Uno degli album più criticati, anzi il più aspramente criticato di Polly Jean. In realtà io credo che col tempo la sua maturità artistica sia notevolmente cresciuta; non che fosse scarsa agli inizi, soltanto che il suo songwriting e le scelte produttive l'hanno portata allo status di classicità, con quel trademark che non sconvolge la storia ma arricchisce (lentamente, ormai fa un disco ogni 3-4 anni) una discografia di grande livello. Nell'anno in cui uscì UHH la vidi all'Heineken Jamming Festival e rimasi ipnotizzato, nonostante fossi molto lontano dal palco. Una performer di indiscusso carisma, con una carica sexy notevole (checchè se ne dica dell'aspetto estetico, l'ho sempre trovata di un fascino magnetico irresistibile), alle prese con un breve set rovente e incentrato sui brani più grintosi, dalla patina vagamente aspra e metallica.
UHH contiene ben 14 pezzi, una raccolta completa di gran parte degli stili che la nostra ha toccato: a quanto pare scritto al termine di una storia d'amore, dato l'alone malinconico (quasi disperata a tratti) che circonda il tutto. La vetta di tutto il disco secondo me è It's you, uno degli apici assoluti di tutta la carriera; una vellutata ballata pianistica disturbata dalle pesanti vibrazioni di un basso fuzzato, una preghiera accorata che si innalza al cielo lasciva ed epica.
I brani più pesanti: l'apertura The life & death of Mr. Badmouth è già simbolo di quel contrasto che sarà presente in tutto l'arco del disco, quel mix di rabbia e dolore decantato con la classe e la naturalezza innata di questa magica ragazza. Shame procede in punta di piedi contrappuntata da una fisarmonica, Who the fuck un attacco frontale rimembrante i primi album, The letter ombrosa e potente, dal chorus quasi cosmico. Quasi tutta la seconda metà è cosparsa di ballad aggraziate eppure sanguinanti; You come through e The darker days of me and him, oltre alla già citata perla It's you, portano qualche squarcio di luce fra intermezzi di musica concreta (The End, Seagulls) che paiono essere dolenti colonne sonore della fine di un rapporto.
Un aspetto, quello intimista, che PJ amplificherà con splendidi risultati sull'ultimo White Chalk.
(originalmente pubblicato il 28/07/08)
UHH contiene ben 14 pezzi, una raccolta completa di gran parte degli stili che la nostra ha toccato: a quanto pare scritto al termine di una storia d'amore, dato l'alone malinconico (quasi disperata a tratti) che circonda il tutto. La vetta di tutto il disco secondo me è It's you, uno degli apici assoluti di tutta la carriera; una vellutata ballata pianistica disturbata dalle pesanti vibrazioni di un basso fuzzato, una preghiera accorata che si innalza al cielo lasciva ed epica.
I brani più pesanti: l'apertura The life & death of Mr. Badmouth è già simbolo di quel contrasto che sarà presente in tutto l'arco del disco, quel mix di rabbia e dolore decantato con la classe e la naturalezza innata di questa magica ragazza. Shame procede in punta di piedi contrappuntata da una fisarmonica, Who the fuck un attacco frontale rimembrante i primi album, The letter ombrosa e potente, dal chorus quasi cosmico. Quasi tutta la seconda metà è cosparsa di ballad aggraziate eppure sanguinanti; You come through e The darker days of me and him, oltre alla già citata perla It's you, portano qualche squarcio di luce fra intermezzi di musica concreta (The End, Seagulls) che paiono essere dolenti colonne sonore della fine di un rapporto.
Un aspetto, quello intimista, che PJ amplificherà con splendidi risultati sull'ultimo White Chalk.
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