Un gruppo spinoso e spigoloso, ostico come pochi.
Si è detto spesso che i Madrigali Magri esponevano in musica il loro ambiente di provenienza, il basso Piemonte. Ed ascoltando Negarville mi tornano in mente, in effetti, le stazioni ferroviarie desolanti di Voghera e Tortona, immerse nella nebbia di una notte di gennaio.
Una destrutturazione estremista, quella dei MM. Sebbene siano stati paragonati a Slint o a Gastr Del Sol, nel loro sound c'era una netta predominanza di ombre rispetto alle luci. Io li definirei piuttosto degli Storm & Stress per niente auto-compiacenti, per nulla allegri, magari meno improvvisati ma comunque molto seri e concreti e decisamente troppo sperimentali, anche solo per poter ricavarsi un piccolo pubblico, figuriamoci in Italia... Difatti mi stupisce che comunque siano durati 10 anni, segno inconfutabile di una grande unione e passione da parte di Succi e compagni.
C'era in loro un senso cinematico-letterario, anche solo per il recitato al di sotto della soglia dell'udibile. A pezzi ritmicamente sostenuti come Un posto per un altro o Esco obliquo rispondevano le brumose schiume di Negarville, Giorno è notte, Porte dell'inverno, fra le cose migliori di un disco sospeso in un limbo indefinibile fatto di contrappunti fiacchi di chitarre, di bacchette spaiate, di bassi che si facevano sentire meno del necessario, di brevi ondate repentine di rumore, di quella voce che anche a mettersi lì con l'orecchio sulla cassa non la potevi capire, ma soprattutto di vuoti, un disco di vuoti a rendere per chi ha le orecchie ultra-aperte.
Coraggiosi ed indefinibili.
Si è detto spesso che i Madrigali Magri esponevano in musica il loro ambiente di provenienza, il basso Piemonte. Ed ascoltando Negarville mi tornano in mente, in effetti, le stazioni ferroviarie desolanti di Voghera e Tortona, immerse nella nebbia di una notte di gennaio.
Una destrutturazione estremista, quella dei MM. Sebbene siano stati paragonati a Slint o a Gastr Del Sol, nel loro sound c'era una netta predominanza di ombre rispetto alle luci. Io li definirei piuttosto degli Storm & Stress per niente auto-compiacenti, per nulla allegri, magari meno improvvisati ma comunque molto seri e concreti e decisamente troppo sperimentali, anche solo per poter ricavarsi un piccolo pubblico, figuriamoci in Italia... Difatti mi stupisce che comunque siano durati 10 anni, segno inconfutabile di una grande unione e passione da parte di Succi e compagni.
C'era in loro un senso cinematico-letterario, anche solo per il recitato al di sotto della soglia dell'udibile. A pezzi ritmicamente sostenuti come Un posto per un altro o Esco obliquo rispondevano le brumose schiume di Negarville, Giorno è notte, Porte dell'inverno, fra le cose migliori di un disco sospeso in un limbo indefinibile fatto di contrappunti fiacchi di chitarre, di bacchette spaiate, di bassi che si facevano sentire meno del necessario, di brevi ondate repentine di rumore, di quella voce che anche a mettersi lì con l'orecchio sulla cassa non la potevi capire, ma soprattutto di vuoti, un disco di vuoti a rendere per chi ha le orecchie ultra-aperte.
Coraggiosi ed indefinibili.
(originalmente pubblicato il 07/07/08)
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