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Quel lounge-jazz fumoso e sonnolento, seppur solcato da quella voce grottesca ed inconfondibile, da orco di strada, finisce per annoiarmi molto presto. Colpa mia, senz'altro; per me il jazz è libertà di movimento, totale anarchia di strutture, energia e creatività, non letargica staticità.
Molto meglio le prove fantasiose degli anni '80; questo Blue Valentine è additato come uno dei suoi migliori della decade, ma io non lo mando proprio giù, faccio skip su tutte le tracce a parte la prima, che invece posso riascoltare più volte di seguito: Somewhere è un capolavoro per orchestra e voce, gli archi a disegnare una sinfonia incredibile e Waits nudo e crudo, strappacuori e strappalacrime che brucia l'aria con la carta vetrata che ha in gola.
Ma non a caso è una cover...
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