Fuori tempo massimo, in pieno punk, i Tull sfornavano uno dei 3 loro migliori albi in assoluto, dedicato ai cavalli da soma e lavoro dell'Inghilterra. Una vera sferzata e colpo di coda al torpore che da qualche anno aveva assalito Anderson, con i modesti 3-4 dischi precedenti. Invece Heavy Horses risveglia certi dinamismi che avevano infiammato l'inizio del decennio, senza ovviamente perdere di vista la classica raffinatezza e complessità degli arrangiamenti. Innanzitutto la suite della title-track, oggettivamente uno dei momenti più alti in assoluto di tutta la carriera dei JT; senza eccedere in magniloquenza, Anderson tira fuori una fantastica composizione, avvincente e melodrammatica. La potenza deflagrante di No lullaby, la litania circolare di Rover, la malinconia di Weathercock, questi gli highlights di un disco bellissimo che ovviamente non disdegna le varie folk ballads da sempre pallino di Anderson. Come da copione eterno, non è superfluo sottolineare l'indispensabile contributo degli assi dietro al leader, con il solito Barre a lanciare scaglie elettriche, Glascock al basso pennato e penetrante, Barrymore alla batteria millimetrica, Evans e Palmer alle tastiere e arrangiamenti orchestrali.
Cavalli pesanti, cavalli di razza purissima.
Cavalli pesanti, cavalli di razza purissima.
(originalmente pubblicato il 10/06/09)
Nessun commento:
Posta un commento