Si potrebbe già definirli eredi dei 5 di Oxford, sia per l'approccio misto che per le inclinazioni crepuscolari; gli Stateless però preferiscono indugiare in una formula più lineare, senza sbavature o divagazioni cervellotiche, sempre nel circolo e rispetto della forma-song. Quindi, una versione decisamente più raffinata, che emoziona dall'intro prima citata. Exit ha un downtempo emo-sinfonico che ricorda le pagine del primo Sneaker Pimps. I ricami pianistici di Bloodstream riportano alla mente i gloriosi Bark Psychosis di Hex. Impetuosi sampling di violino e liquido fender rhodes sono l'anima di The language, briosa corrente di spleen.
Snocciolano un pezzo più bello dell'altro uno dietro l'altro; Down here, Running out, Crash, Bluetrace, Inscape, sono memorabilie melanconiche che Yorke avrebbe voluto comporre a tutti i costi dopo Amnesiac, salvo perdersi in un manierismo culminato con In rainbows. Quindi, se i maestri sono in fase di mancanza d'ispirazione, accogliamo questi allievi diplomatisi alla università di Oxford col massimo dei voti. Ci sarebbe anche una hit danzereccia assolutamente irresistibile, Radio killer, raffinata e devastante allo stesso tempo.
Ho voluto allegare 3 bonus tracks: una b-side che meritava assolutamente spazio sul disco (Hurricane), e le due song in cui James ha donato il proprio canto su un disco di Dj Shadow.
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