giovedì 3 giugno 2010

Lucio Battisti - Anima Latina (1974)

Adesso è uscito persino un libro, e alleluja, finalmente sono passati 35 anni e qualcuno si è deciso a rendere tributo all'apice monumentale del maestro. Non vedo l'ora di leggerlo, e scommetto che Stefanel non sarà il Di Cioccio rompicoglioni di turno.
Nella mia lista fantomatica dei 10 dischi da isola deserta Anima Latina c'è, è d'obbligo tassativo. C'era stata una preparazione meticolosa nei dischi del post-beat, splendidi e tutto ma lievemente incompleti nel complesso, con qualche punto debole in qua e in là. Qui invece c'è il maestro che proietta la sua visione del prog-rock, la stravolge e degenera, elaborando qualcosa di mistico, spirituale ed al tempo stesso ambiguo e lussurioso, con un Mogol mai così criptico e sessualmente attivo.... Inutile cercare di trovare etichette, dato che il disco io personalmente lo definisco un concept, un flusso allucinogeno che ha un suo filo conduttore, un'esplorazione della psiche ma anche molto fisico, un vero e proprio labirinto di sintonizzazioni. Logico che dopo un opera così non sarà più possibile ripetersi, e dopo un par d'anni si cambieranno le carte in tavola, la classe sarà sempre la stessa ma impiantata su altre coordinate.
Come detto, definire prog è assolutamente limitante ma può rendere l'idea; gli ospiti sono fenomenali e ben calibrati, le scelte fatte col pennello. Solo per citarne alcuni, Callero, Maioli, Dall'Aglio, Pascoli e gli altri sono fondamentali nell'approfittare della libertà concessa per attingere alle tavolozze più fantasiose, con quel famoso feeling sudamericano che strania, sembra prenderti in braccio ma viscido ti fa girare l'angolo e ti fa sprofondare in una nebbia ambient, o in una foschia psichedelica, o un epico passaggio prog, o bucolicismi acustici, o brevi schizzi funk.
Abbracciali Abbracciali Abbracciati parte coi suoi toni eterei, ed è un invito a rilassarsi prima di affondare nel gorgo. Due Mondi è forse l'unica concessione al pop, il duetto con la Cubeddu e il ritmo baldanzoso. Poi il primo bivio misterioso: Anonimo è una ipnosi destrutturante, dai toni cupi e dalla coda che irride I giardini di Marzo, dimostrazione di auto-ironia impareggiabile.
Gli uomini celesti è diretta emanazione del viaggio fatto con Mogol poco tempo prima, irradiata da fulgori di hammond e rhodes, introdotta dai sapienti tocchi acustici di Luca.
Si girava il vinile e c'era la title track, che trasudamerica da tutti i pori, un carnevale di suoni che fa sbandare il viaggio, riporta sui binari, poi deraglia di nuovo, fino a fermarsi al capolinea di Rio.
Il salame è Mogol che torna bambino, con le prime pulsioni sessuali, l'appetito e un arrangiamento oscuro che stride con la vignetta creata. La nuova America è funk fiatistico.
Il finale è da brividi: nel La macchina del tempo la voce del maestro è trattata, le parole non si capiscono, una soundtrack da film dell'orrore, fino all'apertura; le pause angoscianti, gli angoli acuti ed ottusi, tutto il pezzo è il riassunto di AL, un solco tracciato dal filo d'Arianna. Una sola smagliatura e ci si può perdere.
La chiusura strania come lo fece Il fuoco di un paio d'anni prima: Separazione naturale è quasi un proposito d'intenti, dopo questo grumo strumentale sconcertante non c'è più nulla salvo il polo, o le pampas argentine, o la cordigliera delle Ande.
Poi il deserto.

(originalmente pubblicato il 16/06/09)

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