mercoledì 30 giugno 2010

Orthrelm - OV (2005)

Quale mai sfoggio di ipertecnicismo si può concepire senza un minimo di autoindulgenza? Si potrebbe dire nessuno, e secondo me neppure il death-grind si è salvato dalla dura legge estetica che condanna i virtuosi ad annoiare, quando poi ci si ripete all'infinito. Fino a quando non sono arrivati questi due mostri washingtoniani a stravolgere un concetto che pensavo inattaccabile. Non penso che l'universale (nel senso di grandezza!) prova di resistenza che è OV sia roba per narcisi o per vanesi. Sembra più una missione martirizzata, un sacrificio pagano, e immagino secondo i più una tortura simil trapano-dentistica. Per me è un caposaldo di assurdità.
I primi due LP dai nomi impronunciabili su piccole indie labels non li ho mai sentiti. Il terzo, altrettanto esperantico, era una collection di schegge impazzite di pochi secondi ma composte con estrema accuratezza. Dopo OV credo si siano sciolti, ma quale miglior testamento per un genere talmente peculiare che non avrebbe avuto un seguito razionale? Le schegge del sopracitato si ricompongono fino a formare una carica di tritolo abnorme, per 45 minuti di scosse elettriche sovrumane. Si è parlato di minimalismo (per lo schema), di grindcore o di black metal (per l'efferatezza del sound, aggressivo ma non pacchiano), ma sono solo definizioni per dare un'idea.
Guardando un qualsiasi loro video ciò che impressiona è anche la calma e l'estrema concentrazione con cui Barr fa volare quelle dita come ali d'insetto, ridicolizzando qualsiasi altro chitarrista al mondo in fatto di rapidità. Nonchè la chirurgica precisione e la compostezza di Blair, che sembra quasi sfiorare le pelli con le bacchette, calcolando scientificamente la misura dello sforzo sovrumano di suonare paradiddles e doppia cassa continuativi per tutti i 45 minuti di questo mostro dalla forma ben precisa, e che quindi incute ancor più paura.

(originalmente pubblicato il 19/01/2010)

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