martedì 6 luglio 2010

Red Temple Spirits - If Tomorrow I Were Leaving For Lhasa, I Wouldn't Stay A Minute More (1989)

Che siano veramente partiti per il Tibet, aspettando magari qualche minuto in più?
Dopo un capolavoro come il primo album, non sarebbe stato facile ripetersi per il mistico quartetto californiano che rivedeva il desert-rock in chiave dark-psichedelica. Eppure con i miei ascolti odierni, lo devo rivalutare nell'ottica di una progressione che, se il gruppo fosse andato avanti, si sarebbe rivelata perlomeno interessante. If tomorrow è all'apparenza disco più semplice e meno "dannato" di Dancing, ma nella sua interezza resta un gran contenitore di idee e atmosfere. Le ballad malate e siderali di Drive and deep, Wild hills, Rainbow ends, si basano su giri elementari ma di grande effetto, con le qualità dei singoli al servizio pieno dei pezzi ed inusitati, timidi anticipi di un certo post-rock che si sarebbe sviluppato di lì a qualche anno! La voce magnetica di Faircloth è retaggio indubbio della new-wave, che non fa significative modulazioni di tonalità ma svolge la funzione di ipnotizzatore sciamanico. E' la chitarra di Taylor al centro di tutto, i cui assoli sono puntate di feedback tonale, richiami diretti al Gilmour più delirante.
Anche i Cure più assorti sono un influenza importante, come nell'iniziale City of millions o nella velenosa acidità di A black rain. Le incursioni più cattive e veloci che tanto spiccavano sull'esordio sono Meltdown, Rollercoaster e Confusion, il graffio sempre in diagonale, di traverso, di classe. Un paio di episodi non proprio convincenti (la cover inutile di Set the controls e la stucchevole Alice) non inficiano per nulla la qualità intrinseca e per ultima cito la splendida melodia di Soft Machine, un pezzo che avrebbe meritato anche successo per la sua immediatezza semplice ed onesta.
Spiriti sì, ma indimenticabili.

(originalmente pubblicato il 04/03/2010)

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