L'affermazione del Principe, dopo i primi due dischi acustici, un capolavoro di poesia sanguigna ed evocativa, di musicalità terrena ed elegante, grazie soprattutto all'accompagnamento magistrale del gruppo di supporto, tali Cyan. Fu la title-track a regalargli il maggior successo, anche se del lotto è forse la meno interessante. Il disincanto del country-jazz di Il signor Hood, il valzer di Buonanotte Fiorellino, la pastorale Le storie di ieri, sono arrangiate con gusto sornione, in perfetta sintonia con i versi impareggiabili dell'arrogante romano.
La diversità è il pregio maggiore del disco: i tre numeri puramente acustici sono evergreen dell'intera carriera: Quattro cani è storia di strada e vita disturbata, Pezzi di vetro è filosofia applicata all'acrobazia, la purezza commovente di Piccola mela lascia di stucco sempre e comunque. I brividi veri, però, provengono dalle due che secondo me rappresentano le perle assolute di tutto il repertorio degregoriano: Pablo è un affresco solcato da striate d'organo evocative e un grande basso, in cui le alternanze maggiore/minore, vita/morte, serio/scherzoso raggiungono vette emozionali intensissime (che è quasi un paradosso visto il distacco tipico del soggetto), per non parlare dei mini-trucchi di scena come gli applausi, le campane, i riferimenti alla marijuana e al fumo, etc (c'è la mano preziosa di Dalla nelle musiche)... L'altro è l'ultimo pezzo in scaletta, Piano Bar, quadretto maudit in chiave ironica dal ritornello impagabile.
Seguiranno tanti altri dischi e successi, in cui la mano fondamentalmente resterà sempre la stessa adeguata ai tempi e al clima, ma la massima espressione del romano per me rimane sempre questa.
La diversità è il pregio maggiore del disco: i tre numeri puramente acustici sono evergreen dell'intera carriera: Quattro cani è storia di strada e vita disturbata, Pezzi di vetro è filosofia applicata all'acrobazia, la purezza commovente di Piccola mela lascia di stucco sempre e comunque. I brividi veri, però, provengono dalle due che secondo me rappresentano le perle assolute di tutto il repertorio degregoriano: Pablo è un affresco solcato da striate d'organo evocative e un grande basso, in cui le alternanze maggiore/minore, vita/morte, serio/scherzoso raggiungono vette emozionali intensissime (che è quasi un paradosso visto il distacco tipico del soggetto), per non parlare dei mini-trucchi di scena come gli applausi, le campane, i riferimenti alla marijuana e al fumo, etc (c'è la mano preziosa di Dalla nelle musiche)... L'altro è l'ultimo pezzo in scaletta, Piano Bar, quadretto maudit in chiave ironica dal ritornello impagabile.
Seguiranno tanti altri dischi e successi, in cui la mano fondamentalmente resterà sempre la stessa adeguata ai tempi e al clima, ma la massima espressione del romano per me rimane sempre questa.
(originalmente pubblicato il 14/09/08)
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