giovedì 13 maggio 2010

Red House Painters - II (Rollercoaster) (1993)

Kozelek qualche anno fa disse di sapere che la maggior parte dei fans reputa Rollercoaster il loro capolavoro totale; eppure per lui rappresentava un capitolo sofferto, che rievocava fantasmi del passato pesanti ed ingombranti. Non lo aveva ascoltato da anni, e riscopriva cose estremamente belle che neanche si ricordava.
Potrà sembrare strano, ma per me è più o meno la stessa cosa, con due leggere differenze. Ho ascoltato i primi 3 dischi degli RHP talmente tante volte da non essermi dimenticato neanche un secondo, un riflesso degli arrangiamenti, una nota o una singola tonalità del canto. nulla di nulla. Perchè questi 3 dischi per me rappresentano una fase della vita, fra i 17 e i 20 anni, che sembra lontana secoli ma è indelebilmente segnata da ricordi belli, momenti di gioia e altri di tristezza (molto disincantata, a ripensarci adesso). Insomma, mi ricollega a sentimenti, modi di intendere la vita che adesso purtroppo sono ben altri....
Per me i RHP sono qualcosa che a risentirli adesso mi viene la pelle d'oca, mi rimembrano momenti ben distinti, piccoli momenti, piccole sensazioni perdute. Questa è la mia sofferenza nell'ascoltare adesso Rollercoaster, 76 minuti, un bel cd pieno zeppo della poesia di Kozelek, di canzoni e nient'altro. Ma non sono canzoni come nella tradizione: questi sono fiumi di spleen che scorrono medio-lenti, che provengono da posti sconosciuti dell'anima.
76 minuti di pura ed infinita emozione, con menzioni speciali per la sinfonia di Mother, l'ipnosi delicatissima di Katy Song, l'atmosfera ruvida di Mistress, l'eleganza rustica di Things mean a lot, la stasi depressiva di Funhouse con coda rumoristica. E poi la semplicissima ballad acustica Take me out, che in mano a chiunque sarebbe banale. L'ineluttabilità di Rollercoaster con i cori da brividi, il tintinnino pianistico ancora di Mistress, l'altra acustica New Jersey, la Dragonflies che cerca di stabilire l'unico punto di contatto con la 4AD, la loro label ai tempi. Infine la progressione positiva di Strawberry Hill, settantiana nel suo incedere, che chiude insieme a Brown eyes in bellezza il messaggio del disco, come a dire c'è luce oltre al tunnel.
Beh, le ho citate quasi tutte, era inevitabile. Era da almeno 3-4 anni che non lo risentivo, e scopro che mi mancava....Ma il dovere mi chiama.

(originalmente pubblicato il 21/02/09)

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