mercoledì 28 aprile 2010

Oneida - Happy new year (2006)

Quello che mi piace in gruppi come i Liars e gli Oneida è quella follia sottile che è senz'altro retaggio dei grandi sperimentatori di 30 anni fa e oltre, ma tiene molto bene i piedi nel presente.
Quasi lo specchio della civiltà attuale, almeno per come lo percepisco io; è una follia che non è più iconoclasta come quella dei grandi maestri, ma che ormai è talmente radicata quasi da passare inosservata al giorno d'oggi. Eppure i risultati artistici ci sono, eccome, questi ragazzi fortunatamente hanno piena libertà di sperimentare, vivendo al di fuori del circuito major, e si beccano pure i complimenti della stampa specializzata. E poi per il momento hanno tenuto a bada quello che oggi è un problema molto grosso, ovvero l'incontinenza produttiva....
Happy new year, ottavo disco in 10 anni per gli Oneida, stemperava un po' gli eccessi dei precedenti e confezionava una raccolta gradevolissima in bilico fra melodia e stranezze. Una litania ragaggiante come Distress apre in maniera disorientante, i cori misticheggianti e le punteggiature di piano elettrico riportano al folk psichedelico di 40 anni fa. Sempre sui generis Busy little bee, guidata dal banjo; la splendida Reckoning, con melodia cristallina, voci tremolanti, bordate di simil-mellotron, potrebbe essere stata concepita dai Family dei primi dischi. Thank your parent procede ipnotica per 7 minuti, sorretta da un refrain di piano, ritmica meccanica e cori dissonanti.
Contrapposti ai pezzi melodici, ci sono le loro classiche incursioni pazze a vivacizzare: lastre scottanti di synth sorreggono la title-track, bordate in stile Trans Am (con il batterista Kid Millions in evidenza) su The adversary. Pointing fingers è una meditazione da centrale nucleare, History's great navigators un honky-tonk per saloon di alieni. You can never tell e The misfit sono i Can di Soon over Babaluma teletrasportati a New York.
Ma il pezzo che stravince su tutti gli altri è Up with People, un masterpiece schizoide che non riesco a smettere di ascoltare. E' un ballo di San Vito in piena regola, è un giro nella lavatrice con quelle micro-punte di synth che ti ossessionano, ti entrano nel cervello, il refrain vocale così pop ed innocente che per un attimo ferma tutto, e poi riparte la macellazione, lo stridente circolo vizioso che non finisce mai, non finisce mai e poi finisce di botto.
Un lavaggio assolutamente geniale.

(originalmente pubblicato il 21/07/08)

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