnato nella programmatica The river that runs beneath this city.
Siamo in seconda fascia, ma in ottima posizione. Escludo a priori che riusciranno a fare la rivoluzione, ma è decisamente un bell'ascolto alternativo ai maestri.

venerdì 11 maggio 2012

Calla - Televise (2003)

Perse un po' per strada le velleità sperimentali dei primi due album, i Calla optarono per l'approfondimento del lato più wave-gotico del loro sound, attenuando gli spigoli e curando maggiormente l'aspetto compositivo. Valle si decise a tirar fuori un po' più della sua fragile voce e ad imprimere toni più alti alla sua chitarra, conferendo più pathos emotivo all'insieme.
Così, all'alba della rinascita new-wave di metà decennio scorso, i newyorkesi davano una gran bella prova di valore. Ad oggi li avrei definiti il contraltare americano dei Piano Magic, con tutti i paralleli del caso.
Fra nevrastenie (Strangler, Televised), confessionali a cielo aperto (Monument, Customized), relax di bellezza invidiabile (Astral, As quick as it comes), contemplazioni slow-core (Surface scratch) ne uscì forse il miglior compromesso artistico possibile per i Calla, un disco che di sicuro fece loro guadagnare qualche manciata di fans rispetto ai criptici lavori precedenti.

giovedì 10 maggio 2012

Calibro 35 - Ritornano Quelli di (2010)

La metto così: se ci si fosse limitati a segnalare i C35 come uno dei tanti progetti di Gabrielli, come una simpatica operazione di revivalismo fine a sè stesso, allora sì che ha un senso compiuto fare i tour anche in America e li sarei anche andati a vedere volentieri qua vicino, avrei ascoltato almeno una volta tutti i loro dischi, etc.
Ma farne un caso artistico, esaltare il parallelo con i compositori connazionali di colonne sonore degli anni '70, mi sembra tutto un pochettino esagerato. Se è vero che qui ci sono anche un paio di pezzi più che buoni (L'esecutore e Milano odia), il complesso mi sembra davvero uno showcase di esclusivo talento esecutivo e nient'altro.

mercoledì 9 maggio 2012

By the End of Tonight - A tribute to tigers (2005)

Strane anomalie nella Temporary Residence, questi texani a metà decennio scorso rilasciarono una manciata di Eps, questo album di mezz'ora, la discutibilissima operazione di fare 4 ep, ciascuno riservato ad ogni componente (non riuscii ad ascoltarne uno solo fino in fondo, se non ricordo male), per poi sciogliersi.
Il tributo alle tigri resta il loro prodotto più rappresentativo: post-math pirotecnico con robuste iniezioni di hard-metal. Perennemente indecisi fra ipertecnicismo, frenesia incontrollata su partiture elaboratissime, e qualche breve momento di calma emotiva, buttavano una quantità enorme di spunti nel mucchio, mixavano ed estraevano con schemi ai limiti del tecno-progressive.
Il loro maggior limite era l'eccessiva cervelloticità della proposta; il loro pregio era di saper distribuire una proposta a modo suo spettacolare. Dipende da con quale spirito li si ascolta.

martedì 8 maggio 2012

Butcher Mind Collapse - Night Dress (2011)

Sorpresa italiana dell'anno scorso, questi anconetani che sfornano un ruvido meltin' pot memore di tante cose '90 con intelligenza ed esperienza (sono tutti over 30).
Il disco è trascinante e ricco di soluzioni: il noise più blueseggiante (Cows) e quello psicotropico (Butthole Surfers) sono solo i punti di partenza, perchè i BMC sanno personalizzare grazie all'uso massiccio del sax, quello intelligente di synth e moog, non hanno uno schema predefinito per le composizioni ma sanno sorprendere con virate nette ed inaspettate (anche più di una per ogni pezzo). Inoltre, di certo non guasta avere in formazione un cantante davvero notevole che sembra un incrocio fra Jello Biafra, Captain Beefheart e il primo Jaz Coleman.
Da annoverare in scaletta: la compulsiva ossessione di Night Dress, il solenne e acido doom di Spiderwebs, il torbidissimo blues di Flameless hell, e soprattutto i 7 minuti di The loss, vera e propria suite che, iniziando da un incubo lisergico evolve in un astrazione quasi ambient.
Non li devo perdere la prossima volta che passano da queste parti.

lunedì 7 maggio 2012

Bushman's Revenge - You Lost Me At Hello (2009)

Parte con un cingolato stoner-doom alla Melvins, e il sospetto di aver frainteso la recensione di turno mi assale. Ma già dal secondo pezzo inizia il folle deragliamento di questo trio norvegese che si inerpica in astrusi teoremi jazz-math-noise di grande difficoltà d'ascolto.
Assurdi ed inafferrabili, i musicisti si danno gli appuntamenti di tanto in tanto per un break, un riff comune o per gli stop. La stragrande parte del tempo sono assolutamente tutti e tre in assolo, ma non direi che sono dei narcisi vanitosi vogliosi di mettere in mostra le loro doti tecniche. Lo scopo è quello di creare un caos psicotico specialmente grazie al chitarrista, indemoniato oltre misura. Il manifesto è No sleep til Hammerfest, nove minuti in cui una stentorea frase in tempo dispari funge da apertura e chiusura al festival di piroette e salti carpiati nel vuoto (fra l'altro mi pare di udire un contrabbasso al posto dell'elettrico). In tale direzione eccellono anche Bølehøgda Rock City, Ginsberg e King of hello, mentre a metà disco circa c'è una placidissima pausa con Ghostwriters in the sky: se la strumentazione fosse un po' più ricca e stravagante direi di trovarmi di fronte ad un outtake dei primi Tortoise.
La chiusura di Champagne for my real firends è il pezzo meno ostico, con un rifferama squisitamente hendrixiano. Ma non fa molto testo, perchè i BR restano i folli scatenati alfieri del free-math jazzato e pirotecnico.

domenica 6 maggio 2012

Built To Spill - Perfect from now on (1997)

Capita mai? Ritrovi un disco che non ascolti da qualche anno e pensi "ma come ho fatto a non desiderarlo neanche una volta in questi ultimi anni?". Poi fra parentesi occorre dire che capita con altre decine e decine, ma per Perfect from now on si può anche recriminare.
Infatti oggi non ho fatto altro che lasciarlo girare all'infinito, 6 o 7 volte, traendo lo stesso piacere. E' uno di quei monumenti che elevano un po' più in alto l'indie-rock degli anni '90, un manuale delle chitarre filigranate, della scientifica efficacia di Martsch nel saper scrivere songs che sono complicate e semplicissime allo stesso tempo.
E pensare che la genesi del disco fu una saga drammatica: prima Martsch provò a registrarlo da solo, poi insoddisfatto chiamò la sezione ritmica di Nelson e Plouf ed andò bene ma il master andò distrutto dal caldo (!). Che fosse destino che un tale capolavoro avesse veramente bisogno di tre registrazioni per vedere la luce?
E poi, quante bands avrebbero potuto ricavare interi dischi da ogni singolo pezzo di questi 8? Infine, come estrarre le proprie sensazioni di fronte a tutto questa messe di meraviglia? Posso isolarlo in un momento simbolo singolo?
L'entrata del mellotron e l'ultimo minuto e mezzo di Made-up dreams.

sabato 5 maggio 2012

Tim Buckley - Lorca (1970)

La cover poteva dare un'idea: al posto del solito primo piano del faccione, c'era un algida stilizzazione della sagoma in bianco e sfumature di grigio, con inquietanti rami (?) spogli d'albero deforme sullo sfondo.
Non è vero, secondo me, che Lorca fu la sua rottura; prima di tutto perchè I Had A Talk With My Woman era diretto erede della pacata rilassatezza di Happy/Sad, mentre Nobody walkin' lo era della briosa possessione di Gypsy Woman. Tutt'al più erano il concetto e le esecuzioni a tirarsi/farsi tirare fino allo spasimo: Driftin' si estende pigramente per 8 minuti su un canovaccio lineare in cui Underwood fa la parte del leone, sempre indispensabile ad infiorettare di stile (capita mai di pensare come sarebbe stato Buckley con un chitarrista qualsiasi?).
Erano i primi due colossi in lista a spiazzare: gli immensi 10 minuti di Lorca vedono il fido trasferirsi al piano elettrico e all'organo per una partitura nevrotica (da calma prima della tempesta), mentre il Fenomeno rincorreva le stelle con le sue misteriose corde.
Ed ancora, la diluizione di velluto puro in Anonymous Proposition, con il contrabbasso di Balkin a rincorrere zoppicante le vocali infinite; quando l'uomo prende fiato, sono quelle intercalate frazioni di secondo di reale silenzio a dare la misura della grandezza spropositata di quest'opera.

venerdì 4 maggio 2012

Daniele Brusaschetto - Mezza Luna Piena (2005)

Escludendo gli Uzeda, credo sia l'unico sopravvissuto della breve ed oscura stagione noise-rock della penisola, a metà nineties. Suonava e pestava duro nei Mudcake, eppure è riuscito a riciclarsi come cantautore fra i più atipici che ricordi, ottenendo risultati comunemente apprezzati e realizzando dischi davvero notevoli come Poesia totale dei muscoli, Circonvoluzioni e soprattutto questo Mezza luna piena.
Antepone la sua voce fragile e indolente a sonorità spigolose, fra elettronica vintage, inserti rumoristici ed intimismo chitarristico. Non disdegna voluttuosità melodiche (Dicètecelo, la più accattivante, Vita sulla terra), pigre nenie appena disturbate (Ultima thule, Bandieralvento), lancinanti strali di industrial per songs tossiche (Criptico, Stupido ma sincero), strumentali post-rock di effetto (Stella stellina). Non è solo la spiccata alternanza a rendere il disco tutt'altro che scontato, quanto la capacità di Brusaschetto di saper creare micro-mondi all'interno di ogni pezzo, come in un complesso gioco d'insiemistica.
E poi la ciliegina sulla torta non guasta di sicuro, e guardacaso si chiama Ciao Bellissima.

giovedì 3 maggio 2012

Bron Y Aur - Quien Sabe (2004)


Sotto l'egida di fratellanza di Cantù e Iriondo, fra i membri più in vista di certe sonorità, questo gruppo meneghino si pone come un avamposto italico del free-rock. Purtroppo non ho sentito altri loro dischi (sono davvero introvabili...) ma Quien Sabe mi è sufficiente per capire che siamo di fronte ad estrosi sperimentatori., a dispetto della line-up convenzionale di doppia chitarra e sezione ritmica.
I paragoni estratti per incasellarli vanno dal kraut-rock (versante Faust - da notare che uno dei componenti ha questo pseudonimo) alla psichedelia al free-jazz. Vero, è difficile negarlo, ma che bella varietà di soluzioni trovano questi ragazzi. Partiture pigramente louisvilliane (Non comprarti pane con este dinero) si vanno a sfasciare contro gelide astrazioni chitarristiche senza capo nè coda (Part 1, Better blues), svisate a muso duro (Sound) che si dissolvono in algide soluzioni post-jazz (Rosto gramash, con tanto di sax). Elegie al limite del silenzio (Dieci passi),superbe rampicate sulle rovine cumulate dei Supreme Dicks (I padroni del vapore).
Al termine, l'emblematico Come si esce di qua adesso? lascia con una punta di solarità sfibrata, e viene da chiedersi perchè gruppi come questi non vengano riconosciuti come gran belle espressioni di free-art-rock tanto quanto quelle, più acclamate, estere.

mercoledì 2 maggio 2012

Brokeback - Field recordings from the cook county water table (1999)

Doug McCombs dei Tortoise in uscita personale. Sebbene sia comunemente definito un bassista, in realtà come tutti i compagni di band si arrangia con più strumenti e Brokeback è un evidente valvola creativa per il suo lato di chitarrista. Col piccolo aiuto di un contrabbassista che puntella una manciata di pezzi, McCombs pennella acquarelli placidi, vagamente primaverili.
Manco una versione scarna dei Tortoise, che inevitabilmente finiscono per essere un punto di contatto (se non addirittura coverizzati nell'accenno di The great bank che richiama Along the banks of rivers), Brokeback è interessante perchè non ha altri grossi richiami da far notare. Non ha niente a che vedere col folk, nè col rock, e molto alla lontana col jazz, in certi momenti si sfiora la morriconata più spensierata.
Un disco godevole che forse alla lunga è un po' monotono e non emoziona un granchè, ma si fregia di onestà ed umiltà che meritano rispetto.

martedì 1 maggio 2012

Brick Layer Cake - Whatchamacallit (2002)

Sono passati diec'anni e a questo punto chissà mai se Trainer riesumerà le sue torte glassate, rigorosamente da lui preparate e fotografate. Viene quasi da pensare che cosa stia facendo, visti i lassi di tempo morti fra i dischi degli Shellac.
Un vero peccato che il suo sound melmoso e sornione sia stato distillato così poco, avrei voluto avesse fatto qualche disco in più ma forse va bene così, non che avesse bisogno di sperimentare. Whatchamacallit forse resta il suo disco più trascinato, uno statico volteggiare fra riffs assassini, meno compatto e dilatato. Quello dalla dimensione più solista in assoluto, dato che la batteria c'è soltanto in 3 pezzi su 8. Quello che forse non ha gli highlights del passato come Gone Today o Show Stopper, ma che punta su un ossessione di fondo (forse c'è anche un concetto comune) che cerca di penetrare chissà dove.
Pertanto, direi il prodotto minore di Trainer, ma sempre irrinunciabile per quei 4 gatti che conoscono il suo ineffabile pantano.

giovedì 26 aprile 2012

Boris - Dronevil Final (2006)

Arrivati al 15esimo anno di attività, i Boris continuano a stupire con la loro stupefacente ecletticità e Attention please, in assoluto il loro disco più pop. Io però continuo a preferire il loro versante più oscuro, non tanto dronico quanto quello più meditato e ricco di fascino evocativo. E Dronevil ha svolto da capitolo importante in tal senso: uscito nel 2005 in due vinili da suonare contemporaneamente, soltanto l'anno dopo è stato combinato in un unico supporto. Sono 3 pezzi di 20 minuti ciascuno, imponenti, monolitici, ma espansi.
Loose/Red è fatta di funerea risonanza di piatti, rintocchi lisergici di chitarre, linea mesta e meditazione alla moviola. Bellissima.
Giddiness Throne-Evil Wave Form tira fuori fuzz e unghie da panzer, il suono cingolato pachidermico esclusa una pausa siderale a metà tragitto.
Interference Demon-The Evil One Which Sobs trova un inusitato punto d'incontro fra primi Melvins e i Pink Floyd più epici, per una suite mutante ed avvincente.
Istituzionali.

mercoledì 25 aprile 2012

Borbetomagus - Barbed Wire Maggots (1983)

L'aberrazione impro più radicale: più violenti di ogni forma di musica dura, più rumorosi del japa-noise che in effetti influenzarono, più estremista dell'industrial, i Borbetomagus sono tutt'ora un trio newyorkese che fa paura nel vero senso della parola. Questo è considerato il loro capolavoro, e per adesso non me la sento di esplorare altre incisioni.
Non oso immaginare, almeno a quei tempi, come doveva essere assistere ad un loro live: i due sassofonisti avevano le capacità polmonari di un maratoneta olimpico, non c'è altra spiegazione per le loro assurde, infinite iperboli atonali, dai toni più bassi (barriti pachidermici) a quelli più alti (squittii lancinati). Una delle loro tecniche preferite: appoggiare le rispettive bocche del sax l'una all'altra per creare nuovi mostri sonori.
Fra di loro, uno che definire un chitarrista è una parola grossa. Un generatore di feedbacks, di grumi elettrostatici, di nebulose elettromagnetiche.
Il primo risultato è il giudizio inascoltabile, ma già al 3°/4° ascolto si incomincia a capire qualcosa di più, specialmente nel finale quando la chitarra si ritaglia un'angolo di dominio quando nei 40 minuti precedenti è rimasta sopraffatta in lungo e in largo dai due fondisti. In ogni caso, non proprio gradevole, ma impressionante sì.

martedì 24 aprile 2012

Bologna Violenta - Il nuovissimo mondo (2009)

Fuori ma con criterio. è la serie. Questo in effetti non so se si era già sentito: un violinista classico che si rielabora chitarrista grindcore su arzigogolatissime basi ritmiche meccanicamente digitali, a tratti persino al limite della jungle. Il tutto infarcito di recitati macabri, grandguignoleschi, raccapriccianti. Sul motto di "nessuna religione, nessuna politica".
Ma attenzione, non c'è anarchia nella violenza felsinea. Passino i contenuti delle liriche, che alla fine mi appaiono solo un mero contorno al massimalismo parossistico strumentale e servono a stuzzicare la dichiarata passione per i b-movies.
Manzan ha sfruttato la sua formazione artistica (conservatorio, orchestrale) per dare alla luce un mostro cinico e lucidamente guerrigliero, fatto di tanti piccoli frammenti brucianti (il pezzo più lungo dura 2,5 minuti ma si tratta di una pastorale per archi, quindi è fuori contesto) la cui frenesia può anche ricordare certe sinfonie fra le conosciute anche agli ignoranti di classica come me. Manzan oggi è uno di quei personaggi atipicamente colti (come Gabrielli, ad esempio) che sono riusciti a ritagliarsi spazio nell'indie italiano per la sua qualità, abilità ma specialmente perchè la formazione è andata a cozzare contro il substrato più umilmente rock (o hardcore, come nel caso di Manzan stesso) , finendo per generare cosettine di questa fattura.
Non sarà avanguardia, ma l'originalità è garantita.

lunedì 23 aprile 2012

Blue Water White Death - Blue Water White Death (2010)

Certe volte le letture di riferimento per scegliere i dischi da ascoltare sono rivelatrici. Di questo disco ho letto in giro soltanto stroncature, a parte Blow Up in cui SIB gli ha assestato un bell'8. E bravo direttore, io sto dalla tua parte come quasi sempre.
James XiuXiu Stewart e Jonathan Meiburg, di una band chiamata Shearwater. Ad essere sincero, quest'ultima non solo non l'ho mai sentita, ma neanche nominare. Mi perdo qualcosa?
Forse, perchè BWWD è un disco di quelli difficili non si catalogano comodamente.
L'apertura è un drone ronzante su cui si posa il lamento timido ed atonale di Stewart. Song For The Greater Jihad ha l'intelaiatura di un folk più o meno regolare ma è squarciato da clangori di vario genere. E' dalla terza traccia, Grunt tube, che le cose iniziano a farsi serie: intro maestosa di organo, accordi sparsi di piano, Stewart tenue e disorientato, senso di vuoto ed abbandono. Ipnosi secca per Nerd Future, nenie disturbanti e diagonali in The end of sex e Death for christmas. La strumentazione è scarna e il focus è profondamente sullo stato mentale-psicologico delle cose, fra allucinazione e cadute fragorose.
Il capolavoro è Gall, dimessa perla pianistica che al netto di rumorismi e schizofrenie si direbbe il perfetto incrocio fra il Mark Hollis isolato del 1998 e il Peter Hammill di In Camera.
Eccoli, i due riferimenti principi. La leggiadria e il timbro nasale del primo (che spesso Stewart rammenta) e le ossessività impressioniste del secondo (il drammatico finale di Rendering the Juggalos) possono aver permeato e drenato l'attitudine di BWWD, anche se solo a tratti nei risultati terminali. E si scusi se è poco.

domenica 22 aprile 2012

Blue Phantom - Distortions (1971)

Episodio anomalo che spesso viene elencato fra le reliquie più oscure della stagione progressive italiana, sia perchè uscito in quegli anni (anche se di tale non si trattava) sia perchè fu il one-shot ad opera di un gruppo fantasma. Si sa soltanto che il compositore, sotto uno pseudonimo già utilizzato, era Armando Sciascia, uno dei più prolifici autori di colonne sonore italiani dagli anni '50 in poi.
Pertanto Distortions si potrebbe catalogare file under library, anche se piuttosto atipica. Totalmente strumentale, si snoda attraverso un sorprendente e sincopato hard-rock, somigliante per certi versi ai contemporanei Black Sabbath. Il complesso (un quintetto, direi) che si occupava dell'esecuzione, preciso e tecnico al punto giusto, sulla carta sarebbe potuto anche essere il Rovescio Della Medaglia. Ma giurerei che il maestro Sciascia, violinista classico, abbia partecipato elettrificando il proprio strumento fin quasi a farlo sembrare una graffiante chitarra solista.
A parte una minoranza di episodi relativamente tranquilli (spiccano la bossa di Equilibrium, la placida ballad Equivalence), è un tambureggiare sulfureo di riff e sferzate elettriche, a partire dalla potentissima Diodo, alla splendida giravolta prog di Metamorphosis, alle serrate stentoree di Microchaos e Dipnoi, alla pura pesantezza sabbathiana di Distillation. Il tutto però sempre increspato di imprevedibili breaks ed aperture che mostravano l'abilità compositiva ed il notevolissimo gusto strumentale di Sciascia.
Il quale, a meno di smentite, risulta essere ancora vivo a tutt'oggi, avendo ormai passato i 90, ed è un altro personaggio su cui dovrei indagare meglio...

venerdì 20 aprile 2012

Blind Cave Salamander - Troglobite (2009)

Non mi succede molto spesso: al primo ascolto Troglobite mi era piaciuto molto, ma alla distanza mostra qualche corda. L'idea di Moonfish, all'inizio, è buona: arpeggio minimale di chitarra, concentricità elettronica e violino lamentoso, squisitamente gotico. Poi la mano psichedelica prende il sopravvento, con la viola elettrica di Palumbo a delirare in sottofondo.
Il polistrumentista larseniano è qui insieme alla violinista Kent e dall'elettronico Beauchamp, a creare sfondi molteplici, non sempre angosciosi come nell'apertura. La rilassatezza di Blood lagoon e Untitled li fa sembrare un mini ensemble gotico da camera, l'ambientale siderale di Transition e Magma rassicura. Certe idee melodiche sono anche piuttosto buone, come in Used to be the last, ma alla fine non resta un granchè di memorabile.
E di sicuro potevano risparmiarsi la vacua versione di Set the control for the heart of the sun.

giovedì 19 aprile 2012

Black Dice - Beaches & Canyons (2002)

Fuori, fuori, ma sul serio, ma col filo logico di chi ha creatività da dispiegare. Ricordo bene l'incredulità generale che circondò B&C al momento dell'uscita, ma a me a dir la verità non piacque. C'è voluto qualche anno perchè riuscissi ad entrare in questo mondo stralunato e contorto, anche perchè mi è sempre piaciuto di più il successivo Broken Ear Record.
Diec'anni dopo, mi ri-appare in tutta la sua forza eversiva e la sua follia selvaggia, nelle tracce più fragorose e ribollenti. Oppure col suo candore nei passaggi più quieti e cristallini (il top sta in Endless happiness), e lo scherzo si perpetua, specialmente in quelle fasi vocali androidi, nelle propulsioni micidiali, nei cinguettii elettronici, nelle didascalie nucleari.
Diec'anni dopo, il mistero ammanta ancora B&C. Con le conseguenze del caso.

mercoledì 18 aprile 2012

Black Angels - Phosphene Dream (2010)

L'ossessione per i Velvet Underground può giocare brutti scherzi ad una band, a partire dal nome stesso che si adotta. Ma dopotutto questi texani sfuggono la trappola dell'eccesiva reverenza con una bella sventagliata di '60-oriented-rock, in questo terzo album molto ben fatto.
L'insieme è un curioso meltin' pot: le chitarre acide e piene di riverbero, i moduli ipnotici di farfisa, un cantante che sembra Jeffrey Lee Pierce sotto tranquillante, la batterista minimale e funzionale. Ma più che altro sono i pezzi migliori a farsi ricordare, e sono i più stentorei come River of Blood, Bad Vibrations, Entrance song, Phosphene Dream. O il curioso incrocio fra Doors e Velvet di True Believers, dall'impatto notevole.
Altrove le atmosfere si fanno quasi giocose, come se si fossero veramente immersi nel '67/68 e si divertissero a replicarne il clima e l'aroma. Magari fra qualche anno non ce li ricorderemo neanche, ma questa è una buona mezz'oretta di vintagismo.

Beware Of Safety - It Is Curtains (2007)

It's only post'n'roll.
Dalle tende si vede la tempesta, la quiete, la bravura di questi losangelini attivi da un quinquennio, pur persi nel marasma infinito della valanga epic-instru.
Questo debutto vale molto, più dei due successivi parti. Come già pensai riguardo ai If these trees could talk, se fossero tutti così ci sarebbe da far festa ogni giorno. It is curtains fa 36 minuti netti di abrasioni e carezze. Kaura è un sontuoso biglietto da visita. La differenza sembra farla il chitarrista solista, che quando decide di salire in cattedra elabora i giri più elementari quanto incisivi; chiamasi buon gusto.
Weak wrists in tal senso è maniacal-fumigante, una Like Herod riaggiornata. Ma una volta fuori dal caos spuntano le migliori melanconiche tessiture di The difference between wind and rain e To The Roof! Let's Jump And Fall, degne degli Explosions. Questo per non tacere degli altri due pezzi, il soliloquio di chitarre sinistre di Veneklasen, o dell'unico pezzo meno che memorabile del lotto, O'Canada.
I like it.

lunedì 16 aprile 2012

Bedhead - 4songCDEP19.10 (1994) + The Dark Ages EP (1996)

Due prodotti minori, ma non per questo trascurabili nella discografia dei Kadane Bros. Lampante segno dell'indolenza che non solo permeava la loro musica, ma anche il loro atteggiamento generico, la scelta di dare un titolo come 4songCDEP19.10. Ricordo una risposta geniale in un'intervista di Scaruffi: alla domanda Che cosa avete in comune con Codeine e Mazzy Star? "Molte cose, abbiamo tutti i piatti nella batteria, corde nella chitarra e microfoni per il cantante".
Il 4song contiene un paio di pezzi, Heiszahobit e What I'm here for, che non avevano nulla da invidiare ai vertici del primo memorabile album, il folk soleggiato di Dead Language e, sorpresa sorpresa, la cover di Disorder dei Joy Division , che viene rifatta esattamente come si penserebbe potessero farla i Bedhead; lenta, con un filo di voce, strascicata ed indolente.
The dark ages si fregiava di un'altro piccolo capolavoro, la title-track, in classico schema crescente e finale forzuto, così come lo splendido strumentale Inhume, per chiudersi con un'altra delicatissima nenia folk, Any life.
E non si può dire che fossero limitati, quando si sfornavano pezzi così belli.

domenica 15 aprile 2012

Beach House - Devotion (2008)

Che accoppiata!, questi due statunitensi: Lui alla chitarra, Lei all'organo, farfisa e quella voce tutt'altro che suadente, anzi spesso paragonata a Nico per il timbro. Completa l'organico una discretissima e dimessa beat-box. Impianto inguaribilmente vintagistico, la voglia di far sognare e l'abilità sopraffina di scrivere.
Non credevo alle mie orecchie la prima volta che ho sentito Devotion: ma da dove escono questi due, che rapiscono le mie orecchie in un vellutato abbraccio autunnale, con così tanta spudorata semplicità?
Lo vogliamo definire dream-pop? La vogliamo chiamare psichedelia languida? Li hanno voluti affiancare a nomi del passato più o meno importanti, ma francamente non m'importa. Io voglio solo tuffarmi in questo morbido sogno ad occhi aperti, senza neanche una mezza caduta di tono, capitanato dalle fantastiche You came to me, Gila, Holy Dances, All the years, Home Again.
Fuori può nevicare o esserci il sole, non fa differenza.

sabato 14 aprile 2012

Bastro - Antlers (Live 1991)

Live postumo del trio transitorio di David Grubbs, immortalato durante l'ultimo tour prima dello scioglimento. Alle pelli c'era McEntire e al basso Brown, futuri Tortoise.
La qualità audio è buona ed è molto interessante perchè nessuno dei 7 pezzi proposti fecero parte della manciata di titoli rilasciati in breve esistenza, oltrechè interamente strumentale. La chitarra del leader faceva fuoco e fiamme, gli altri due erano ossessi ben lontani dalle sonorità tartarugose in cui sarebbero confluiti.
Math puro e duro; completamente staccatisi da qualsiasi influenza stevealbiniana, i Bastro facevano già parte della gloriosa scuderia Louisville allora in auge: la title-track è curiosamente simile a certi passaggi di Spiderland, ma è un episodio a parte. Il live è un arroventato showcase di assalti free somigliante più al primo Diablo Guapo che al secondo Sing the troubled beast che sfocia nel turbinio finale di Glistery.
Ma Grubbs con la testa era già proteso oltre, verso le derive avanguardistiche di Gastr Del Sol.

venerdì 13 aprile 2012

William Basinski - The Garden Of Brokenness (2005) + El Camino Real (2007)

A dispetto della sua aria da dandy maledetto o da fighetto metropolitano, Basinski è un personaggio di tutto rilievo che ha ricevuto una certa nomea grazie ai Disintegration Loops rilasciati nella prima metà del decennio scorso. Sarà stato più che altro per la curiosa origine degli stessi che qualcuno si è avvicinato all'opera del texano, me compreso. Comunque, l'ormai ex clarinettista jazz si è progressivamente trasformato in un compositore di ambient minimalistica, di avanguardia o meno non saprei dire, ma di alto spessore sì, lo ritengo.
Nei suoi due lavori migliori, relativamente recenti, Basinski esplora gli estremi del suo canovaccio stilistico: in The garden of brokenness un melanconico giro di pianoforte riverberato di 7-note-7 viene circondato da micro-emissioni di sfondi sinistri, come fossero lievi fuoriuscite di gas. E' l'aspetto intimista che la spunta, con le figure di piano che in stile classico-minimalistico si muovono impercettibilmente, si sovrappongono, fanno pause indeterminate, si riducono ad una nota, infine si ritrovano.
El camino real invece è l'espressione della magniloquenza, della sinfonia, dell'elevazione. Qui le toniche principali sono 4, rapite in un inesorabile, maesltrom celestiale. Lo spettro sonoro è costantemente saturo, al punto che al picco della terza tonica le casse gracchiano sensibilmente. Talmente potente che non ci sono variazioni.
Entrambi questi episodi sono costituiti da tracce continuate di circa 50 minuti (è il suo formato più frequente), quindi l'ascolto non è proprio per tutti. E' per chi ama naufragare in questi mari...

mercoledì 11 aprile 2012

Barn Owl - Ancestral Star (2010)

Pesante ed etereo, gravoso ma librato in voli galattici, Ancestral Star (ed in generale il lavoro dei Barbagianni da San Francisco, anche se questo è decisamente il loro masterpiece) rappresenta una delle esperienze più emozionanti fra gli ascolti degli ultimi due anni.
A partire dal vibrante feedback di apertura, sembrerebbe di trovarsi in un gorgo doom senza ritmica nello stile dei primi Earth, ma il viaggio è appena cominciato e le costellazioni hanno un impatto tremebondo. Vision in dust, l'unico pezzo con batteria e voci, si dipana in un mantra cosmico che sfocia nel misticheggiante intreccio di chitarre rintoccanti in Night's shroud.
Caminiti e Porras sono essenzialmente due ex-metallari che studiano l'inconscio immobile della contemplazione, scavano nel profondo, vanno a cercare l'ancestralità alternando pienoni saturi (il drone massimalista della title-track, in cui sembra che le casse prendano fuoco, tale è l'impeto) a fasi quiete e riflessive (il fingepicking acustico di Cavern Hymn), fino a toccare desolate lande ambientali.
E' una meraviglia senza soste. I violini di Flatlands, il piano minimalista di Twilight, le frasi epic/western di Awakening, i cori gregoriani su drone di fisa di Incantation, fino al sigillo finale della folata sonica di Light from the Mesa.
La produzione e i suoni sono semplicemente spettacolari, non a caso courtesy della Thrill Jockey. Com'è intuibile, ci sono tante soluzioni in Ancestral Star, ma il senso di omogeneità di questa missione (perchè di tale si tratta, in fondo) finisce per commuovermi e darmi brividi in continuazione.

martedì 10 aprile 2012

Bark Psychosis – Independency (1994)


E' stato fatto un po' di casino fra questa antologia e Game Over, il che è tristemente simbolico per Sutton & co., sempre in conflitto con le disgraziate labels con cui si trovavano a che fare.
Comunque Independency era decisamente più ordinato perchè raccoglieva tutta la produzione dei divini BP pre-Hex. Per la completezza che si sono meritati pertanto occorrerebbe menzionare i 3 pezzi esclusi dalla sopracitata, raffazzonata raccolta.
By Blow era il retro di All different things. Un incubo psichedelico costruito su tensioni quasi insopportabili, reminescente di un certo Ummagumma live altezza A Saucerful of Secrets, con un Sutton impazzito in preda ai fulmini.
Nothing feels riprendeva una estatica aria di certe produzioni 4AD, con chitarre cristalline e percussioni leggere, forse l'unico pezzo interlocutorio che fecero ai tempi.
Ma attenzione che Tooled Up, epurato dal Manman EP, fa parte di una delle tante altre facce del BP sound che potenzialmente poteva andare in qualsiasi zona. Uno strumentale che inizia come una specie di lounge-wave soporifero ma che esplode all'improvviso in un frenetico maelstrom elettro-industrial ad alta velocità.
Ma lo confesso...il vero pretesto di parlare di questo disco era esclusivamente legato alla possibilità (necessità) di ascoltare Scum per l'ennesima volta, per immergersi in quel bagno purificatore, per cibare la mente di quei 21 minuti di meraviglia...

giovedì 5 aprile 2012

Bare Minimum - Can't cure the nailbiters (1998)

Oscurissimo quartetto di Seattle, i BM ebbero vita breve a fine millennio e questo fu il loro secondo ed ultimo disco. E si trattava di un lavoro notevole in linea con i tempi, ma col piglio giusto e l'attitudine adatta a non farsi bollare come plagiatori.
L'ombra dei Sonic Youth aleggia spesso grazie al doppio attacco chitarristico, atonale e volutamente caotico (ma mai troppo rumoroso), ma i BM aggiungevano alla lezione una certa dose di astrattismo che permetteva loro di avvicinarsi a tratti alle sonorità dei grandi June Of '44. Rilevante anche l'iniezione di Slint che peraltro contrassegna i momenti migliori del disco: la lenta nebulosa dell'iniziale Waterfight or Firefight, i rabbrividenti accordi sospesi all'inizio della trascinante Downing Dolly, e soprattutto lo splendore della post-ballad Luchuck, corredata di intimo pianoforte.
Quest'ultima sarebbe potuta essere la direzione giusta per i BM, ma scomparvero.

mercoledì 4 aprile 2012

Bandulu - Guidance (1993)

Frullii siderali, mulinelli ipnotici, cassa-pompa, bassi sintetizzati. Il trio londinese non era uno dei tanti nomi qualunque della scena techno-trance, anche se oggi non se li ricorda più nessuno. E anche se Guidance non verrà certo ricordato come uno dei capolavori della branca, il riascolto mette addosso una certa gradevolezza stordente.
Era un sound leggero, levitante e arioso: non davano l'idea di essere una formula per club, da tenere al chiuso di sale sudate. E c'era persino un pezzo, Gravity Pull, in cui faceva capolino una batteria umana. Uno dei migliori in elenco insieme al cyber-dub di Messenger e alle trasfigurazioni fuse in Tribal Reign.

martedì 3 aprile 2012

Band Of Horses - Everything all the time (2006)



Non ho mai ascoltato i Carissa's Wierd, da cui provengono i due fondatori di BOH, ed a quanto pare sarebbe una pecca niente male. Ma forse mi ha permesso di ascoltare Everything all the time senza alcuna prevenzione, cogliendone aspetti positivi e negativi.
Il folk-rock ultra-elettrificato dei Built To Spill appare un influenza abbastanza importante, in primis per la sonorità piena e dirompente delle chitarre e per il tono vocale di Bridwell, acuto quasi più di quello di Martsch (a tratti arriva quasi ad evocare persino Coyne dei Flaming Lips).
La prima metà del disco è ottima, con la rotondità di The first song, la pressione quasi isterica di Wicked gil, la cantilena di Our swords che sembra un residuato dei primi Death Cab For Cutie, e soprattutto con il potentissimo lento di The funeral, un folk-rock all'ennesima potenza che ha il sapore dell'inno (ed infatti lo è diventato).
Escludendo l'ultima power-ballad builttospilliana The great salt lake, è quindi un vero peccato che la seconda metà sia così moscia e tirata via, come se Bridwell avesse finito le idee e provasse a rimescolare le carte con del country languido e insipido.
Poi è bastato vedere i voti riservati ai due dischi successivi per fare in modo che io passassi oltre, diffidente che non sono altro.

lunedì 2 aprile 2012

Bachi Da Pietra - Tornare nella terra (2005)


Quando affiorarono dalla terra 7 anni fa, i BDP fecero impressione al punto di guadagnarsi la cover di un Blow Up. Era l'implosione del torbido blues intimista, muto nel dire, registrato in una cripta, inedito. Poca forma e molto humus da drenare.
A differenza dei successori, TNT è in gran parte acustico e dimesso. Non sarà il loro migliore, per fortuna loro e nostra. Resterà il loro episodio più cupo e incompromissorio, con le liriche di Succi ad esprimere un esistenzialismo disagiato ma forte di se stesso ed orgoglioso.
Ad incidere la pietra.

mercoledì 21 marzo 2012

Keiji Haino - Ritagli di performance

Complici la mia lontananza dal palco, la quasi totale assenza di luci e la bassa fedeltà della mia fotocamera, questi 4 filmati servono essenzialmente come sampler sonori della performance di KJ di giovedì scorso.
Ogni tanto si vede la sagoma del guerriero, comunque...






venerdì 16 marzo 2012

Keiji Haino e Stephen O'Malley - Live in Teatro Rasi, Ravenna 15-03


Spettacolo di ultra-cult per la prima serata del Transmissions a cura del Bronson, che con O'Malley direttore riesce a portare in quel di Ravenna nientemeno che il classe 1952 Keiji Haino.
Il palco è quello discreto del piccolo teatro Rasi in centro, spettatori circa 200, per una serata adatta ai fortissimi di cuore e dalle orecchie ben allenate e resistenti.
Apre il direttore stesso, immerso nel buio più totale per una mezz'oretta circa di scudisciate ultra-doom annegate nel feedback. Non che sinceramente mi aspettassi molto altro da colui che si è fatto conoscere come metà di Sunn O))), ma in cuor mio un pochettino ci speravo. D'altra parte le formazioni in cui lo preferisco sono Aethenor e Khanate, quindi....
Comunque, l'attrattiva principale era senza alcun dubbio KH, ed è stato un vero spettacolo di arte incontaminata e incompromissoria. Considerando l'età, sembra veramente un miracolo della natura vedere questo folletto magrissimo dalla lunga chioma canuta ed immancabili occhiali scuri agitarsi a scatti da un lato all'altro in preda a chissà quali demoni, tirare fuori una voce così irruente e delirante senza fare una piega, ma soprattutto sfoderare una performance intensissima di (credo) 1 ora e un quarto senza fermarsi un-attimo-uno.
E' l'eclettismo micidiale del nostro che rende lo show unico ed irripetibile. L'attrezzatura: a tracolla una SG rossa fiammante, quattro aste con relativi microfoni, a terra pedaleria mista. Potrei sintetizzare il set in qualche capitolo: 1) fase iniziale a sedere, psichedelia astratta a base di armonici e slappate acide, vocals urticanti 2) fase power-electronics di rumore bianco puro, si alza in piedi definitivamente, devastante è dire nulla 3) fase paradisiaca per voce estasiata e morbidi accordi 4) fase pseudo-jazz-cubista per accordi imprendibili, direi la migliore in assoluto 5) fase distortissima in loop, per amplificatori riuniti 6) fase di delirio vocale in loop, la più spostata 7) breve chiusura celestiale, il bagno purificatore mentre le orecchie fischiano inesorabilmente.
Ma il mio è solo un tentativo sterile per poterlo descrivere. Che piaccia o meno, KH resta un personaggio unico al mondo.

mercoledì 15 febbraio 2012

Il saccheggio

Tempi duri per gli ostelli-hosting.
Mediafire ha saccheggiato interamente il mio patrimonio di condivisione legato al blog, e di fronte alla mia richiesta di spiegazioni, ha giustamente contestato il fatto che ho infranto le regole relative al copyright.
Troppo scontato dire che siamo arrivati alla frutta: una soluzione si troverà. C'è già chi dice bentornato torrent!....

martedì 31 gennaio 2012

Il punto

Ricordo quando scoprii per la prima volta il mondo dei blog a sfondo musicale: sarà stato il 2005 o il 2006, capitai per caso in uno che si chiamava Infinite Machine e trattava i generi più disparati. Il primo disco che scaricai fu Flood dei Boris, poi ne trovai altri ed altri ancora e da allora il mulo non ebbe più senso di esistere. Molta più roba, molto più veloce, tutto e subito. Ed ecco il mio blog con cui comunicare la passione e corredarla di link per l'ascolto: inizialmente pensavo di usarlo solo per bootlegs o per cose ultra-rare, poi la mano è diventata un braccio, anzi due.
TM ha compiuto i 4 anni di vita ed ho deciso di prendermi una sosta dallo scrivere, per diversi motivi, sia personali che strettamente musicali. Sto riscoprendo il gusto di tuffarmi in ascolti storici che avevano preso la polvere da troppo tempo, mi sto incaponendo nello scoprire discografie complete di artisti che conoscevo solo superficialmente, sto cercando di stare più dietro possibile alle cose attuali perchè capita sempre di trovare qualche piccola gemma specialmente nelle classifiche annuali dei miei organi di riferimento. Inoltre mi sono preso il lusso di addentrarmi in Strobo Trip #7 dei Flaming Lips con dentro quel mattone di 6 ore, anche se devo ammettere che ho barato perchè l'ho messo in macchina, assumendolo solo per la durata dei miei tragitti (col risultato che ci ho impiegato una settimana per arrivare in fondo...).
E poi, beh....non si ha sempre voglia di scrivere. Mi ha divertito mandare avanti questo blog, ma alla lunga mi sembra di scrivere sempre le stesse cose, di trovare raramente le parole giuste per condividere le mie impressioni con chi ha voglia di leggerle.
Poi c'è il recente terremoto Megaupload che fa riflettere. Anche se mi sono giunte voci che dietro al blitz per inchiodare Dot-Ciccio-Com ci siano state ragioni politiche ben più grosse del semplice pirataggio, mi viene da pensare che se Mediafire chiudesse sarebbe un colpo ancora più duro. E' l'hosting migliore perchè non ha tempi di attesa, permette il download simultaneo, conserva i file praticamente in eterno. Poi è anche vero che determinati links te li cancella senza neanche avvisarti, ma non so se esiste un servizio competitivo quanto MF.
Resta solo da spingere il tasto play, quindi. A fine mese trasloco e quindi è possibile che in primavera TM torni in pista....