Uno di quei (tanti) gruppi venuti fuori sulla scia del successo dei Tortoise, indipendentemente o meno dal valore intrinseco della proposta. Indubbiamente la proposta del doppio basso era una news interessante, sulla quale i tre chicagoani contarono per ottenere l'interessamento della Southern Records che diede alle stampe questo secondo albo.
C'è da dire che la bravura oggettiva dei barbuti era indiscutibile; il basso che svolge la sua classica funzione sguscia dinamico e metallico, l'altro indugia sulle note alte o su accordi, senza eccedere in virtuosismi (alla Zack Smith), restando sempre sulle righe. Menzione anche per il batterista, dal suono molto presente (la produzione è di Steve Albini) e molto eclettico, quasi jazz in certi frangenti.
Battle Champions è un disco quesi del tutto strumentale, in cui l'influenza di McEntire e soci è molto evidente per quanto riguarda gli svolgimenti, le strutture e il timbro stesso dei bassi. Ma i Dianogah sono un trio e non hanno altri strumenti da aggiungere nelle loro songs, cosicchè il disco scorre molto gradevolmente come sottofondo, senza mai però attirare troppo l'attenzione.
C'è da dire che la bravura oggettiva dei barbuti era indiscutibile; il basso che svolge la sua classica funzione sguscia dinamico e metallico, l'altro indugia sulle note alte o su accordi, senza eccedere in virtuosismi (alla Zack Smith), restando sempre sulle righe. Menzione anche per il batterista, dal suono molto presente (la produzione è di Steve Albini) e molto eclettico, quasi jazz in certi frangenti.
Battle Champions è un disco quesi del tutto strumentale, in cui l'influenza di McEntire e soci è molto evidente per quanto riguarda gli svolgimenti, le strutture e il timbro stesso dei bassi. Ma i Dianogah sono un trio e non hanno altri strumenti da aggiungere nelle loro songs, cosicchè il disco scorre molto gradevolmente come sottofondo, senza mai però attirare troppo l'attenzione.
(originalmente pubblicato il 22/11/08)
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