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Un gruppo di Londra dimenticato da tutti, che pubblicò un paio di dischi sulla Fiction (per fare solo 2 nomi, Cure e God Machine) di Chris Parry. Mi sarei dimenticato anch'io, a distanza di anni, se non fosse per il fatto che
Epicure fu un ascolto intensivo in un periodo personale particolarmente agitato. Lo acquistai sottoforma di tape a pochissime lire da un catalogo postale, e penso che non sia assolutamente reperibile come cd, quindi il rip sotto linkato proviene dalla cassetta in questione. Amen per la bassa qualità, quindi,
Epicure rimane un ottimo prodotto di brit-pop wave-psychedelica, di sicuro nettamente sopra la media. Stilisticamente avevano le stesse potenzialità dei Verve per sfondare, ma i fortissimi contrasti interni forse fecero la loro parte nello scioglimento (il secondo) un paio d'anni dopo. Gli hit non mancavano:
Shame (ricordo il video su MTV) e
Bleed me white erano pezzi trascinanti, energici e melodici nella miglior tradizione inglese, per nulla ruffiani ma godibilissimi.
Golden egg poi non sarebbe sfigurato su
Urban Hymns dei Verve, ad esempio. Tutta la facciata 1 è costellata di indovinate combinazioni pop-rock: i cori di
First time love song, le riverberazioni di
Belly town, il flanger stentoreo di
Tranquilliser, il blues iper-lisergizzato di
Bottle blue. Doolittle era cantante misurato ma adatto alle situazioni, i due chitarristi sapevano tessere trame avvincenti e andare sopra le righe solo quando era necessario. Come nella title-track, finale che svaria dal resto con un minaccioso incedere dark-wave, involontaria chiusura del sipario per gli Eat.
Sinfonie agrodolci.
(originalmente pubblicato il 18/10/08)
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