Perdersi nella sterminata discografia di Oldham è relativamente facile, anche per uno come me che lo ascolta dal 1994, ammira da sempre la sua semplicità e spontaneità nel fare musica e nel suo essere umano, come ebbi modo di verificare quando lo vidi suonare al Link nel 1999 e gli strinsi la mano complimentandomi mentre si aggirava per il locale nella maniera più naturale possibile. Il concerto invece non fu molto soddisfacente, ma più che altro per colpa di suo fratello Ned che dopo qualche pezzo, ubriaco fradicio, prima si mise a suonare su una sedia e poi cadde a terra esanime, fra l'indifferenza totale degli altri 4 che continuarono a suonare senza basso.
Summer in the Southeast è stata una boccata d'aria fresca nel panorama asfittico degli ultimi 5 anni del principino. Evidentemente ripagato da una crescente attenzione nei suoi confronti, continua a far uscire una media di 3 dischi all'anno, non sempre entusiasmanti. Il suo status di cantautore ormai classico però ne esce assolutamente rinforzato in questo live ispiratissimo e totalmente coinvolgente, dal primo all'ultimo pezzo. Andando a pescare in tutto il suo repertorio, appoggiato presumibilmente da un quartetto, Oldham dà vita ad un live infuocato ed elegante al tempo stesso, in cui grinta e classe viaggiano di pari passo. Stupiscono in primis due riletture d'epoca come Pushkin e A sucker's evening, che animate da ricchi arrangiamenti acquistano nuove e raggianti sembianze. Fra la moltitudine dei 17 pezzi tutto l'universo Oldhamiano viene percorso, sviscerato, animato e sezionato senza alcun pudore. L'abrasiva Master and everyone, la passionale Blokbuster, la lunare Wolf amongst wolves, la frenetica May always be, l'elegiaca I see a darkness, l'esplosiva O let it be, l'intimista Beast for three, la neil-younghiana Death to everyone, potrei elencarle tutte ma mi fermo qui.
Per farla breve, il miglior greatest-hits che potesse fare.
Summer in the Southeast è stata una boccata d'aria fresca nel panorama asfittico degli ultimi 5 anni del principino. Evidentemente ripagato da una crescente attenzione nei suoi confronti, continua a far uscire una media di 3 dischi all'anno, non sempre entusiasmanti. Il suo status di cantautore ormai classico però ne esce assolutamente rinforzato in questo live ispiratissimo e totalmente coinvolgente, dal primo all'ultimo pezzo. Andando a pescare in tutto il suo repertorio, appoggiato presumibilmente da un quartetto, Oldham dà vita ad un live infuocato ed elegante al tempo stesso, in cui grinta e classe viaggiano di pari passo. Stupiscono in primis due riletture d'epoca come Pushkin e A sucker's evening, che animate da ricchi arrangiamenti acquistano nuove e raggianti sembianze. Fra la moltitudine dei 17 pezzi tutto l'universo Oldhamiano viene percorso, sviscerato, animato e sezionato senza alcun pudore. L'abrasiva Master and everyone, la passionale Blokbuster, la lunare Wolf amongst wolves, la frenetica May always be, l'elegiaca I see a darkness, l'esplosiva O let it be, l'intimista Beast for three, la neil-younghiana Death to everyone, potrei elencarle tutte ma mi fermo qui.
Per farla breve, il miglior greatest-hits che potesse fare.
(originalmente pubblicato il 31/08/08)
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