giovedì 13 maggio 2010

Iceburn - Poetry Of Fire (1994)

Ogni singolo passo per gli Iceburn è stato un graduale allargamento di vedute, stili e coraggio esecutivo. Il collettivo di Densley giungeva qui al 3° disco, allargando il power trio a quintetto con l'aggiunta di una seconda chitarra e di un sax, segno indiscutibile di avvicinamento al jazz. I 3 pezzi in studio sono composizioni scure e ad alta percentuale metallica, con le chitarre compatte ed i fiati a svisare, impazziti. Poem of fire e Stones procedono lungo quarti d'ora tortuosi, labirinti sonici di un originalità induscussa, in cui i controtempi, gli spigoli e i rifferama portano a stati d'ipnosi allucinogena.
Blues invece è una vera e propria rottura: basta provare ad immaginare i Soft Machine più tranquilli con Tony Iommi aggiunto e si potrà soltanto avere una vaga idea di cosa ne è venuto fuori.
In coda, due pezzi dal vivo che aggiungono ulteriore valore: la splendida e desolante Discolor è un'altro quarto d'ora di improvvisazioni nude e crude all'insegna della perdita di orientamento. La ripresa di Poem of fire ovviamente sviluppa il tema già sentito, ma durerà ben poco: Smith e Tolman all'improvviso piantano il gas, diventano hardcore, poi rallentano ancora e come per magia.....ecco i Black Sabbath! Il medley improvvisato riprende nell'ordine Black Sabbath, Children of the grave, War Pigs, per finire con un blues atomico.
Pochi applausi dal pubblico, per un gruppo troppo poco riconosciuto quanto avanti.

(originalmente pubblicato il 18/02/09)

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