Una premessa e due riflessioni. Premessa: il disco piace. Tanto. Splendido davvero, sempre vivo, accattivante e mai seduto, tracce ben miscelate tra l'alternarsi di ballate di memoria celtica, passaggi di solo piano, e brevi acquerelli di corde quasi esclusivamente acustici (gli intermezzi costituiti da "March 4, 1831" e "Elegy"); la produzione stessa è, oltretutto, parecchio più ricca e fantasiosa, laddove rispetto al precedente lavoro "River Arms", di stampo prettamente cameristico, qui l'evoluzione si vede già a partire dagli strumenti impiegati: rispetto ad allora il duo texano si è, anzi, ampliato a mini-ensemble con la presenza di batteria e contrabbasso, più mandolini e benji al fianco degli onnipresenti archi ed all'immancabile pianoforte. Prima riflessione: "i Balmorhea vogliono fare post-rock!" ..rispetto a "River Arms" è più marginale la componente ambientale ed il linguaggio minimale, fermo restando l'ambizione cameristica, e non mancano piuttosto accelerazioni improvvise che rimandano alla scuola degli Explosions (ma rielaborati con le sonorità più pastorali dei Mogwai), quando non c'è direttamente una batteria al ritmo di marcetta come nella bellissima "Settler" (che non può non accostarsi alle sonorità della scuola post-rock di Chicago) per non dire della costruzione armonica degli ultimi minuti della splendida “Harm And Boon” (che non può non far pensare ai Dirty Three). Risultato peraltro ottimo, il disco piace. La prima parte del lavoro consegna una raffica di brani pressoché tutti stupendi, per atmosfera e per esecuzione, con le vette dei pezzi già menzionati ma anche con la superba "Remembrance", con quel suo motivo di benjio melancolico sovrapposto al suono di un cupo violoncello, ma poi con improvvisi furiosi scatti orchestrali; da li in poi il disco cambia umore, pare che cali, ma invece diventa soltanto meno didascalico e nella voglia di approfondire le tematiche già proposte, ecco che salta fuori un piccolo cavoloro per orchestra da camera come lo splendido ritratto in penombra di "Night in the Draw", forse il brano migliore in assoluto, dall'accordatura iniziale degli strumenti che presto si schiude sulle ali di un motivo sottile via via più acceso e vivo, all'entrata del mandolino prima e dell'orchestra poi. Seconda riflessione: "questo disco l'ho già sentito!" ..un deja-vu costante corre per tutto il disco.. un senso di passato prossimo che male si accoppia ad un'uscita così recente.. e che fa pensare ad un disco nato già vecchio, benché gradevole, e pertanto destinato ad invecchiare presto e male. Ma speriamo di no.
E qui la riflessione finale: colpa dei Balmorhea? io dico di no.. allora verrebbe da concludere: colpa del post-rock? e dove sta andando il post-rock? improvvisa mancanza di nuovi temi da sviluppare? ..forse i Balmorhea sono solo arrivati troppo tardi, ed hanno trovato la tavola ancora imbandita ma i cavalli ormai tutti fuggiti dalle scuderie......Teniamoci allora questo splendido disco ed ascoltiamolo fino a lessarlo nel lettore.
E qui la riflessione finale: colpa dei Balmorhea? io dico di no.. allora verrebbe da concludere: colpa del post-rock? e dove sta andando il post-rock? improvvisa mancanza di nuovi temi da sviluppare? ..forse i Balmorhea sono solo arrivati troppo tardi, ed hanno trovato la tavola ancora imbandita ma i cavalli ormai tutti fuggiti dalle scuderie......Teniamoci allora questo splendido disco ed ascoltiamolo fino a lessarlo nel lettore.
(originalmente pubblicato il 30/04/09)
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