lunedì 7 giugno 2010

Skip Spence - Oar (1969)

Basta con le solite dicerie, e il Barrett americano, e lo sfattone, e il mito alimentato da un unico albo, e la morte in solitudine, eccetera. L'unica cosa che alimenta oggi Oar è il rimpianto del fatto che Spence abbia perso la testa e sè stesso; magari non avrebbe neanche bissato il livello di questo capolavoro, ma resta il beneficio dell'ipotesi (così come per i vari Green, Palmer e altri che non mi sovvengono ora). E allora ci si accontenta ben contenti e sazi della generosa riedizione expanded di una decade fa, che aggiunge una manica di inediti non indifferente.
La quale alimenta la fama di cantautore lo-fi ante-litteram, influenzatore di migliaia di gruppi a venire soprattutto negli anni '90. Le 10 tracce aggiunte sono decisamente abbozzate, ma ciò non toglie proprio nessun valore, tanto sono divertenti e pazzoidi, al punto che forse erano già degne di essere pubblicate (anche se forse ai tempi sarebbe stato un po' troppo eccessivo).
Il disco originale, invece, sta ancora lì a giganteggiare. La cosa più peculiare è la voce di Spence, che si divide in almeno tre stili: il falsetto convenzionalmente sixties del morbido acid-rock di Little hands, lo strascicato e flebile gemito dei country spiritati di Diana, e lo spettacolare baritono crooner di Cripple creek. E sono soltanto i primi 3 pezzi, che a seguire è una gemma dietro l'altra. L'esilarante vaudeville di Margaret, ancora country da anime perse in Weighted down. E nella fase centrale i pezzi più belli, con l'invito a volare di War in peace, l'intimismo indolente di All come to meet her, il blues-folk spettrale di Books of moses, ed un altro cabaret divertentissimo come Lawrence of Euphoria, tutti pezzi con un'alternanza fra vivace e scazzato, cosmico e polveroso, da sferrare un ko tecnico a Barrett.
Grey afro è lo sbragamento finale, una concessione alla jam space-tribaleggiante (jam per modo di dire, chè Spence registrò in completa solitudine) da centro di igiene mentale.
Geniale e deviante, Spence ha lasciato a questo mondo ingrato un vitalizio da conservare con cura ed amore.

(originalmente pubblicato il 13/07/09)

2 commenti:

  1. Books of moses è la mia preferita.
    Mi hai fatto tornare in mente che Beck ha coverizzato l'intero album con Feist, Wilco and Jamie Lidell. Ora lo vado a cercare, l'hai sentito?

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  2. No, non l'ho sentito. Devo confessarti però che sono parecchio prevenuto contro i dischi tributo, non ne ho mai sentito uno che nel complesso potesse dirsi soddisfacente...

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