Ammetto di aver ascoltato questo disco principalmente per il cameo di quel folle di Robinson degli Oxbow, nella terza traccia, The first broken promise. Ed è facile immaginare quale impronta delirante (quasi superfluo dire anche plusvalenza) possa aver dato a quello che è un sound composto, ben strutturato e genericamente ordinato, dei londinesi.
Che non sono poi tanto novellini, in quanto reduci da esperienze di straight-stoner degli anni '90 come Orange Goblin e Iron Monkey, per intendersi di seconda categoria. In queste nuove vesti i Capricorns cercano di dare vita ad una versione asciutta degli Isis, e allora si va a cozzare, forse inconsapevolmente, contro i Pelican con cui condividono il wall of sound ossessivo e la mancanza di voci. Oltre al pezzo con Robinson, ci sono due piccole varianti in tutto il disco: la parte centrale di 1969 A predator among us che ricorda le cose più riflessive dei June Of '44, ma è solo un minutino. L'inizio di The harring of the heathen è un'altro passo dolente su coordinate post-rock louisvilliane.
Mah, dappertutto colate di cemento armato, e già io non sono proprio entusiasta dei Pelican, per cui passo oltre senza pormi tanti problemi, a parte il cameo del matto che merita più di un ascolto.
Mah, dappertutto colate di cemento armato, e già io non sono proprio entusiasta dei Pelican, per cui passo oltre senza pormi tanti problemi, a parte il cameo del matto che merita più di un ascolto.
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