La casualità è che il frontman dei londinesi Clientele si chiama Alasdair Mcclean, che fa venire in mente il fu Brian Mcclean, la spalla di Arthur Lee nei primi Love, morto per droga tanti anni fa.
Dico casualità perchè i Clientele, pur essendo un gruppo dei giorni nostri, mi sembrano la continuazione in tono minore del melodismo tipico dei Love a livello sonoro. Anche se Mcclean non ha le stesse doti compositive di Lee, apprezzo molto questo gruppo dall'impatto gentile e discreto, il cui ascolto mi rilassa molto.
Dei 3 album pubblicati finora The Violet hour è decisamente il mio preferito. Se non altro per un piccolo capolavoro chiamato House on fire, possibilmente il miglior pezzo del loro repertorio. Gli umori crepuscolari sono perfettamente fusi in un impasto melodico che non si può non definire tipico del migliore pop inglese. L'impianto è assolutamente ultra-vintage; la Telecaster del leader è perennemente arpeggiata su toni riverberati e puliti, la sua voce passa attraverso un ampli di chitarra. La sezione ritmica lo segue abilmente, con discrezione mirabile. Dietro al picco assoluto di House on fire, gli altri 12 pezzi sono egualmente notevoli, squisite vignette di purissimo artigianato cantautoriale e non ci sono momenti di noia.
The violet hour è un gioiello di raro melodismo diretto discendente dei migliori anni '60, un ascolto perfetto per questo inoltro di primavera, in un sabato pomeriggio come questo in cui l'ozio prevale sul resto.
Dico casualità perchè i Clientele, pur essendo un gruppo dei giorni nostri, mi sembrano la continuazione in tono minore del melodismo tipico dei Love a livello sonoro. Anche se Mcclean non ha le stesse doti compositive di Lee, apprezzo molto questo gruppo dall'impatto gentile e discreto, il cui ascolto mi rilassa molto.
Dei 3 album pubblicati finora The Violet hour è decisamente il mio preferito. Se non altro per un piccolo capolavoro chiamato House on fire, possibilmente il miglior pezzo del loro repertorio. Gli umori crepuscolari sono perfettamente fusi in un impasto melodico che non si può non definire tipico del migliore pop inglese. L'impianto è assolutamente ultra-vintage; la Telecaster del leader è perennemente arpeggiata su toni riverberati e puliti, la sua voce passa attraverso un ampli di chitarra. La sezione ritmica lo segue abilmente, con discrezione mirabile. Dietro al picco assoluto di House on fire, gli altri 12 pezzi sono egualmente notevoli, squisite vignette di purissimo artigianato cantautoriale e non ci sono momenti di noia.
The violet hour è un gioiello di raro melodismo diretto discendente dei migliori anni '60, un ascolto perfetto per questo inoltro di primavera, in un sabato pomeriggio come questo in cui l'ozio prevale sul resto.
(originalmente pubblicato il 03/05/08)
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