Per gli stomaci forti e ben foderati al riparo da ogni tipo di ulcera sonica, le noci di cocco in questione sono una delle novità più originali ed estremiste di questa prima metà del 2010.
Trattasi di un weakness-trio di australiani trapiantati a New York, evidentemente l'unico luogo al mondo che possa sopportare (?) le loro litanie angoscianti e acide. All'ascolto iniziale l'artista che mi era venuto in mente era il primissimo Sun Araw, ma dopo diverse analisi mi sono reso conto che questo sound malatissimo d'oltretomba ha una peculiarità tutta sua, non facilmente rintracciabile (almeno alle mie orecchie) in qualche altra formazione passata.
E' un incubo sotterraneo performato da zombies. E' un suono totalmente privo di globuli rossi, ma non è inumano per niente. C'è una chitarra acidula in perenne delirio sull'orlo di feedbak e gorgoglii impietosi. C'è un basso fuzzato e ultra-minimale, poi ci sono un tom e un timpano, uniche forme di percussione e fautrici di ritmi anemici e moviolati.
Non c'è traccia di violenza nei Coconuts: infatti la voce è un lamento anemico a tono, quasi un timbro soffice che stride con l'assurdità del suono. Tutto irrimediabilmente riverberato, proprio a dare l'idea della profondità, di un sound che sembra provenire da sottoterra. Tutto con greve sentore di debolezza, di arrendevole abbandono, di spettri dalle forme indefinibili.
Saremo in 4 o 5 a filarceli, perchè chiunque si avventurerà in questi cunicoli si affretterà ad indietreggiare verso l'entrata, ripugnato.
Senza speranza.
Trattasi di un weakness-trio di australiani trapiantati a New York, evidentemente l'unico luogo al mondo che possa sopportare (?) le loro litanie angoscianti e acide. All'ascolto iniziale l'artista che mi era venuto in mente era il primissimo Sun Araw, ma dopo diverse analisi mi sono reso conto che questo sound malatissimo d'oltretomba ha una peculiarità tutta sua, non facilmente rintracciabile (almeno alle mie orecchie) in qualche altra formazione passata.
E' un incubo sotterraneo performato da zombies. E' un suono totalmente privo di globuli rossi, ma non è inumano per niente. C'è una chitarra acidula in perenne delirio sull'orlo di feedbak e gorgoglii impietosi. C'è un basso fuzzato e ultra-minimale, poi ci sono un tom e un timpano, uniche forme di percussione e fautrici di ritmi anemici e moviolati.
Non c'è traccia di violenza nei Coconuts: infatti la voce è un lamento anemico a tono, quasi un timbro soffice che stride con l'assurdità del suono. Tutto irrimediabilmente riverberato, proprio a dare l'idea della profondità, di un sound che sembra provenire da sottoterra. Tutto con greve sentore di debolezza, di arrendevole abbandono, di spettri dalle forme indefinibili.
Saremo in 4 o 5 a filarceli, perchè chiunque si avventurerà in questi cunicoli si affretterà ad indietreggiare verso l'entrata, ripugnato.
Senza speranza.
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