mercoledì 5 maggio 2010

Jeff Buckley - Live a L'Olympia, Paris 1995

Sono sempre stato un tale fan del suo rinnegato, odiato padre, che per anni mi sono accostato alla sua breve opera con circospetto. Eppure, a distanza di un decennio dalla morte, mi rendo conto che si trattava di uno di quegli artisti che nasce raramente e che paga il dazio della sua arte in maniera tragica, maniacale e suicida. Perchè anche se nessuno al mondo potrà affermare che si sia suicidato volontariamente, il pensiero è legittimo. Che fosse malato e soffrisse molto psicologicamente, questo fu un dato di fatto.
E adesso che è stato riesumato davvero tutto dagli archivi, ci si può fermare a riflettere. Ho scelto questo live perchè volevo cercare di rivalutarlo, dato che il mio pensiero iniziale era che Buckley si specchiasse un po' troppo nel suo narcisismo. Ciò che era una delle doti principali di Tim, ovvero la grande discrezione ed umiltà nel suo essere virtuoso oltre il limite, mi è sempre sembrata mancasse nella sfrenata esuberanza di Jeff.
Nonostante la sua stella sia ben lungi dallo spegnimento, adesso colgo meglio le qualità di Lover, Dream Brother, Eternal Life, Lilac Wine, Grace, classici di statura, splendide songs dall'intensità indicibile. Questa selezione da una due-serate parigina vede una scaletta per metà composta da covers; sconvolge la violenza brada di Kick out the jams, in cui sembra dare fuoco ai propri demoni interiori liberando un'energia spaventosa. L'adattamento di That's all I ask, dal repertorio di Nina Simone, divaga un po' troppo intorno al tema senza concludere un granchè. E francamente imbarazza la brevissima gag di Kashmir, da considerare al di fuori del contesto; Tim amava fare battute fra un pezzo e l'altro provocando ilarità fra il pubblico, Jeff invece faceva così. Lanciandosi in un'elegia al popolo francese, sciorinava una piaffata come Je ne'n connais la fin. Sempre sacra invece Hallelujah. E al termine What will you say, duetto medio-orientaleggiante con il muezzin azerbaigiano Alim Qasimov.
Nel complesso un live che si poteva assemblare meglio, non perchè sminuisca il personaggio, anzi ne decanta propriamente le qualità espressive in un crogiuolo di variegati sapori. Ma a volte il troppo stroppia, e quel che ne esce è il lato più auto-indulgente di Buckley.

(originalmente pubblicato il 10/11/08)

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