Uno di quegli incroci curiosi fra sacro e profano: il fondatore della BOS, Poss, era cresciuto studiando avanguardia e poi quasi per scherzo messo su un quintetto con tre ragazze chiamate Susan. Per questo loro secondo disco, in formazione entrò un ragazzo che aveva studiato chitarra jazz ma si interessava al rumore. Era Page Hamilton, che subito dopo abbandonò e si precipitò a formare gli Helmet per sbancare i primi anni '90 americani.
In questa parentesi, i newyorkesi diedero alle stampe questo secondo, gradevole dischetto. Non avrebbero mai lasciato impronte indelebili sulla storia, e oggi sono dimenticati da tutti, ma perlomeno in Love Agenda ci sono alcuni ottimi spunti. Fondamentalmente erano una versione edulcorata ed atmosferica dei Sonic Youth: l'arsenale chitarristico era più che altro votato alle stratificazioni che ad incutere timori di sorta, e il songwriting era indeciso sul da farsi.
Una buona metà della scaletta è improntata su un noise-pop che non lascia grossi ricordi (eccetto la bella Birthmark, che curiosamente anticipa certo brit-pop del decennio a venire). Meglio gli esperimenti di The pursuit of happiness (una selva di feedback brucianti su ritmo angosciante e caballero), le spirali ipnotiche alla Loop di It's locked away, l'energica luminescenza di Tourniquet, il baldanzoso gothic-wave di Thorn in my side, il selvatico e tamarro street-rock di Which dream come true.
Peccato che l'equilibrio nel finale venga rovinato dall'imbarazzante cover dei Rolling Stones Child of the moon, chè me li fa spingere di nuovo nel dimenticatoio....
In questa parentesi, i newyorkesi diedero alle stampe questo secondo, gradevole dischetto. Non avrebbero mai lasciato impronte indelebili sulla storia, e oggi sono dimenticati da tutti, ma perlomeno in Love Agenda ci sono alcuni ottimi spunti. Fondamentalmente erano una versione edulcorata ed atmosferica dei Sonic Youth: l'arsenale chitarristico era più che altro votato alle stratificazioni che ad incutere timori di sorta, e il songwriting era indeciso sul da farsi.
Una buona metà della scaletta è improntata su un noise-pop che non lascia grossi ricordi (eccetto la bella Birthmark, che curiosamente anticipa certo brit-pop del decennio a venire). Meglio gli esperimenti di The pursuit of happiness (una selva di feedback brucianti su ritmo angosciante e caballero), le spirali ipnotiche alla Loop di It's locked away, l'energica luminescenza di Tourniquet, il baldanzoso gothic-wave di Thorn in my side, il selvatico e tamarro street-rock di Which dream come true.
Peccato che l'equilibrio nel finale venga rovinato dall'imbarazzante cover dei Rolling Stones Child of the moon, chè me li fa spingere di nuovo nel dimenticatoio....
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