lunedì 5 luglio 2010

Pontiak - Live in Bronson 01/03/2010

Continua l'ottimo programma bronsoniano con l'arrivo dei tre fratelli Carney, forse il gruppo più sostanzialmente "rock" che sia mai stato sotto contratto con la Thrill Jockey, ma che signor power-trio! D'altra parte la gloriosa etichetta passata alla storia per aver divulgato il post-rock non poteva non scegliere qualcosa di peculiare, e i bros tali sono. La via futuristica e per nulla scontata allo stoner-rock che è stata tracciata anni fa dai Dead Meadow prosegue con una nuova freschezza grazie ai virginiani, fautori di un sound che sperimenta con i suoni classici, che include visioni deformi, pesantezze assortite ma di un'agilità invidiabile, armonie vocali e dilatazioni intelligenti.








La serata si apre col supporto dei White Hills, che suonano un set di quasi 45 minuti, forse un po' più del dovuto, dato che le regole del vicinato impongono lo stop a mezzanotte e ciò obbligherà di fatto i Pontiak a fare un'ora scarsa. E la cosa un po' mi dispiace, chè la mia opinione spassionata su questo trio newyorkese non è proprio entusiastica, anzi. Li ho trovati non poco noiosi, impegnatissimi nello sforzo sovrumano di fare uno space-noise massimalista e sulfureo, ma con poco costrutto e fantasia. Attrattiva la bassista vestita in stile Star Trek con tanto di tuta spaziale e paillettes, mentre il cantante/chitarrista sembrava un Manuel Agnelli con la faccia dipinta stile Kiss....Bocciati.

I fratelli entrano in punta di piedi e alle 23.10 attaccano. Il loro aspetto è quello dei giovani taglialegna; sfoggiano barbe e baffi programmatiche (il chitarrista è assolutamente uguale a Will Oldham!) e vestono molto casual. Il suono è incredibile: Van suona una SG da due ampli e effetta il tutto con arsenale di pedali, Jennings suona un Precision viscoso e profondo, Lain siede ad un set essenziale. Il canto è un optional e i volumi dei microfoni sono inesistenti, ma vocalizzano tutti e tre. Tutto è molto vintage ma le loro elaborazioni rendono l'insieme tutt'altro che datato. E mi rendono felice; il mio pezzo preferito, World wide prince, è il secondo in scaletta. Van si dimena equilibrato durante gli assoli, cammina lungo il palco e contagia i presenti col suo entusiasmo. E' il risultato d'insieme ad uscirne vincente, il che sembrerebbe scontato visto il legame di sangue e la scontata coesione fra i 3, che dimostrano personalità in ogni singolo e semplice passaggio.
Come dicevo sopra, peccato per la breve durata che ha coperto a malapena lo spettro sonoro che pescava un po' da tutti e 3 i loro prodotti, oltre ad un pezzo molto fratturato che mi sembra sia stato inedito.

Al termine mi inchiacchiero con Van per un po' al di fuori della sala. Mi racconta che lui e Jennings lavorano in una ditta che fa manutenzione di ascensori nei condomini, concorda nel rifiutare a priori l'etichetta stoner, e sa benissimo di essere uguale a Oldham perchè glielo dicono tutti. Come il suo connazionale Greenwood dei JOMF con cui avevo parlato 20 giorni fa, anch'egli dichiara amore a prima vista per l'Italia e la gioia di andare in tour in posti mai visti, seppur suonando di fronte a pochi intimi.
(originalmente pubblicato il 02/03/2010)


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