domenica 19 gennaio 2014

David Sylvian ‎- Died In The Wool | Manafon Variations (2011)

Chi non ha digerito le asperità dissonanti di Manafon forse avrà trovato un piccolo, parziale ristoro in questo capitolo che ancora una volta ha stupito per l'immarcescibile ispirazione di Sylvian e nel suo fiuto di talent scout nello scegliersi i collaboratori. Da sempre.
Questa volta è stato il turno di Fujikura, giapponese compositore e direttore d'orchestra neoclassica relativamente giovane ed oscuro, che si occupa della rielaborazione di 5 pezzi tratti da Manafon e li rende meno ostici fornendo loro un arrangiamento scabro di archi, riescendo nell'intento di dare veste nuova ad un suono che indefinibile era e resta.
Parlare di ritorno alla melodia per il resto sarebbe quasi esagerato, ma i più romantici sono senz'altro rimasti stregati e commossi da I Should not dare, The last days of December e A certain slant of light, che riescono a far vibrare le corde dell'anima come da tempo immemore non capitava.
Discorso diverso per When we return you won't recognize us, 18 minuti di installazione impro-concreta commissionatagli, che sembra un appendice di estremismo isolazionista. Ma riterrei che vada estrapolata come a sè stante dal contesto di Died in the wool.
Si aprono così scenari ancor più inediti per mr. Batt. Lunga vita.

sabato 18 gennaio 2014

David Sylvian & Holger Czukay ‎– Flux + Mutability (1989)

Secondo ed ultimo capitolo della strana coppia. Ovunque legga noto che non ha riscosso grandi favori o opinioni benevole, la ditta Sylvian / Czukay. Eppure secondo me restano due mini-sinfonie di ambient ammaliante ed avvolgente; di certo non avranno fatto sfracelli nè rivoluzioni, però io dentro ci sento la pacatezza umana del primo e le discrete stranezze del secondo.
Plight & Premonition, il precedente, era più impressionistico e movimentato di Flux & Mutability, il quale invece si lascia abbandonare nell'oblio più completo di queste sagome in controluce, di raggi di sole appena abbozzati in pieno inverno. Con le quasi impalpabili partecipazioni di Karoli alla chitarra atmosferica e di Liebezeit ad un paio di bonghetti fugaci, se non altro è di una rilassatezza invidiabile. Per questo, può piacere o non piacere affatto

venerdì 17 gennaio 2014

David Sylvian - Gone to Earth (Live Kanihoken Hall Japan 1988)

L'unico bootleg che sono riuscito a trovare di Sylvian degli anni ottanta. A dir la verità non ho cercato con molta convinzione e mi sono fermato al primo (e unico, credo) che ho trovato su Dimeadozen.
Certo che in Giappone sfondava dei portoni aperti in successione, vivendo di rendita dell'enorme successo riscosso anni prima coi Japan. Il concerto in questione lo vedeva con gli altri reduci Jensen e Barbieri nonchè lo stuolo di fior di musicisti già presenti sui gloriosi dischi Virgin. Spicca un inedito, The grand parade, strumentale un po' esotico che Sylvian post-annuncia come previsto sul disco successivo intitolato Crystalia o qualcosa del genere. Nulla di epocale che ci siamo persi, insomma.
Per il resto, nessuna sorpresa di sorta, i pezzi sono strutturati in maniera identica agli originali a parte gli assoli di Torn (notevoli anche se a volte un po' sopra le righe) e la presenza un po' ingombrante di Maidman, che ingaggia una gara virtuale contro Mick Karn al fretless.
Per gli aficionados, molto belle le rese di Nostalgia e The ink in the well.

giovedì 16 gennaio 2014

Syllyk - O Comme Icare (1992)

Duo francese dedito ad una branca di elettronica glaciale / dark ambient dalle architetture quasi temibili, ben poco imparentato con l'industriale e con un inusuale impiego delle voci che portava O Comme Icare in una dimensione aliena, quasi teatrale.
Snodo centrale di questo cd uscito per l'italiana MMM, i 27 minuti di Le Sacrifice, riassunto della loro ostica proposta fatta di sbuffi, vapori sulfurei, inserti di musica concreta, frullii ed abissi inattesi di dark-ambient. Tutt'altra storia Anatheme, che impiega percussioni ed una voce femminile isterica, Onir e O'Rage che invece li vede in una sorta di palco onirico-fantascientifico.
Per loro, nello stesso anno, anche una collaborazione col giovane Jim O'Rourke, allora impelagato fino al collo nelle avanguardie più ostiche, persino di quella dei Syllyk. Ascoltare Frontieres per realizzarsene.

mercoledì 15 gennaio 2014

Swell Maps - Jane From Occupied Europe (1980)

Il seguito del geniale A trip to Marineville fu meno memorabile soltanto perchè, parzialmente attenuata l'urgenza espressiva del lato pseudo-punk e l'impeto barbaramente astratto, gli SM stavano in qualche crescendo e chissà cos'avrebbero combinato se non fosse finita. Gli esempi eclatanti furono Secret Island, manifesto della loro new-wave adulta ed esistenziale, lo strumentale Collision with a frogman, la fragorosa New York (presente solo sulla ristampa del 2004).
Dall'altro canto, sono sempre i numeri sperimentali a resistere di più nel tempo come nel caso del debutto: Robot Factory che apre con un ritmo sintetico e spettrali bordoni di synth, l'inquietante moviola di The stairs are like an avalanche, e i due spettacolari bigs, fin dal titolo: Big maze in the desert e Big empty field, che riprendono la lezione ritmica dei Can e la traslano nell'epoca new-wave con folle razionalità.

martedì 14 gennaio 2014

Sweep The Leg Johnny - Going Down Swinging (2002)

Il testamento di questa grande e sottovalutata band, per non dire completamente ignorata. Già in occasione di un intervista del periodo in cui GDS uscì dichiararono che erano al capolinea, non senza recriminazioni nè parole aspre nei confronti del mondo indipendente.
Con meno hardcore e più matematica in carniere, GDS è di fatto il disco prog degli Sweep. Ok, era un prog-core molto atipico, ma il pezzo che apre, Sometimes my balls feels like tits, è un quarto d'ora da infarto e può rendere bene l'idea. I kids miglioravano costantemente come musicisti e le prove tecniche sono lampanti: le acrobazie di Sostak al sax e le geometrie sempre più imprendibili delle ritmiche facevano da trampolino per Daly, forse il meno virtuoso del gruppo ma chitarrista di estrema peculiarità.
Slanci pirotecnici, inattese aperture melodiche (in una traccia compare persino un pianoforte), indugi slow-core fino a raggiungere livelli pastorali, era tutto un calderone che poteva facilmente disorientare e forse era proprio questa l'intenzione degli Sweep. Erano una band mozzafiato e posso solo immaginare cosa potessero essere dal vivo.

lunedì 13 gennaio 2014

Pete Swanson - Man With Potential (2011)

Il suo stile è stato battezzato machine-noise e la ritengo una definizione abbastanza pertinente; allineato ad uno stile rumoristico quasi industriale, prevale uno stillicidio di elettronica stridente, quasi perforante nella sua acuta insistenza, ma che non disdegna neanche qualche puntata di  musicalità nella quale si tange una magniloquenza quasi minimalista. Hypno-noise, aggiungerei.
Potrebbe essere una versione abbrutita dei Black Dice, la proposta dell'americano che segna una decisa crescita rispetto ai tempi degli Yellow Swans. Certo, resta materiale abrasivo e urticante ma il suo sistema vigoroso funziona molto bene ed il potenziale c'è. Notevolissime la title-track e Remote view.

domenica 12 gennaio 2014

Swans - Filth (1983)

Truculenti e tracotanti, i primissimi Swans furono lungimiranti anticipatori dell'industrial-metal e di certo noise-rock (in particolare i primi Cop Shoot Cop dovettero loro più o meno tutto). Un tunnel impenetrabile, Filth, di dissonanza pura e lacerazioni continue.
L'impianto era davvero inedito: due bassi e due batterie, la voce di Gira un grido efferato monocorde; unico possibile precedente i Chrome di Red Exposure nelle poche tracce più ritmate (Big strong boss, Power for power). Ma in maggioranza le batterie spezzano e fratturano il passo imitando le catene di montaggio con un chiasso assordante, i bassi macinano detriti come mulini, e ciò che si percepisce è una brutalità devastante.
Unico neo, forse, una certa monotonia di fondo. Ma in fondo era un manifesto di alienazione metropolitana e Gira avrebbe dato meglio di sè negli anni successivi.

sabato 11 gennaio 2014

Swanilda - Demo (1994)

Ovvero tal Roberto Cagnoli da Scandicci. Le uniche info reperibili in rete su di lui sono su Discogs, in una selva di pseudonimi sparsi a cavallo del 2000 con uscite per lo più autoprodotte, sempre nell'ambito della techno-trance.
Comprai questo demo in un periodo di grande sbornia per il genere (epoca Mental Hour): il suono era anche piuttosto buono come fedeltà rispetto alla media delle autoproduzioni di quegli anni e vedeva il Cagnoli alle prese con un'elettronica d'antan ma non troppo, con discrete reminescenze Global Communication, a suo agio sia nelle tracce ritmate che quelle più squisitamente ambientali. Degne di citazione l'estatica Smoke, la stilizzata Agua e la lunga gita cosmica Spacelips. Per stretti specialisti del genere.

venerdì 10 gennaio 2014

Sutekh Hexen - Behind The Throne (2012)

Mi capitava proprio in questi giorni di dibattere con un anonimo commentatore al riguardo di Sunn O))) e derivazioni, concordando che il drone-metal ed affini siano ancora in grado di produrre lavori interessanti. I SH provengono da San Francisco e sono attivi appena da 3 anni ma Behind the throne li eleva oltre il livello della comprimarietà.
Tutto ciò che li circonda, dal sito alle covers ai titoli, rievoca uno schiacciante immaginario black-metal. Totalmente privo di batteria, il disco dura mezz'ora esatta ed è un macigno catartico: le chitarre partono espanse alla Nadja con una sequenza di riffs circolari, fa comparsa una specie di voce che sembra una manipolazione aliena del ghigno b/m, i riffs si fanno sempre più incalzanti fino a trasfigurare in un abisso di multi-drone di grande, grande effetto. Questa era la parte I.
La parte II rincara la dose di sconvolgimento: si inizia con un loop metallico/industriale, ad un certo punto entrano i chitarroni ma in men che non si dica la mannaia metallurgica sommerge tutto di nuovo; è tutto un grumo di cataste rovinose che saturano gli speakers. A 3 minuti dalla fine, il meritato riposo col loop iniziale che resta in moto perpetuo ma scema di volume fino a sparire.
Interessantissimi: con qualche sviluppo potrebbero avere la meglio sui Locrian.

giovedì 9 gennaio 2014

Surgery - Trim, 9th Ward High Roller (1993)

Un po' di sano e sanguigno noise'n'roll'n'blues in questo mini-lp (25 minuti, di quei formati strani che si facevano una volta) degli spericolati newyorkesi, fa sempre bene, ogni tanto.
Fa bene tornare alla memoria degli anni '90 col suo suono bello nitido e l'attitudine alternativa più genuina, che i Surgery senz'altro incarnavano, compresa la loro anomala peculiarità all'interno della scuderia Amphetamine Reptile; non facevano noise-rock in senso stretto ma l'impeto delle chitarre era fragorosissimo e le radici più primitivamente blues li rendevano appetibili anche ad un pubblico più vasto.
Appena poco sotto l'album di debutto Nationwide, Trim conteneva comunque dei numeri mozzafiato come A.K. (Gun Club meets Hammerhead!) e Exquisite, che danno ancora gas ad un entusiasmo mai sopito.

mercoledì 8 gennaio 2014

Supreme Dicks - This Is Not A Dick (1996) & Rarities (2011)

Ciò che nel 1996 era una raccolta diciamo un po' così, raffazzonata e parecchio precaria (stampata peraltro in Italia per conto del consorzio multinazionale Runt), è recentemente diventata una preziosità allegata alla meritoria cofana Breathing and not breathing.
Merito della sospirata inclusione di ben 5 memorabilia tanto agognate per i (pochi) Dickheads che non erano a conoscenza di: 1) Sky Puddle / Country of nuns, primo singolo datato 1992, doppia magia del loro immarcescibile stile 2) Cows of light e Careful with that axe, Steve, contenute in uno split con gli oscurissimi inglesi One Small good thing del 1995 3) Huckleberry fetal pain, per quanto ne sappia io completamente inedita. E dal momento che siamo spiritualmente dalle parti di Emotional Plague, è superfluo che aggiunga altre parole.
Per quanto riguarda l'originale, è sempre un piacere riascoltare in primis la dolente ballad The hunchback, l'arrivederci sereno di Last jam e la pacatezza stonata di Summertime. Il resto erano poco più che scherzi o sperimentazioni senza capo nè coda, concettualmente non assimilabili ad altro. Ma i SD erano da prendere o lasciare, così com'erano.
Ah, si sono riformati, già. 
Non voglio sapere se faranno qualcosa di nuovo.

martedì 7 gennaio 2014

Supersilent - 6 (2003)

Che noia, che barba, sembrano esprimere i Supersilent su quel divano. Forse soltanto il tipo seduto sulla sedia sembra un filo incline alla comunicazione.
E come se non bastasse, questi loschi figuri norvegesi nerovestiti si sono resi responsabili di una delle operazioni più concettuali degli ultimi 20 anni: non avere alcun concetto. Sarà stato per pigrizia, o per voglia di suonare e nient'altro, per antipatia verso la stampa; comunque sia, i Supersilent per me sono una grande incompiuta. Non è certo per la questione dei titoli, anzi. Che la loro musica sia ambient, o jazz, o avanguardia, o progressive, la personalità per fare sfracelli ce l'hanno sempre avuta ma non ci hanno mai dato fino in fondo nell'organizzare meglio le cose.
In ogni loro lavoro ci sono parti di assoluto splendore, di maestosa imponenza, e da un momento all'altro....si piomba nella noia, nell'autoindulgenza fine a sè stessa. Così succede anche in 6, che annota splendide elucubrazioni come nella finale 6.6, eterea fino al raggiungimento dell'estasi grazie anche al canto fonetico (non so perchè ma mi ha ricordato i migliori Magma), il passo esplorativo della cartolina da equatore 6.2 (magnifica la tromba), i drones piramidali di tastiere in 6.5, che raggiungono un climax ragguardevole.
Così bisogna accontentarsi e sbadigliare un po', a tratti, lungo il disco. Questa è impro pura, c'è poco da fare.

lunedì 6 gennaio 2014

Super Minerals - The Hoax (2011)

Ad oggi ultima manifestazione di attività per SM, The Hoax è una cassetta che segna un drastico cambio di rotta per il duo: Giacchi ripone del tutto la chitarra (perlomeno quella suonata nel senso classico del termine) e si dà il via ad una fornace impazzita di suoni elettro-acustici, concreti e quanto mai ostici. French ha avuto la meglio sul da farsi? Sembra proprio di sì.
In più di un frangente sembra di trovarsi nel bel mezzo di una tempesta artigianal-industriale tipica di ciò che facevano i primi Cranioclast, con l'aggiunta di un'inesauribile produttività di suoni che rimandano ai pionieri storici dell'elettronica di un mezzo secolo fa. La svolta è doppiamente sconvolgente: prima il suono dei due era nebuloso, votato all'abbandono sensoriale e corporale, mentre ora è energico e titanico; le spirali sguscianti e brulicanti di suoni ispidi sembrano perfettamente raffigurate nella cover, non più espansive dell'anima ma astratte e sfuggenti.
Ovviamente è sempre una questione di gusti, ed Hoax se non altro ha sorpreso.

domenica 5 gennaio 2014

Super Minerals - Live 5-13-08 [Stunned]

Per la label Stunned del chitarrista Phil French, un brevissimo live (22 minuti) in edizione cd-r in tiratura ultralimitata di, udire udire, ben 10 copie (!).
Potenza dell'underground, dei giorni nostri. Potrei immaginare un live dei SM come un happening per pochissimi intimi, in una serata primaverile ai margini della spiaggia pacifica, condita con chissà quali essenze utili a trasferire l'ambiente in una località immaginaria che potrebbe essere Tibet o Pompei.
Un flusso brancolante di psichedelia per la chitarra estatica di French e per gli effetti allucinatori di Giacchi, per un effetto di sicura ipnosi; diviso in due parti, una di 21' e la seconda di appena 1', per canti di volatili. Ecco, mancava la selva oscura fra le mete immagignifiche. 
Secondario, per chi prima ha ascoltato i loro piccoli capolavori.

sabato 4 gennaio 2014

Sunn O))) - Black One (2005)

L'inferno eclettico, in quello che è stato forse il più famoso drone-metal mixato con le palesi intromissioni delle raucedini black-metal, dei risucchi senza fine, della perdizione cosmica. Ma anche con le intrusioni glitch di Ambarchi, con le architetture fantasma e le illusioni ottiche (Candlegoat e Cry for the wheeper). Insomma, Sunn O))) già ibridati verso altre forme di estremizzazioni anche con un O'Malley all'epoca già presissimo da altre fonti di incontinenza (fra cui la sua migliore di sempre, Khanate).
Non lo indicherei come classico del genere (i Boris e gli Earth avevano fatto di meglio e tempo prima), ma un apertura importante al pubblico sì. 
PS: nel limited edition bonus disc compare anche una famigerata Vlad Tepes. Che Tipastri.

venerdì 3 gennaio 2014

Sun Kil Moon - April (2008)

Ha un po' il sapore della resa, April, del colpo di spugna primaverile in cui i colori sprigionano ovunque ma si preferisce guardarli dalla finestra.
In Tonight in Bilbao e Moorestown per la prima volta nella sua carriera Kozelek ha usato gli archi, il che è stata una notizia in sè quasi sorprendente, per l'uomo che ha fatto dell'essenzialità una ragione di esistere. April è un disco in cui succede tutto o nulla a seconda dei punti di vista, e francamente invidio molto coloro che l'avranno ascoltato per la prima volta in quell'occasione.
Chissà come l'avranno scoperto, chissà come l'avranno trovato bello, bellissimo, così neilyounghiano nelle fasi elettriche e così tanto confidenziale nelle acustiche da sembrare che ti suoni e canti di fronte. Io preferisco dire che è stata una tappa nella marcia di avvicinamento a Admiral fell promises.
Ah, tornando al discorso di prima: gli archi erano del tutto superflui.

giovedì 2 gennaio 2014

Sun City Girls - 330,003 Cross Dressers From Beyond The Rig Veda (1996)

Esagerati, esagerati, esagerati Sun City Girls. Questo è cross-over totale di etnico, psichedelico e free-form freak-out, doppio cd che uscì in contemporanea ad un altro doppio. Probabilmente hanno pubblicato qualsiasi cosa abbiano suonato e questo in qualche modo era avanti.
Ma curiosamente, l'ascolto non è pesante ed interminabile come si potrebbe pensare. Forse il secondo cd, quello interamente strumentale, rumorista, cubista, alla lunga si sbrodola un po' troppo. Però il primo è veramente geniale, fatto di canzoni vere e proprie che rivisitano le tradizioni di mezzo mondo (in prevalenza latino-americana, direi. ma anche raga indiano e qualcosa di africano), con qualche puntatina nel surf in qua e in là. Le tracce migliori sono CCC, Cruel and thin e Apna desh.
In attesa di ascoltare altro del loro sterminato repertorio, ho trovato una piccola perla.

mercoledì 1 gennaio 2014

Sun Araw - The inner treaty (2012)

Temevo che Stallones restasse influenzato dall'esperienza dello split con il combo giamaicano (meglio sorvolare, secondo me), invece fortunatamente non è così e Inner treaty, il suo ultimo disco (incredibilmente nel 2013 non è uscito nulla!), è un altra conferma di quanto questo freak stia giocando con la psichedelia fino a farla trasfigurare in qualcosa di deformato, ma sempre fresco e gioviale.
In neanche 40 minuti, il disco è molto più articolato dei precedenti e si caratterizza per una maggior compattezza; non so se perchè forse si è speso di più nella produzione o se è soltanto il miglioramento di Stallones come arrangiatore, fatto sta che ci sono meno sbrodolamenti e l'occhio si sposta su un astrattismo surreale che a tratti ha dell'irresistibile (And I, Like Wine), ma mantiene la sua proverbiale espansività con un piglio a metà fra il celestiale e lo stranito (Grip, Treaty).
Il solito colpo a segno di Stallones, dopo che l'incerto Ancient Romans mi aveva fatto pensare al peggio.

martedì 31 dicembre 2013

Suicide - Second Album (1980)

Ma se Rev e Vega avessero fatto un secondo sulla falsariga del debutto, cosa si sarebbe scritto al riguardo? Sarebbe stato dipinto come un secondo capolavoro di lungimiranza o come una replica senza arte nè parte?
Fecero bene, i due ceffi, a trovare soluzioni diverse e ad introdurre qualche melodia in più. Il risultato sta in un disco che disorienta ancora, i cui ammiccamenti danzerecci finiscono per apparire ancor più macabri di quanto lo fossero certi incubi del primo; in questo modo ebbe inizio il synth-pop, anche se nella venatura esclusivamente di Rev/Vega. Che ebbe particolare riuscita in Mr. Ray, Touch me, Dance, e nel capolavoro Harlem, sulla scia dei primi grandi shock.
Notevoli le 3 aggiunte nella ristampa del 2009, in particolare Radiation. Musica che col senno di oggi sembra così semplice semplice, ma allora....

lunedì 30 dicembre 2013

Suez - Illusion of growth (2013)

Poco tempo fa scrivevo due righe sugli Shock Headed Peters, ed alla fine mi chiedevo se mai avessi sentito qualcuno replicare le loro gesta. Ora ascolto per la prima volta questo quartetto di Cesena ed ecco la pronta risposta alla mia domanda: dopo 30 anni ecco qualcuno che si ispira (non so quanto volontariamente, però è inevitabile) all'art-post-wave decadente e surreale di quella entità, con le dovute traslature temporali ma in maniera significativa, a partire dalla clamorosa somiglianza dell'impostazione vocale del cantante con Karl Blake.
Sia chiaro, asserisco questo in un'accezione positiva perchè con queste premesse i Suez fanno sentire la loro impronta personale: oltre agli impliciti tributi ai Peters (Things don't change, Bloop, la ballad pianistica Anything), ci sono pezzi accattivanti di chiara derivazione new-wave (Boys must cry, Chains) ed un paio di perle post-moderne dagli umori mutanti come Head bang e 1.000 Years.
Non conosco l'età ed i trascorsi ma credo che possano fare ottime cose, crescendo.

domenica 29 dicembre 2013

Subaudition - The scope (2006)

Duo finlandese dedito ad uno spleen-folk altamente emotivo, dall'ampio respiro ed inevitabilmente invernale (almeno credo sia una sensazione di noi popoli latini, che la musica spiccatamente scandinava ci comunichi temperature rigide...), a mio avviso molto differente dai grandi connazionali Tenhi, a cui vengono accostati in pressochè ogni recensione.
In quanto meno solenne e più intimista, i Subaudition esprimono innanzitutto una debordante malinconia. Ciò che conta è che Scope sia una gemma sia per la scrittura che per gli arrangiamenti, innestati soprattutto sulle chitarre e con un uso intelligentissimo di piano ed organo. Nessuna percussione per un flusso di coscienza ammantato di emozioni cristalline (Raindrops, The blue light, No Angel, Counterwise, Godspeed le più belle). Unico difetto tangibile la voce, un po' deboluccia ed incerta; con un cantante di altra stazza questo si sarebbe chiamato capolavoro.

sabato 28 dicembre 2013

SubArachnoid Space - Endless Renovation (1998)

Molto più meditato ed ordinato del precedente Almost invisible, il 4° album dei californiani non rinunciava certamente all'ostinata attitudine di jam psichedelica ma al posto delle scorribande impazzite preferiva puntare ad uno stato di ipnosi quasi zen.
L'utilizzo di un organo quasi liturgico in Will you make my house a carnival, le movenze aeree di Safety in numbers, la navigazione circospetta di Twilight sleep, coniugavano un interplay fra gli strumenti che non superavano mai una certa soglia di prevaricazione. Persino nelle tracce più dure (Square wheels, Good grief) in cui le distorsioni non uscivano mai dai ranghi, appariva chiaro che il gruppo di Jones fosse quasi timoroso di perdere il controllo, di uscire dalle righe.
A seconda dei punti di vista, un disco poco attrattivo per gli invasati e di grande fascino per i seguaci di quella Bibbia che è Ummagumma.

venerdì 27 dicembre 2013

Strapping Fieldhands - Wattle & Daub (1996)

Dopo il geniale Discus, un secondo all'insegna di una maggiore elettricità, di un esuberanza pop frutto anche di alcune composizioni memorabili degne di ingaggiare una sfida con i contemporanei Flaming Lips.
C'è aria di festa, qui: fin dall'iniziale The author in her ear la melodia ha la meglio sul resto, pur mantenendo la trasandatezza intrinseca; abbandonate del tutto le velleità redkrayoliane presenti sul precedente (relegate ad un paio di minutini in coda alla gagliardissima Soundscapes), il complesso di Philadelphia non risentiva per niente di questa relativa normalizzazione, tutt'altro. Si ascolti la selva infuocata di Song of mourning dove o gli stordimenti di Blue Kangaroo per godere di questo indie-psych di alta qualità.

giovedì 26 dicembre 2013

Andy Stott - Luxury Problems (2012)

Techno-Dream-Dark-Trip aggiornato ai giorni nostri, carico di opacità e stordimenti paradisiaci. Questo è quanto propone il terzo disco dell'inglese Stott, ed i consensi sono stati veramente unanimi.
E ben vengano, dischi come questi, che aiutano l'elettronica a mantenersi sempre fresca e viva. Bè, forse la freschezza non è proprio quanto ispira l'ascolto di Luxury problems, che semmai sembra di vivere una seduta/sudata lunare, con questi ritmi mutanti, carichi di bassi minacciosi e rimbombanti.
Il tratto che inizialmente sembra essere più immediato è il diffuso e suadente vocalizzare femminile che quasi stride con l'ambiente (spettacolare in tal senso Lost and found) generalmente non molto incline al ballo e a tratti quasi rovinoso (Expecting), lasciando una porta aperta alla volta celeste solo alla fine, con gli echi angelici di Leaving. Ma il disco è sornione e sa riservare sempre avviluppi di grande fascino.

mercoledì 25 dicembre 2013

Mark Stewart + Maffia - Learning To Cope With Cowardice (1983)

Si potrà disquisire sul fatto che Stewart abbia dato le sue prove migliori grazie ai musicisti che lo spalleggiavano, che il suo strumento-voce di certo non sarebbe stato così peculiare sopra ad un altro suono. Ma non si può dubitare del fatto che fino a metà '80 sia stato un fenomeno portatore della bandiera della fusione fra musica nera e bianca creando mostri irripetibili.
Seppur accreditato anche al trio Maffia, Learning è all'80% di sua penna ed è immancabilmente un caposaldo di dub fantasmatico ambientato su un altro pianeta, e neanche nel sistema solare. Quasi impossibile riuscire a descriverlo, tanto è movimentato e spettacolare, col climax incredibile di Jerusalem, che catapulta l'alieno in una terra santa di samples sinfonici e cori di preghiere così, come se nulla fosse.
Geniale è dire poco.

martedì 24 dicembre 2013

Stereolab - Transient Random-Noise Bursts with Announcements (1993)

Pur sempre piacevole, l'ascolto degli Stereolab di 20 anni fa impone più di una riflessione, la primaria delle quali è che il loro suono oggi suona più invecchiato di quello dei loro numi tutelari, risalenti a 40/45 anni fa.
Ai tempi l'eccitazione principale forse era dovuta al fatto che furono fra i primissimi a recuperare in modo così eclatante Neu! e Can, Velvet Underground e francesismi vintage, principalmente dovuti alla nazionalità della cantante. 
Transient rivelava ai più un gruppo capace di fondere amabilmente tutto questo con una certa nonchalance, ma oggi non mi eccita più.

lunedì 23 dicembre 2013

Stateless - Matilda (2011)

Più o meno unanimi i cori di mezza delusione per Matilda, e immagino quanto possa essere stato ingrato agli occhi degli Stateless vedersi continuamente richiamati al primo disco ed ai colpi da ko che assestava. Al punto che quasi mi dispiace accordarmi a quel vociare, ma certe considerazioni sono inevitabili. L'ambizione del gruppo di evolversi e mischiare le carte ha finito per soffocare il grande talento melodico, rendendo il disco discontinuo e troppo altalenante.
Curtain calls apre già con un segnale: l'intro è sommessa e bellissima, ma al momento del chorus un pesante meccanismo rompe la magia e l'inciso è ruffiano oltre misura. Le contraddizioni si scontrano non stop: ad alcuni pezzi orribili come Ariel, I'm on this o Visions ne rispondono stupendi come Miles to go, Song for the outsider, I shall not complain, memori dell'esordio e con la sapienza della maturità. La freschezza sembra essere andata un po' persa, ma più che una ricerca del successo forse li ha danneggiati la voglia di non farsi bollare come epigoni dei Radiohead. Ma mi sento ottimista e mi aspetto grandi cose per il ritorno.

domenica 22 dicembre 2013

Starving Weirdos - Father Guru (2007)

Nel bel mezzo del mare magnum dell'ambient-weirdo-noise-psichedelia di questi anni i californiani Starving Weirdos non sono molto più di una goccia espansa. Nonostante le premesse allettanti, a mio avviso la metà del progetto Brian Pyle ha fatto e sta facendo meglio come Ensemble Economique.
Poi è anche vero che il duo ha cercato di rilanciarsi allargando la componente gotica del sound, cercando di prendere strade laterali e quant'altro. Father guru è quasi proverbiale a partire dal titolo: tre lunghe elucubrazioni molto differenti fra di loro ma ugualmente acide, slabbrate e molto scontrose. Si fa preferire Trancin', quella che paradossalmente è nello stile più abusato del drone-folk. Poco più che interessante.

sabato 21 dicembre 2013

Stars of the Lid - The Tired Sounds of (2001)

Più che stanchi, direi suoni evanescenti, quelli del duo texano. Mega-contemplazione di un paio d'ore talmente soffice e composta che durante la seconda ad un certo punto mi sono chiesto in quale razza di posto si trovasse la mia testa.
Nell'ambient il confine fra levitazione e rottura è molto sottile, i SOTL qui hanno fissato un punto di osservazione in cui molti altri si sono posizionati successivamente. La fonte di saggezza primaria è sempre quella dell'Eno di Airport, ma io odo anche le prime, educatissime partiture di suo fratello Roger o le arie sinfoniche di Budd, vedi la commovente Requiem for dying mothers e la neoclassica Mulholland. In ogni caso, un solco che non finisce mai, mai e poi mai, e l'abbandono è sublime....

venerdì 20 dicembre 2013

Starfuckers - Infrantumi (1997)

Dopo le implosioni dovute ai Sinistri, le frantumazioni soniche. I lunigiani alle prese con la loro opera più subliminale, implicita; un flusso che comunica prima di tutto isolamento.
Protagonista del disco la batteria di Bertacchini, onnipresente ed in primo piano, un apparente generatore di battiti random che suscita nevrosi all'ascolto. 
Attorno a questa terra bruciata Giannini e Bocci giocano alle sottrazioni più che all'algebra dell'avanguardia. Ancor più difficile del precedente nella sua folle omogeneità. Nessun prigioniero.

giovedì 19 dicembre 2013

Stare Case - Lose Today (2011)

Non ricordo dove l'ho letto, ma c'è stato qualcuno che per questo disco ha chiamato in causa il blues. Beh, è una parola un po' grossa, ma per assurdo ci può anche stare. Stare Case è un collaterale di 2/3 dei Wolf Eyes, Young & Olson, i quali posano a terra le armi bianche di distruzione di timpani, com'è giusto che sia rovesciano la situazione e si danno ad una manciata di elucubrazioni spastiche e sconnesse ma molto, molto quiete. E difficilmente inquadrabili.
Young fornisce poche, scandite ed elementari note di basso (non è un bassista e si sente) e canta sommesso, con un senso di svogliata repressione. Olson si occupa del resto che consiste in spirali di elettronica smorzata, di qualche percussione e di un clarinetto assolutamente delirante (non certo è un fiatista e si sente, ma forse sono le parti migliori).
Ci si potrebbero fare mille domande sul senso di questo esperimento, la prima delle quali è perchè? Non lo so ma in un certo senso Lose Today funziona e cattura un'attenzione da centro di igiene mentale. Lo chiamerei ignorant-garde.

mercoledì 18 dicembre 2013

Staer - Staer (2012)

Noise norvegese, che provenienza inusitata; giocoforza ne esce qualcosa di davvero peculiare da parte del trio Staer, il cui suono è definito happy metal dalla etichetta discografica.
Ed ecco una possibile nuova combinazione del noise-rock, che sembra mescolare le intricate trame dei Sightings con le arzigogolate partiture, ai limiti del jazz-core, dei connazionali Bushman's Revenge, con un suono di chitarra invidiabilmente alterato grazie anche a vagonate di octave-pitch, con una sezione ritmica che dire cingolata è poco.
Il disco è una corsa quasi da infarto, che necessita di diversi ascolti per farsi prima digerire e poi apprezzare. Pochi gli sprazzi di reale musicalità, prima con la straniante Sex Varnish (come se gli Oxes jammassero con i Drunkdriver) ed al culmine, con Dr.Life che relativizza la concitazione in uno showcase di follia del chitarrista, davvero mozzafiato.

martedì 17 dicembre 2013

St. Tropez - Icarus (1977-1978)

La Liguria fu terreno fertile per il prog, com'è noto, ma non tutti i liguri hanno avuto la stessa fama. Ciro Perrino ad esempio è uno che se l'è creata (per dire) da solo nei primi anni '90 fondando la Mellow Records, etichetta molto importante in tema di ristampe it-prog in tempi non sospetti ovvero quando il genere non era poi così tributato dalle cronache musicali.
Così facendo sono emersi una moltitudine di lavori che lo coinvolsero in diverse band durante i '70, di cui la maggior parte rimasti nei cassetti senza conoscere la luce della pubblicazione. St. Tropez è quello forse più interessante anche se si sente la disomogeneità della raccolta, l'approssimatività della produzione e della registrazione. Il retaggio era indubbiamente progressive, in larga parte strumentale e con una puntina di effetti space-rock sulla scia dei Sensation's Fix, senza averne tuttavia il talento. Spiccano un paio di ottime tracce come Nella cascata e Verdure saltate, anche se trattasi di serie minore e si era ormai fuori tempo massimo (d'altra parte di Locanda Delle Fate ne è esistita solo una).

lunedì 16 dicembre 2013

ST 37 - The invisible college (1992)

Un po' acida, come soluzione antisettica. Debutto ufficiale di questi freaks texani, probabilmente i più longevi della scena che si agitava intorno ad Austin nei primi anni '90 e che non ha decisamente lasciato capolavori di scuola, anche se sempre superiore all'omologa e contemporanea inglese.
Con le influenze wave ancora un po' intimidite nel sottofondo, ma con un impeto quasi punk in alcuni pezzi (Mob on our hands, Luxuria accelerator) che materializzava un nuovo, interessantissimo ibrido fra Hawkwind e Rocket From The Tombs (non voglio dire primi Pere Ubu perchè sarebbe arduo, anche se la voce spesso fa qualcosa per imitare David Thomas), sarebbe piuttosto soggettivo definire Invisible college il miglior disco degli ST37 ma ci andrei abbastanza vicino. Il basso onnipresente e i trip incandescenti delle chitarre restano un marchio a fuoco che compensava composizioni non fenomenali, come a dire: la psichedelia viene prima di tutto il resto.

domenica 15 dicembre 2013

Squadra Omega - Squadra Omega (2010)

Un altro modo di fare del vintage, nè pedissequo nè che sappia di stantio, citazionista ma che si fa ascoltare con gradevolezza. I 16 minuti di Murder in the mountains sono i più interessanti, paludosa escursione in territori psichedelici che non ha proprio nulla di nuovo ma incuriosisce l'assemblaggio di ritmiche e sax.
All the words you can find è una simpatica pantomima acid-wave, Ermete è fin troppo debitrice dei primi Dead Meadow, Hemen Hetan una jam schizo-blues un po' tirata per le lunghe. 
Al primo ascolto mi era piaciuto di più. Meglio il successivo Le nozze chimiche, più coraggioso.

sabato 14 dicembre 2013

Spokane - Measurement (2003)

Nella sua lenta rincorsa a sfornare quel capolavoro che è stato Little hours e prima che la vocazione di regista prendesse il sopravvento sulla musica, Rick Alverson è stato un fautore di slow-core talmente delicata da sembrare in bilico di rompersi da un secondo all'altro in un pianto liberatorio, e Measurement non è stato da meno.
Il pregio maggiore del progetto Spokane era proprio questo: saper creare atmosfere cristalline che a seconda dei gusti possono annoiare a morte o emozionare con la propria genuinità. Un po' come se i Piano Magic perdessero la loro englishness e si dessero in toto soltanto al lato intimista del loro suono, con una capacità compositiva di egual razza.

venerdì 13 dicembre 2013

SPK - Leichenschrei (1982)

A dimostrazione che in Australia non si è mai stati così fuori dal mondo, anzi. Gli SPK nacquero nel 1978 e furono un progetto di musica industriale influenzato dai Throbbing Gristle ma meno cruento, con qualche commistione gotica (vedi l'uso del basso) ed una forte propensione allo psycho-shock orrorifico: non a caso Revell, l'anima musicale, diventerà un richiesto compositore di colonne sonore negli anni 90.
Leichenschrei ha anche qualche assonanza con gli Einsturzende Neubauten, per via delle quintalate di percussioni industriali messe in scena, ma va detto che Kollaps era uscito appena un anno prima e forse sarebbe impervio dire chi era arrivato prima con un certo stile. 
Sono certo che il connazionale Foetus ai tempi abbia strizzato l'occhiolino e abbia ostentato soddisfazione.

giovedì 12 dicembre 2013

Laurie Spiegel - The Expanding Universe (1980)

Ristampato l'anno scorso per la prima volta dopo 32 anni, The expanding universe è un piccolo cult della musica elettronica in quanto la chicagoana Spiegel, musicista con un retroterra folk, fu una delle prime performers ad applicare il minimalismo al computer digitale. Incuriosisce, pertanto, l'ascolto del flusso dronico della title-track che si prolunga per 22 minuti con mutazioni quasi impercettibili: un po' tedioso sulla lunga distanza ma è significativo di quanto sia influente su una marea di acts del sottoterra americano attuale (zona Digitalis e dintorni)
Meglio le 3 tracce che lo precedono, segnate da una briosa elettronica cosmica debitrice oltremodo dei tedeschi di qualche anno prima ma con un piglio minimalista che lo rende abbastanza interessante. Non certo una pietra miliare, gradevole e nulla più.

mercoledì 11 dicembre 2013

Alexander Skip Spence - All My life + After Gene Autry 7"

Per chi ha consumato Oar al punto di conoscerlo quasi a memoria e per chi non trova tanto esaltanti i Moby Grape, un paio di singoletti postumi editi dalla newyorkese Sundazed, specializzata in operazioni di archeologia di questa fattezza.
Il primo è datato 2000, giusto pochi mesi dopo la morte di Skip. All my life fu registrata nel 1972, quando ormai la sua pazzia era più che una diagnosi, ma è la canzone più banalmente rock che abbia mai scritto. Sul retro Land of the sun, del 1996, commissionatagli per la colonna sonora del film X-Files ma mai utilizzata: una modernizzazione controllata di Grey Afro, ma si sente che il leone è in gabbia.
Nel 2009 invece sono comparsi questi 2 demo registrati nel 1968, di maggior interesse: After gene autry è un simpatico vaudeville di cui Skip durante l'esecuzione dimentica il testo e se la ride sonoramente. Motorcycle Irene invece è riconoscibile come la più interessante del lotto, uno perchè è decisamente bella e due perchè nel finale Spence imita il suono della motocicletta Irene, e l'ilarità scatta inevitabile.

martedì 10 dicembre 2013

Frankie Sparo - Welcome crummy mistics (2003)

Ma che fine ha fatto Chad Jones? Un vero peccato che questo talentuosissimo songwriter si sia dato alla macchia, dopo due splendidi album a inizio decennio scorso su Constellation. Se il primo denotava un interessante interpretazione della folktronica, con Welcome si fece spalleggiare dai Silver Mt. Zion dando una profondità cameristica al suo songwriting sempre più drammatico e pregno di lirismo.
Pezzi come My sistr, Hospitalville, Sleds to moderne, Bright angel park e soprattutto la miracolosa City as might have been elevavano l'arte del cantautore a livelli di magnificenza. Un arte umile, melanconica, in grado di far vibrare le corde emotive più recondite. Un influenza possibile per il nostro Samuel Katarro, e  non soltanto per la decisione di coprire il proprio nome.
Splendido.

lunedì 9 dicembre 2013

Spam & Sound Ensemble - Spam & Sound Ensemble (2013)

Progetto giustamente presentato come qualcosa di originale per i giorni nostri, un po' perchè coinvolgere Succi equivale sempre ad avere quel quid in più di sostanza artistica. L'idea è del produttore Rossi che ha concettualizzato il non-luogo e musicato il tutto, Succi ha creato i testi (si scrive partendo da delle mail spam), suonato e cantato, Dorella ha completato il quadro. In partenza, molto interessante, insomma.
Musicalmente il disco fagocita più o meno qualsiasi cosa in ambito elettronico, ma anche industriale, funky, soul, Suicide. Un po' troppo. E' di un eterogeneità che fa spavento, e non so se l'intenzione di Rossi fosse quella di disorientare, ma ci riesce benissimo. Dal canto suo Succi ci mette il ventaglio di recitazione, i soliti interessantissimi testi e qualche pezzo che si potrebbe additare al repertorio Bachi Da Pietra (Esitando, Nel basso, T.E.D.O.S.B.). 
Missione compiuta, per quanto il disco sembra curato e confezionato. Può piacere e non piacere.

domenica 8 dicembre 2013

Sound - In the hothouse (1985)

In epoca new-wave, la pubblicazione di un live poteva equivalere alla definitiva consacrazione, magari non necessariamente commerciale ma quantomeno di reputazione ed importanza. Nel caso degli sfortunati Sound invece, rappresentò il canto del cigno di una carriera più che dignitosa, che forse non ha partorito un capolavoro degno di essere citato fra le pietre miliari del genere ma ha soltanto generato una manciata di buoni album intrisi di energia e visceralità.
Quando fu registrato In the hothouse avevano già di fatto rinunciato al successo lasciandosi alle spalle l'esperienza major ma paradossalmente con Shock of Daylight e Heads and hearts, pubblicati l'anno precedente, avevano raggiunto una perfezione melodica col songwriting di Borland sempre più raffinato.
La scaletta del live pesca in maniera equilibrata dal repertorio; sulla scelta dei pezzi come sempre si tratta di soggettività, per quanto mi riguarda ci sono Sense of purpose, Missiles, Under you e Total recall a viaggiare sopra la media.

sabato 7 dicembre 2013

Giuliano Sorgini - Elettroformule (1969)

Compositore di colonne sonore specializzato in b-movies anni '70, uno dei tanti mossisi all'ombra di Morricone e per questo un po' rammaricato con la jella come dichiarò in un intervista qualche anno fa. Ed anche per lui un colpaccio con la Leo Records in tempi non sospetti (1969 potrebbe essere l'anno giusto, anche se col beneficio del dubbio), con questa breve sonorizzazione di stampo fantascientifico molto priva di compromessi. Elettro-acustica stordente e spiazzante, qualche punto in comune con Zanagoria c'è (oltre al fatto che entrambi sono stati ristampati su cd-r dalla Creel Pone), anche se qui l'impeto a volte sembra sfociare in una simpatica naivetè, soprattutto per i pezzi improntati su organo.
Sempre di musica di servizio si tratta, ma che coraggio....


venerdì 6 dicembre 2013

Sophia - There are no goodbyes (2009)

E' rimasto l'ultimo disco di Robin, e fa pensare, perchè non è mai stato così tanto tempo senza fare un disco: i tour si susseguono l'uno dietro l'altro e con la mezza età che si avvicina, forse Robin è in crisi di ispirazione. So di essere ingeneroso perchè non perdòno le cadute e i declini dei miei beniamini, perchè il senso di perdita col passare degli anni si fa un po' più doloroso ed è un concetto che si trasla perfettamente anche nella musica.
Chiusa la filosofia spicciola, c'è da dire che People are like seasons è rimasto l'ultimo disco bello (bellissimo) di Robin, dopodichè Technology e Goodbyes sono stati capitoli abbastanza sbiaditi, moscetti, in cui ha stancamente ripreso i canovacci di una vita, senza azzeccare una melodia epocale delle sue come, che ne so, The sea, I left you, Ship in the sand o Bastard o tante altre. C'è da dire che Robin ha finito per assomigliare pericolosamente ad un altro nobile decaduto come Malcolm Middleton, facendosi sempre più orecchiabile.
Dai Robin, ripigliati e tira fuori qualcosa di meglio, la prossima volta.

giovedì 5 dicembre 2013

Sonic Youth & Jim O'Rourke - Invito Al Cielo (1998)

A fine nineties, potendo ormai fare tutto ciò che a loro pareva, i SY aprirono una loro etichetta dedita a pubblicazioni parallele alla discografia major, e peraltro molto duratura in quanto l'ultima è datata 2011, di fatto anno di morte del gruppo. Pubblicazioni quasi sempre molto sperimentali, con il vezzo di essere intitolate ogni volta in un linguaggio diverso; nell'occasione del 3° volume incrociarono per la prima volta Jim O'Rourke, che pochi anni dopo sarebbe diventato membro aggiunto della combriccola.
Il problema dei SY adulti, secondo me, stava essenzialmente nell'aver perso l'eversività e la carica agonistica dei primi anni: ma trovatosi ormai nella spirale del successo, si trasformarono in musicisti professionali pur non essendoli dentro. Se dovessi indicare una band simbolo di lampante perdita artistica post-major (attenzione, non di svendita), per me i SY sarebbero gli indiziati maggiori.
Ora, sul versante sperimentale non so se le cose sono andate meglio perchè non ho ascoltato un granchè; Invito al cielo è un guazzabuglio di impro-noise che paragonerei in questo modo: sta ai SY come Arc stava a Neil Young, ovvero una raccolta degli stordimenti (principalmente farina del sacco di Ranaldo, direi) che appaiono in qua e in là nelle loro canzoni, amplificato e allungato oltremisura.
Ricordo di aver sentito cose molto migliori, in questo genere, sia prima che dopo.

mercoledì 4 dicembre 2013

Songs Ohia - Didn't It Rain (2002)

Un pensiero gentile per il buon Jason Molina che è venuto a mancare qualche mese a causa delle conseguenze di abuso d'alcool, nonostante si fosse ritirato da tempo in una comunità per disintossicarsi. Diciamo la verità, a posteriori non è che sia stato un personaggio memorabile nel panorama dei neo-cantautori rurali americani: figura di seconda fascia, che intorno al 2000 sfruttava le rinnovate onde di attenzione per le musiche acustiche per trovare un po' di visibilità anche grazie alla Secretly Canadian che lo manteneva fedelmente a catalogo.
Dopo i suoi migliori dischi Ghost Tropic e The Lioness, però, ripiegava sul classicismo stretto e potava alle radici qualsiasi ingerenza esterna che non riguardasse un cantautorato fin troppo asciutto e neilyounghiano. E anche un po' stancante come Didn't it rain, che contiene qualche buona melodia ma che ha il difetto enorme di non subire nessuna variazione all'interno di ogni singolo brano: lo schema è sempre quello e lo sbadiglio è garantito. Peccato.
Riposi in pace.

martedì 3 dicembre 2013

Solo Andata - Ritual (2010)

Se l'ambient è un pozzo senza fondo, allora è pienamente legittimo che sbuchi dall'altra parte del pianeta, in Oceania dove risiede il duo Solo Andata. E dopo aver attraversato certi meandri è legittimo anche che si faccia scura, molto scura.
Non c'è più molto da inventare nella dark-ambient, si dirà, e quindi? Quindi Ritual assume, come da nome, i connotati di una cerimonia che si direbbe pagana, in cui i suoni concreti sono uno strumento cardine della struttura; fra lo sciame incessante di Aggregate, la lugubre galassia di Carving e l'escursione polare di Myrmecia svettano i 20 minuti di Incantare; uno sprazzo di luce si apre e il brancolare dei due diventa più consapevole, aereo. Per l'appunto, incantevole.

lunedì 2 dicembre 2013

Soft Machine - Live At The Paradiso 1969


Come si sovviene ad ogni leggenda, le anomalie a volte sono così grandi che nemmeno uno se ne accorge. Per anni questo è stato un oggetto dei miei desideri, salvo poi scoprirlo soltanto in epoca di filesharing e restarne sinceramente non troppo contento: ma come, i SM che fanno Vol. 2 dal vivo, peraltro al leggendario Paradiso di Amsterdam, e l'odiato Ratledge non fa altro che suonare il suo organo fuzzato snaturando le numerose parti di piano? Dove lo vogliamo mettere?
Ora, smaltita da anni questa delusione, lo affronto con una consapevolezza diversa e mi appare per ciò che è, ovvero una grande prestazione da parte di uno dei power-trio più precari e allo stesso tempo mitologici della storia inglese. Senza piano e  senza fiati, un live crudo e molto fisico che stempera anche le dolcezze infinite di Dada was here e Thank you pierrot lunaire, che trova la sua migliore dimensione nelle palestre virtuose di Fire engine, Hibou anemone and bear e soprattutto in Pig.
E' un live che non mi fa venire voglia di cercare bootlegs analoghi, ma che oggi rivaluto. Poi è chiaro che una roba come Noisette è sempre inarrivabile, ma era un'altra formazione.

domenica 1 dicembre 2013

Sneaker Pimps - Splinter (1999)

Coraggio da vendere, quello in dote a Howe e Corner i fondatori di SP: dopo il relativo successo commerciale di Becoming X, cacciarono la suadente vocalist ed attenuarono drasticamente l'impatto danzereccio delle ritmiche, quello elettronico negli arrangiamenti in favore di uno spleen-pop di ottima qualità. In due parole, un sostanzioso anticipo di quanto fecero gli Stateless ben 8 anni dopo, e perchè negarlo? Suona anche un po' radioheadiano, nelle pieghe più emotive di bellissimi pezzi semi-acustici come Splinter, Empathy, Lightning field. Ma il meglio lo davano ancora quando il passo si faceva trip-hop, i samples si facevano nebbiosi ed uscivano gemme come Half life, Flowers of silence, Cute sushi lunches
Attenzione. ho scritto bene: radioheadiani un anno prima di Kid A.