Rispetto all'acclamato esordio, in Harmony Row il nostro sfornava un disco più da pianista che da mastro bassman. E la conseguenza sarà un calo nelle vendite, non senz'altro nella qualità media, ma qui Bruce predilige il tocco felpato e la ballad rilassata. Armato dei fidissimi Spedding e Marshall, non lesinava comunque i suoi jazz-funk-blues tiratissimi e travolgenti (You burned the tables on me, Smiles and grins, A letter of thanks), ma in generale l'umore è più english, compassato quando non serioso. Residui emo del disco precedente si trovano nei percorsi equilibristi di Escape to the royal wood, Morning Glory, Post war, in bilico fra velata malinconia e songwriting frizzante. A sorpresa però si scopriva il lato più intimista dello scottish con le ballad più romantiche che gli potevano scappare, come l'opening Can you follow o There's a forest, per solo piano e voce. Barocchismi a go-go su Victoria Sage ed un inusitata bossa-nova su The consul at sunset sono sviluppi interessanti, ma la palma del disco va alla fantastica Folk Song, una struggente litania per organo, piano, acustica, batteria leggera leggera e mandolino, con il solito falsetto nasale che srotola uno dei pezzi più riusciti di un repertorio che non ha mai ricevuto abbastanza premi.
(originalmente pubblicato il 14/10/09)
mercoledì 16 giugno 2010
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