mercoledì 30 giugno 2010

Green Machine - King Mover (1993)

(Serie: i dischi che avrebbero potuto segnare l'adolescenza come certi altri storici, soltanto che li ho scoperti dopo 15 anni!) parte 3.
Da non confondere assolutamente con i triviali stoner-rockers giapponesi venuti dopo, i GM erano un atipico trio di Minneapolis formato da chitarra (Midland), batteria (Swank) e organo (Krejci) che realizzò un paio di dischi a metà anni '90. Sono dimenticatissimi (in rete non si trova assolutamente nulla, e la foto qui sopra è stata scansionata dal sottoscritto da un servizio su Rockerilla n. 167/8 dell'estate 1994) e questo albo l'ho recuperato da uno di quei tanti magazzini americani che svendono a prezzi ridicoli le montagne di cd alternative/indie del decennio di gloria. Il mio ricordo di loro, come tanti altri dell'epoca, è legato ad un aggancio merito del sempre mitico Planet Rock, che una sera trasmise Villains, di cui parlerò dopo.
Creavano un ponte brillante fra '60 e '70, grunge e psichedelia. L'assenza del basso contribuiva a rendere ancora più peculiare il sound, che di certo non inventava nulla ma si basava sulla bravura dei singoli, con il surplus delle ottime song in dotazione. L'intro strumentale Nerves è subito uno scossone, martellante hard-psych con le rasoiate di chitarra e i vortici di organo. Rodeo è un ipercinetico freak-grunge che stabilisce il parallelo coi mitici Dead Flowers di Moontan, con soltanto un po' più elaborazione ed acrobazie strutturali. Un po' di Iron Butterfly, un po' acid-rock westcoastiano, il GM sound era incentrato sulla chitarra psicotica di Midland, sui bordoni ipnotici del Leslie di Krejci e sull'elastico drumming di Swank, quasi jazz in certi frangenti. Con la nevrosi drammatica della splendida Wrong heart, la tracotanza dell'allucinazione di Melissa's molasses, il fuzz-punk-grunge di God of brick, il disco è dotato di tutta la varietà possibile di umori e scorci atmosferici. I 20 minuti di Blind to you si sviluppano su un tema quasi mediorientale che viene poi dissolto in pulviscolo psych-ambient ummagummiano.
Ma il vero capolavoro, ciò che vale la pena di ricordare di più in assoluto, è uno dei pezzi più belli che abbia mai sentito in tutta la vita, la sopracitata Villains, che il benemerito Mixo scelse in una delle sue scalette. L'unico in cui Krejici utilizza il pianoforte, è talmente bello che non riesco a trovare le parole per poterlo descrivere, lasciando il piacere di scoprire a chi vorrà farsi il favore di sentirlo.

(originalmente pubblicato il 24/01/2010)

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