mercoledì 28 aprile 2010

Spandau Ballet - Parade (1984)

Per molti anni, circa una ventina, ho completamente rinnegato la musica che aveva fatto da sottofondo massiccio alla mia infanzia. Era la metà degli anni '80 e gli Spandau Ballet erano un complesso di oceanico successo, soprattutto in Italia. Mio fratello li suonava continuamente e il mio orecchio curioso ed acerbo mandava inevitabilmente a memoria tutti i pezzi dei loro primi 4 dischi. Poi vennero i Cure, il grunge, tante altre cose e ho mughinamente aborrito (si dice cosi??) la musica di quegli anni, relegandola ad orrenda preistoria plastificata.
Soltanto l'anno scorso, quasi per puro caso, mi sono reimbattuto nei dischi degli Spandau e li ho rivalutati in maniera significativa. Non per spirito di revival puro a se stesso (o per mancanza dell'infanzia), ma per soggettivo giudizio globale. Gli SB erano dediti ad un pop-rock tipicamente anni '80, ma lo deponevano con indubbia classe e grosse capacità tecniche.
Il frontman Tony Hadley era l'elemento di spicco del quintetto, il più immortalato e adorato. Era (e credo lo sia ancora) un immenso cantante, dalla voce potente e limpida, con molta estensione ed espressività da vendere. Credo sia stato uno dei più grandi vocalist bianchi della storia del pop-rock. Ma le folle di fan adoranti e la stupida stampa non si curavano minimamente del fatto che l'unico artefice del SB sound era il chitarrista Gary Kemp, unico compositore del repertorio. Indubbiamente le produzioni risentivano di certi viziacci usuali degli anni: quelle batterie plastificate e acide (un peccato per un buon batterista come Keeble), e certi suoni di synth troppo edulcorati (un peccato per il tastierista, fra l'altro valente pianista che non figurerà mai nella line-up e resterà sempre nell'ombra, forse non era abbastanza bello!). Ma in questo Parade, 4° disco e segnale di chiara conquista di tutta l'Europa, ci sono 8 pezzi che fondamentalmente avevano un cuore pulsante. Ben lontani dallo sfornare pop insensato, gli inglesi mettevano da parte certe sonorità elettro-funk dei primi dischi e si dedicavano semplicemente a canzoni, ben strutturate, appassionate ed emozionali. La maestria esecutiva oltretutto era dalla loro parte; la sezione ritmica era fondamentale e non si faceva mai sotterrare dai 2 solisti principali, essendo Kemp molto funzionale ai pezzi. Only when you leave è già di per se un piccolo capolavoro: riff fluido di chitarra, bridge epico, la splendida voce sugli scudi, curatissima anche nei cori. I'll fly for you diventerà uno dei loro più grandi successi, un pezzo da spiaggia tropicale, con protagonista Norman al sax. Nature of the beast incupisce un attimo l'atmosfera prima di diventare potentissima. Always in the back of my mind, seppur considerato minore, si fa notare per il suo piglio deciso e lo splendido ritornello. Verso la fine, il pezzo più bello, With the pride, manifesto del loro emo-pop dalle movenze marziali e romantiche al tempo stesso: Hadley dà tutto se stesso, e il passaggio al minuto 3:20 è letteralmente da pelle d'oca, con un altro grande solo di Norman ed un finale che sfuma mentre si vorrebbe non finisse mai....
I due dischi successivi sfigureranno un po' al confronto, e col decennio si chiuderanno degnamente le loro trasmissioni. Nessuna reunion patetica.

(originalmente pubblicato il 21/07/08)

1 commento:

  1. La reunion c'è stata, ma per fortuna è stata grandiosa e non patetica. Parade (1984) è un album pop straordinario, mainstream sì ma di gran gusto e classe, oro puro soprattutto in confronto alle porcherie che girano oggi con gruppetti afoni e battone della statale spacciate per cantanti che fanno della volgarità e del pessimo gusto la loro bandiera. Un bellissimo disco da ascoltare e riascoltare, per chi all'epoca c'era e per chi si è perso (come me) quegli anni meravigliosi. Lunga vita agli Spandau Ballet (pur essendo io duraniano!)

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