venerdì 30 aprile 2010

Mark Hollis - s-t (1998)

Ecco un artista che si ha motivo di rimpiangere.
Sono passati 10 anni da questo isolato episodio e non si scorge alcuna notizia del gentlemen di Tottenham, e temo che noi fan dovremo rassegnarci all'idea che non tornerà mai più.
Ci restano un pugno di dischi senza tempo, di cui ci possiamo accontentare. E non voglio neanche pensare che questo eponimo venne rilasciato per onorare e terminare il contratto con la Polydor, tanta è la bellezza pura ed incontaminata di questi 8 candidi lenzuoli di note e calma serafica.
Accompagnato dal solito ensemble da camera, Hollis li scrisse insieme a 3 musicisti sconosciuti che col rock non hanno nulla a che fare (Miller,Livesey,Ramacon). Il soul in moviola argentato di The colour of spring, praticamente una citazione del passato Talk Talk, apre ed è subito incantesimo. Inside looking out, unico pezzo scritto in solitudine, è scomposizione pianistica per chi ama perder(si) (nel) tempo, melodia immortale e fatalistica. E' comunque la chitarra classica a guidare le composizioni, come nella jazzata The gift, nell'agreste Westward bound, nella frizzante fanfara fiatistica di The daily planet.
Elegie del silenzio, degli squittii timidi degli ottoni, dei tocchi pesanti del double bass, della voce stentorea e fragile, delle spazzole a rimbalzare educatamente, del pianoforte nobilmente echeggiante, A life (1895-1915) e A new Jerusalem sono le perle definitive di un artista unico che ha fatto della propria integrità di vita (attenzione, non artistica) una roccaforte inespugnabile, persino dopo le sbornie anni '80 che potevano spazzarla via.

(originalmente pubblicato il 08/09/08)

5 commenti:

  1. Gran disco, Mark Hollis è uno dei pochi che ha scelto la musica invece dei "soldi facili".

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  2. Bè i soldi li ha comunque fatti a palate, tant'è che penso viva di rendita tutt'ora. Ma poi che musica ha scelto, ragazzi....

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  3. Vero, volevo dire che, come ad esempio David Sylvian e pochi altri, ha deciso di riunciare a continuare a fare palate di soldi facili :)
    Normalmente per i gruppi la strada è quella opposta.

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  4. Dunque, Mark Hollis.
    Abbiamo davanti a noi un artista che purtroppo per la maggioranza viene identificato con i primi successi "commerciali" (peraltro di grande qualità) della carriera, con gli sbrilluccicanti eighties, con tutte le orrende cover version di It's My Life.
    A ben guardare anche negli album commerciali c'erano segnali premonitori (Tomorrow Started?).
    Ad ogni modo, grande e misconosciuto artista.
    Ho avuto il piacere di vedere i Talk Talk in concerto agli inizi, furono piuttosto bravi anche se con un repertorio per forza limitato.

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  5. Bè a me piacciono tutt'ora anche It's my life e Such a shame. Era pop, ma Hollis e Friese-Greene avevano comunque una penna mooolto originale e di ricerca. E la loro salita verso l'eden è stato un percorso graduale, con passi ben calibrati e tangibili come dici tu...
    E dal vivo umanizzavano le songs con grande abilità (vedi uno dei primi post che ho fatto qui e il live al Montreaux Jazz Festival). Peccato che dopo abbiano smesso completamente di fare live, ma Hollis si sa, ha quel carattere lì, molto orso...

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