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Chiamare in causa i Led Zeppelin quando si parla dei JA fu un paragone davvero scomodo, del quale si può trovare più di un nesso. Rischiarono di diventare un fenomeno mondiale come i contemporanei Guns And Roses, rispetto ai quali denotavano un maggior eclettismo e apertura delle atmosfere. E discorsi sterili a parte,
Ritual de lo habitual è ancora un gran disco, punto e basta. L'ideale ponte fra '80 e '90, con la tipica componente funk che non cazzeggia come i Red Hot Chili Peppers, si decanta un po' nella propria auto-compiacenza ma colpisce dritto al centro; il vertice del disco,
Three Days, è un viaggio articolato in cui si passa da oscurità gotiche ad esplosioni hard in un succedersi di eventi alquanto avvincente. Le inarrestabili corse funk-metal di
Stop e
No one's living aprono nel segno più violento possibile, ma è un rompere il ghiaccio preparatorio.
Ain't no right inizia come una outtake di
Metal Box o
Flowers of romance dei Pil, ma ben presto i JA tornano a graffiare: la mitraglia di riff di Navarro, le puntine acuminate di Farrell, la ritmica folle e turbolenta di Perkins e Avery, i ragazzi dimostravano alquanto le loro abilità. Il confronto con i LZ torna con gli esotismi di
Then she did (un po' la loro
Kashmir, davvero molto bella) e
Of Course. Ma insieme a
Three Days la mia preferenza va alla caleidoscopica
Obvious, che inizia come uno pseudo-dub e prosegue con catarifrangenze abbaglianti su andature caracollanti, un vero festival di energia e colori.
(originalmente pubblicato il 08/06/09)
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