Celebratissimo quintetto genovese che, come tanti altri, restò in vita per pochissimo tempo per poi scivolare nell'oblio. Un portale molto importante declama Zarathustra miglior disco in assoluto del Prog Italiano; certamente trattasi di lavoro alquanto tecnico, complesso e a tratti anche cervellotico, indubbiamente questi ragazzi sapevano bene il fatto loro. Si sciolsero per la curiosa questione del collage della copertina, nella cui composizione (il pur grandissimo) Cesar Monti fece l'involontaria gaffe di mettere la faccia del Duce. Il suo era un gesto provocatorio e non fu capito da nessuno, i MR ne fecero le spese della contestazione conseguente.
Un sound vigoroso e minaccioso, in cui l'elettrica di Merogno fa la sua parte e non disdegna riff abrasivi, quasi metallici. La ritmica è frastagliatissima, al servizio delle composizioni, piena zeppa di controtempi impossibili. E allora, mi chiedo, qual'è il problema di Zarathustra?
Che sono troppo ottundenti, questi 40 minuti di vero e proprio labirinto, al termine del quale arrivo stanco e con l'amaro in bocca. Il pregio maggiore di altre bands altrettanto drammatiche nell'espandersi delle loro suite (Balletto di Bronzo e Metamorfosi su tutte), era l'abilità nel saper stemperare la tragicità di fondo con elementi mediterranei, cambi di direzione intelligenti e sapientemente alternati, squarci melodici ben inseriti nelle roboanti partiture di sapore classico. Invece Zarathustra è un buco nero nel quale non si vede alcuna via d'uscita, il risultato di uno sforzo gigantesco e massimalista, in cui tutto è pesantemente enfatizzato, a partire dalla voce di Galifi (troppo emotivo) fino alla batteria di Golzi (perennemente in rullata).
Nella speranza di non far andare in bestia nessun purista del prog, boccio questo mattone come difficilmente digeribile.
Un sound vigoroso e minaccioso, in cui l'elettrica di Merogno fa la sua parte e non disdegna riff abrasivi, quasi metallici. La ritmica è frastagliatissima, al servizio delle composizioni, piena zeppa di controtempi impossibili. E allora, mi chiedo, qual'è il problema di Zarathustra?
Che sono troppo ottundenti, questi 40 minuti di vero e proprio labirinto, al termine del quale arrivo stanco e con l'amaro in bocca. Il pregio maggiore di altre bands altrettanto drammatiche nell'espandersi delle loro suite (Balletto di Bronzo e Metamorfosi su tutte), era l'abilità nel saper stemperare la tragicità di fondo con elementi mediterranei, cambi di direzione intelligenti e sapientemente alternati, squarci melodici ben inseriti nelle roboanti partiture di sapore classico. Invece Zarathustra è un buco nero nel quale non si vede alcuna via d'uscita, il risultato di uno sforzo gigantesco e massimalista, in cui tutto è pesantemente enfatizzato, a partire dalla voce di Galifi (troppo emotivo) fino alla batteria di Golzi (perennemente in rullata).
Nella speranza di non far andare in bestia nessun purista del prog, boccio questo mattone come difficilmente digeribile.
(originalmente pubblicato il 03/11/08)
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