domenica 25 aprile 2010

Supreme Dicks - The emotional plague (1996)

Mi sono sempre divertito a fantasticare su come si sarebbe evoluta la carriera musicale di Tim Buckley se non si fosse prematuramente autodistrutto (non come avrebbe cantato, perchè sarebbe impensabile vista la sua grandezza, ma solo le sonorità). Nel 1983 sarebbe stato etereo come i This Mortal Coil, nel 1989 avrebbe suonato il post-jazz isolazionista dei Talk Talk. Invece nel 1996, se fosse stato abbandonato a se stesso, senza voce, con un bel po' di depressione e droga in corpo, secondo me avrebbe suonato esattamente come questi americani Supreme Dicks.
Un quartetto di freaks dalla filosofia di vita quantomeno bizzarra (regole fondamentali vegetarianesimo e celibato, ma non so quanto facevano sul serio...) e dalle sonorità incredibilmente strane.
Musica reietta, fuori dal tempo e dallo spazio. A partire dal grande titolo, la peste emozionale, quasi una metafora della nostra era. I SD erano destinati ad auto-terminarsi dopo la pubblicazione di questo mattone di 70 minuti, courtesy della benemerita Homestead Records.
Musica allucinata, assolutamente impossibile da categorizzare. Chiaramente la psichedelia recita una parte decisiva in questi 14 incubi sospesi nel vuoto, ma il susseguirsi delle strutture è talmente privo di senso che all'ascolto si rimane inevitabilmente straniati. Il tutto senza l'ombra di ogni forma di basso, solo con batteria fantasma e 3 chitarre a farla da padrone.
Musica difficilissima. Fu Stefano I.Bianchi di Blow Up a decantare le gesta dissolute dei SD e a farmi venire voglia di ascoltarli. Ancora oggi credo che The emotional plague sia un capolavoro di isolazionismo e sballo psico-acustico-fisico.
Le tracce più accessibili sono ben poche. Cuchulain è un jingle-jangle rilassato con l'unico straccio di melodia cantata. Along a bearded glade è uno strumentale ozioso ed ironico nel suo cantilenare. Swell song, nonostante una intro malinconica, esplode in un motivo maggiore.
Il paragone con il Buckley spaziale di Lorca e Starsailor è da prendere unicamente a livello spirituale, chè ovviamente a livello tecnico erano due cose molto differenti. Ma le sciabolate atonali, i bisbigli in punta di dita, la mancanza di ritmo ed una totale levitazione dei sensi mi fanno pensare soltanto a questo ricordo. Il carillon horror di Synaesthesia, la ribollente progressione di Columnated ruins, il desolato paesaggio post-nucleare di Showered e Green wings fly adventure, lo stomp sfigurato di A donkey's burial. Poi l'inconcepibile girandola di effetti di Adoration de l'agneau mystique, che in 7 minuti passa da fiati free-jazz a bordoni riverberati di chitarre acide, da un motivo rassicurante ad una ubriaca preghiera collettiva senza alcuna cognizione di causa. Siberian penal colony inizia con l'unico minuto aggressivo di tutto il disco, ma è solo un'illusione; si tratta di un'altra mini suite in cui chitarre flangerizzate cedono il passo ad uno schema epico ed ombroso.
Il mio pezzo preferito è Porridge for the calydonian boar, lo zenith espressivo di 10 minuti. L'incedere è ripetitivo e lento, l'impasto di chitarre genera una litania dimessa e fatale. Il bisbiglio di Oxenberg è stonato così come il lamento di flauto in sottofondo.
Avrei tanto voluto che Tim non fosse morto e avesse potuto cantare, con discrezione, su questa gemma da pelle d'oca.

(originalmente pubblicato il 05/05/08)

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