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L'impasto delle due voci riporta inevitabilmente ai Low, ma qui c'è una cura quasi orchestrale negli arrangiamenti, c'è più profondità e solennità. Se poi cito altri due nomi, il quadro è ancora più prevedibile, e sarà musica per le orecchie degli amanti dei Mogwai più meditati e dei GYBE.
Se voglio essere razionale, mi viene da dire che questo 55:12 sta al post-rock come un qualsiasi disco dei AC/DC sta all'hard-rock: non c'è niente di nuovo sotto il sole, sono sempre le 12 note che si riciclano e le canzoni fatte di piano, chitarre, voci, cura e devozione, concretezza nel descrivere stati d'animo e contemplazione. E in questo contesto i Gregor Samsa sono dei bravissimi ragazzi che lo fanno con classe e passione, seppur restino un nome fondamentalmente replicante in un genere in cui (sigh) forse è già stato dato (più o meno) tutto.
(originalmente pubblicato il 08/04/09)
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