mercoledì 30 giugno 2010

Minox - Downworks (1994)

Un vero peccato, questa estrema rarefazione di produzioni per Monfardini e Magnani che in quasi un quarto di secolo hanno prodotto la bellezza di 2 dischi ed un EP (Plaza, qualcuno ce l'haaaa???).
Peccato perchè la media qualitativa fu sempre elevatissima. Se Lazare era un elegantissimo affresco di decadenza romantica, questo loro ultimo ha rappresentato sì la tendenza elettronica che spadroneggerà lungo tutto l'arco del decennio, ma sempre col gusto giusto e la ricerca melodica che evidentemente avevano nel loro Dna. Fra l'altro potrei quasi dire che molti passi del disco mi riportano ad un classicone come Kid A dei Radiohead, e non mi sembra di delirare. Con quell'elettronica così fredda nei suoni ma al tempo stesso così umana, come un robot che sorride o piange, Downworks è lavoro di classe evidentemente superiore.
Il passo sintetico di Fenotype è già parecchio indicativo, con saporiti inserti di clarino e il moog circolare. Il songwriting è quasi sempre incentrato sul piano, mentre i fiati discreti e felpati punteggiano gli arrangiamenti sopra ritmi fra trip-hop e letargie kraftwerkiane. Splendide le elucubrazioni di Pseudo, Disenchant, Cobalt, gli esotismi di Lost Poet, la più movimentata Arp 2001 nonchè l'ineffabile Necropolitan.
E poi, c'è un tris d'assi calato così, come se niente fosse, a stabilire un punto di contatto col passato, con la brillantissima song decadente. Il croonering liscio e compassato di Tribute to an end e Town sono due perle d'impressionismo luccicante, con un uso vocale parco e ben bilanciato.
E il sigillo finale, Old and deluxe, squisita soundtrack per piano e glitches, che sembrerebbe essere la sigla dei titoli di coda. Ma speriamo che ritornino, i toscani, chè ormai la scadenza dei 15 anni si avvicina....

(originalmente pubblicato il 28/01/2010)

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