Ricordo lo stupore che mi colse al primo ascolto di questa pietra miliare dell'Inghilterra di metà '90. Un disco di una bellezza cristallina che ti rapisce fin dal primo ascolto, che fu giudicata post-rock ma secondo me a torto, perchè i BP in realtà facevano un dream-jazz-rock da camera di gran classe che era influenzato senza dubbio dagli ultimi imprescindibili Talk Talk così come dalle perle più raffinate del David Sylvian di qualche anno prima. Con tali ispirazioni illustri si va poco avanti se non si ha un minimo di stoffa, che di certo non mancava a Sutton & company. Un piano solitario in minore introduce The Loom, poi escono gli archi. La suggestione è ai massimi livelli, pian piano il brano cresce e si stratifica, gli accordi diventano maggiori e un tappeto di tastiere lunari contrappunta in maniera magistrale un apertura da paura. A street scene uscirà come singolo ed è in effetti un pezzo a presa più diretta, più jazzy. Le atmosfere sospese di Absent Friend fanno letteralmente volare con la mente. La voce di Sutton è un filo sussurrato, gli arrangiamenti sono perfetti, non c'è uno strumento che predomini sugli altri. Big shot parte con un tempo irregolare e cascate di tastiere, quasi come un tentativo di trip-hop in anticipo sui tempi.
Mark Hollis si sarà mangiato le mani, se l'ha sentita, per non aver scritto Fingerspit, un killer che avrebbe fatto un figurone su Spirit of Eden o Laughing Stock. Chitarra che prima è un filo e poi s'ingrossa, cassa e piatti appena udibili, piano e basso che fanno meno dell'essenziale. Dissonanze free-jazz introducono la seconda fase, strumentale e più piena, di questi 8 minuti e mezzo epocali. Così come Sylvian avrà trovato qualcosa di familiare su Eyes & Smiles, altri 8 minuti paradisiaci con trombe a ruota libera e quelle chitarre sognanti che fanno lievitare il tutto. Il brano finale, Pendulum Man, sembra una variante ambient-minimalista al BP sound, una chiusura cosmica per un disco assolutamente stellare.
(Originalmente pubblicato il 25/02/2008)
Mark Hollis si sarà mangiato le mani, se l'ha sentita, per non aver scritto Fingerspit, un killer che avrebbe fatto un figurone su Spirit of Eden o Laughing Stock. Chitarra che prima è un filo e poi s'ingrossa, cassa e piatti appena udibili, piano e basso che fanno meno dell'essenziale. Dissonanze free-jazz introducono la seconda fase, strumentale e più piena, di questi 8 minuti e mezzo epocali. Così come Sylvian avrà trovato qualcosa di familiare su Eyes & Smiles, altri 8 minuti paradisiaci con trombe a ruota libera e quelle chitarre sognanti che fanno lievitare il tutto. Il brano finale, Pendulum Man, sembra una variante ambient-minimalista al BP sound, una chiusura cosmica per un disco assolutamente stellare.
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