Titolo paradossale per quello che è stato il miglior disco di Edwards. Più diventi alto, piu rimpicciolisci. Dopo il suo zenith, non saprà più ripetersi calando progressivamente la qualità dei suoi prodotti.
Devo confessare che dopo diversi riascolti, la mia considerazione cresce sempre di più per questa intensissima raccolta di cantautorato indie screziato di wave, dalle aspre melodie esistenzialmente azzeccate. Oltretutto l'intro è una di quelle che non si dimenticano, il lungo strumentale For lack of a better word, ricca di quella tensione psichedelica che tanto aveva caratterizzato i primissimi Rem ma amplificata a dismisura e con senso di epica grevità.
E' un disco acido, Taller: il chitarrismo di Edwards si divide fra pesantezze quasi noise e deliqui wave della migliore tradizione, seguito a ruota dalla fedele sezione ritmica. Ne indovina quasi una dietro l'altra, con quell'inconfondibile tenore nasale: Seven Years, la compassata Too far gone, il funk slavato di Planes crashing, la Remiana al midollo Boundaries, il boogie sconquassato di Can't get started, le dure e spietate Big Picture e Only one. E ancora, i bassi nervosi di World on a string, il neilyounghismo corrosivo di What can I do, il desert-rock alla Thin White Rope di Whirlpool. E la summa di tutto viene sintetizzata nella stupenda A man possessed, un lento caleidoscopio che esalta le doti compositive di Edwards al di là delle influenze più o meno chiare.
Devo confessare che dopo diversi riascolti, la mia considerazione cresce sempre di più per questa intensissima raccolta di cantautorato indie screziato di wave, dalle aspre melodie esistenzialmente azzeccate. Oltretutto l'intro è una di quelle che non si dimenticano, il lungo strumentale For lack of a better word, ricca di quella tensione psichedelica che tanto aveva caratterizzato i primissimi Rem ma amplificata a dismisura e con senso di epica grevità.
E' un disco acido, Taller: il chitarrismo di Edwards si divide fra pesantezze quasi noise e deliqui wave della migliore tradizione, seguito a ruota dalla fedele sezione ritmica. Ne indovina quasi una dietro l'altra, con quell'inconfondibile tenore nasale: Seven Years, la compassata Too far gone, il funk slavato di Planes crashing, la Remiana al midollo Boundaries, il boogie sconquassato di Can't get started, le dure e spietate Big Picture e Only one. E ancora, i bassi nervosi di World on a string, il neilyounghismo corrosivo di What can I do, il desert-rock alla Thin White Rope di Whirlpool. E la summa di tutto viene sintetizzata nella stupenda A man possessed, un lento caleidoscopio che esalta le doti compositive di Edwards al di là delle influenze più o meno chiare.
(originalmente pubblicato il 01/11/09)
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