martedì 27 aprile 2010

Magnog - Magnog (1996)

E pensare che erano amici dei Pearl Jam, questi 3 ragazzi di Seattle. Poco più che ventenni, attirarono l'attenzione della Kranky e pubblicarono due dischi prima di fare qualche data di spalla ai loro ben più famosi concittadini, per poi sciogliersi e svanire nel nulla. Chissà, magari si sono dedicati alle altre arti che dichiaravano di professare (poesia, pittura, scultura), fattostà che i Magnog erano dediti a musica improvvisata, punto e basta. Questo debutto è una lunga suite psycho-spaziale ombrosa e dilatata, memore del kraut-rock ma anche delle prime sperimentazioni dei Pink Floyd. Registrarono la base in diretta e poi aggiunsero dosi massicce di moog sopra il tutto.
E' un disco di grande fascino, anche se resta fondamentalmente musica da sottofondo, e perdipiù per amanti della psichedelia. Uno straccio di forma-canzone la si può trovare solo nella splendida A moment's seam, paesaggio acustico sagomato dai lamenti dell'elettrica di Drake, che si cimenta anche ad un canto molto dimesso.
In apertura, un rombo galattico introduce Lost landings. Anche qui l'acustica guida il motivo principale, ma già sulla lunga Relay le cose cambiano e la sezione ritmica prende il sopravvento. Il basso massiccio di Reilly e la batteria sferragliante di Shinn costruiscono un labirinto infinito di tessiture policrome, sul quale Drake ha libertà di volare, fra distorsioni, wah wah e effetti di ogni tipo. Atmosfere alla Ash Ra Tempel irradiano Learning forgetfulness. La navicella-madre Hawkwind guida i ragazzi sulla direzione di Shapeshifter. Borne upon the waves e Frame of reference sono altre due lunghe tracce cupe in cui l'arte improvvisativa dei Magnog si fa apprezzare di più, grazie soprattutto all'interplay fra l'instancabile sezione ritmica, capace di macinare chilometri e chilometri di duro cammino. Loom chiude in piena situazione ambient, meritato riposo per un disco che potrebbe stancare le orecchie meno pazienti.

(originalmente pubblicato il 20/06/08)

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