Col passare del tempo, e specialmente negli ultimi anni, si è fatta avanti in me la convinzione che i Clientele siano in assoluto uno dei migliori gruppi pop del decennio appena finito. Casualità, poi, questo è il 3° disco di cui scrivo in queste pagine e capita sempre in primavera, che è forse il momento migliore per gustarsi le superbe songs di McClean & co, insieme ai primi soli significativi.
E chissà che col passare del tempo io non riesca ad amare gli ultimi dischi allo stesso modo dei primi, chè Violet hour resta il loro vertice e subito dopo viene Suburban light, non proprio un primo albo ma una raccolta di singoletti sparsi sulla fine del millennio dai tre appena sbarcati in quel di Londra. E trattasi di freschissimi bozzetti intrisi di humus tipicamente british, rigorosamente rivolti alla seconda metà dei sixties, cosa che non avrebbe senso se la bottega Clientele non li producesse con arte finissima e degna dei giganti storici. Quadretti stringati, in cui una lievissima malinconia si sposa ad una solarità aperta tipica del pop, ma della razza più nobile e coerente che esista.
Le armonie e le filigrane cristalline di McClean sono inevitabilmente la radice, ma occorre dare nota di merito alle linee sinuose di Hornsey e al leggerissimo drumming di Keen, tutt'altro che secondari. Come negli altri dischi, non c'è un pezzo che non sia coinvolgente nè superfluo, le mie menzioni speciali vanno a: Saturday, Bicycles, Joseph Cornell, Reflection after Jane. Medaglia d'oro invece a I had to say this, forse posta al n.1 non a caso, per chi scrive miglior pezzo della carriera insieme a House on fire, da affiggere nella bacheca life-songs.
(originalmente pubblicato il 31/03/2010)
E chissà che col passare del tempo io non riesca ad amare gli ultimi dischi allo stesso modo dei primi, chè Violet hour resta il loro vertice e subito dopo viene Suburban light, non proprio un primo albo ma una raccolta di singoletti sparsi sulla fine del millennio dai tre appena sbarcati in quel di Londra. E trattasi di freschissimi bozzetti intrisi di humus tipicamente british, rigorosamente rivolti alla seconda metà dei sixties, cosa che non avrebbe senso se la bottega Clientele non li producesse con arte finissima e degna dei giganti storici. Quadretti stringati, in cui una lievissima malinconia si sposa ad una solarità aperta tipica del pop, ma della razza più nobile e coerente che esista.
Le armonie e le filigrane cristalline di McClean sono inevitabilmente la radice, ma occorre dare nota di merito alle linee sinuose di Hornsey e al leggerissimo drumming di Keen, tutt'altro che secondari. Come negli altri dischi, non c'è un pezzo che non sia coinvolgente nè superfluo, le mie menzioni speciali vanno a: Saturday, Bicycles, Joseph Cornell, Reflection after Jane. Medaglia d'oro invece a I had to say this, forse posta al n.1 non a caso, per chi scrive miglior pezzo della carriera insieme a House on fire, da affiggere nella bacheca life-songs.
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