Un live grondante sangue e passione. La prima formazione degli Idaho, con John Barry e un paio di amici alla ritmica ed alla batteria, era in tour per promuovere Year after year. Jeff Martin nel 2000 decise di ripescarlo dagli archivi per darlo in pasto ai fans, inaugurando così la autarchica Idaho Records.
Nelle note di copertina la precisazione è d'obbligo; queste sono registrazioni lo-fi, la qualità è da bootleg, ma chi se ne importa. Dal vivo Martin dava sfoggio della sua grande voce, potente e profondissima. Barry dava sfogo alla sua sporchissima Telecaster intrisa di feedback, autentica lanciafiamme di slow-core urticante e riflessivo.
La colonna portante risiede ovviamente nelle perle di YAY; Here to go apre con la sua intro galattica, il basso fuzzato di Martin e gli echi di Barry. Per me, fan incorruttibile, la pelle d'oca è garantita anche al millesimo ascolto dell'attacco della batteria, dell'escalation vocale, del finale infernale. Così come per la rallentatissima Gone, un fuoco fatuo e tristissimo che sul palco guadagna dimensione e profondità. Per non parlare di God's green earth, leggendaria sequenza di accordi, pilastro inamovibile del repertorio intero (anche se la migliore versione Martin la registrerà 7 anni più tardi, in un rehersal del tour di Hearts of palm).
Fall around era nel primo EP, viene qui riproposta con meno feedback e un'altra grande prova di Martin. Creep subisce un trattamento torch-song da brivido, You are there viene indurita fino alla stasi. In mezzo ai vari intermezzi atmosferici (le varie Segues), c'era spazio anche per due brani oscurissimi del repertorio: Star, retro di uno dei primi 7", fa filtrare un filo di luce dalle persiane grazie alla sua melodia disincantata. La baldanzosa Tear invece resterà sempre inedita, anticipando le cadenze un po' più ravvivate del disco che seguirà l'anno successivo.
Only for slow-core fans.
(originalmente pubblicato il 18/06/08)
Nelle note di copertina la precisazione è d'obbligo; queste sono registrazioni lo-fi, la qualità è da bootleg, ma chi se ne importa. Dal vivo Martin dava sfoggio della sua grande voce, potente e profondissima. Barry dava sfogo alla sua sporchissima Telecaster intrisa di feedback, autentica lanciafiamme di slow-core urticante e riflessivo.
La colonna portante risiede ovviamente nelle perle di YAY; Here to go apre con la sua intro galattica, il basso fuzzato di Martin e gli echi di Barry. Per me, fan incorruttibile, la pelle d'oca è garantita anche al millesimo ascolto dell'attacco della batteria, dell'escalation vocale, del finale infernale. Così come per la rallentatissima Gone, un fuoco fatuo e tristissimo che sul palco guadagna dimensione e profondità. Per non parlare di God's green earth, leggendaria sequenza di accordi, pilastro inamovibile del repertorio intero (anche se la migliore versione Martin la registrerà 7 anni più tardi, in un rehersal del tour di Hearts of palm).
Fall around era nel primo EP, viene qui riproposta con meno feedback e un'altra grande prova di Martin. Creep subisce un trattamento torch-song da brivido, You are there viene indurita fino alla stasi. In mezzo ai vari intermezzi atmosferici (le varie Segues), c'era spazio anche per due brani oscurissimi del repertorio: Star, retro di uno dei primi 7", fa filtrare un filo di luce dalle persiane grazie alla sua melodia disincantata. La baldanzosa Tear invece resterà sempre inedita, anticipando le cadenze un po' più ravvivate del disco che seguirà l'anno successivo.
Only for slow-core fans.
(originalmente pubblicato il 18/06/08)
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