Un soffio cosmico e l'attacco di Prism #1 è subito un colpo al cuore: la voce di Chris James è un falsetto memore di Thom Yorke, del Chris Cornell più pacato e del Jeff Buckley meno barocco. Chi ha amato molto i Radiohead dal 2000 in poi non potrà restare indifferente a questa piccola rivelazione del 2007 proveniente da Leeds, formata dal vocalist/pianista, una sezione ritmica e due addetti all'elettronica. Ciò che affascina fin da subito in questo debutto omonimo è il perfetto equilibrio fra il curatissimo songwriting e le mai troppo massiccie iniezioni di tastiere e sampling, il tutto tenuto miracolosamente in piedi da un batterista, Levin, che suona in tutto e per tutto come un sequencer elettronico ma fa sentire bene che le sue bacchette sono di legno.
Si potrebbe già definirli eredi dei 5 di Oxford, sia per l'approccio misto che per le inclinazioni crepuscolari; gli Stateless però preferiscono indugiare in una formula più lineare, senza sbavature o divagazioni cervellotiche, sempre nel circolo e rispetto della forma-song. Quindi, una versione decisamente più raffinata, che emoziona dall'intro prima citata. Exit ha un downtempo emo-sinfonico che ricorda le pagine del primo Sneaker Pimps. I ricami pianistici di Bloodstream riportano alla mente i gloriosi Bark Psychosis di Hex. Impetuosi sampling di violino e liquido fender rhodes sono l'anima di The language, briosa corrente di spleen.
Snocciolano un pezzo più bello dell'altro uno dietro l'altro; Down here, Running out, Crash, Bluetrace, Inscape, sono memorabilie melanconiche che Yorke avrebbe voluto comporre a tutti i costi dopo Amnesiac, salvo perdersi in un manierismo culminato con In rainbows. Quindi, se i maestri sono in fase di mancanza d'ispirazione, accogliamo questi allievi diplomatisi alla università di Oxford col massimo dei voti. Ci sarebbe anche una hit danzereccia assolutamente irresistibile, Radio killer, raffinata e devastante allo stesso tempo.
Ho voluto allegare 3 bonus tracks: una b-side che meritava assolutamente spazio sul disco (Hurricane), e le due song in cui James ha donato il proprio canto su un disco di Dj Shadow.
(originalmente pubblicato il 21/09/08)
Si potrebbe già definirli eredi dei 5 di Oxford, sia per l'approccio misto che per le inclinazioni crepuscolari; gli Stateless però preferiscono indugiare in una formula più lineare, senza sbavature o divagazioni cervellotiche, sempre nel circolo e rispetto della forma-song. Quindi, una versione decisamente più raffinata, che emoziona dall'intro prima citata. Exit ha un downtempo emo-sinfonico che ricorda le pagine del primo Sneaker Pimps. I ricami pianistici di Bloodstream riportano alla mente i gloriosi Bark Psychosis di Hex. Impetuosi sampling di violino e liquido fender rhodes sono l'anima di The language, briosa corrente di spleen.
Snocciolano un pezzo più bello dell'altro uno dietro l'altro; Down here, Running out, Crash, Bluetrace, Inscape, sono memorabilie melanconiche che Yorke avrebbe voluto comporre a tutti i costi dopo Amnesiac, salvo perdersi in un manierismo culminato con In rainbows. Quindi, se i maestri sono in fase di mancanza d'ispirazione, accogliamo questi allievi diplomatisi alla università di Oxford col massimo dei voti. Ci sarebbe anche una hit danzereccia assolutamente irresistibile, Radio killer, raffinata e devastante allo stesso tempo.
Ho voluto allegare 3 bonus tracks: una b-side che meritava assolutamente spazio sul disco (Hurricane), e le due song in cui James ha donato il proprio canto su un disco di Dj Shadow.
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