Occorre rendere onore, a 20 anni di distanza, ad uno dei grandi capolavori del rock alternativo americano. Dopo un esordio un po' acerbo ma foriero di speranze, il power-trio partorì una prova a tutt'oggi insuperabile (sono rimasto un po' deluso dal nuovo Beyond, per non parlare di un live bootleg a Los Angeles di 2 anni fa che circola in rete che immortala un gruppo irriconoscibile, assolutamente scandaloso!).
Di solito amo ascoltarlo in cuffia nel mio Zen mentre faccio jogging, perchè mi dà energia e resistenza. Un pezzo come Kracked non calerà mai la propria tensione, con quei sismi apocalittici di chitarra, qui terremoti di batteria e quelle ruvidezze di basso. Se il grunge si potesse inquadrare in un'arte onorevole, lo promuoverei ad inno assoluto.
Mascis, Barlow e Murph avevano trovato una fotosintesi assolutamente brillante: unire Neil Young con l'hardcore, mixando il tutto con una malcelata svogliatezza da slackers. L'incubo paranoico di Sludgefeast lascia posto alla frizzantissima The Lung, dall'attacco assolutamente irresistibile. Il loro melodismo roccioso trova un fondamento di malinconia tipicamente younghiana in Raisans e Tarpit, solo che al posto del tocco felpato dei Crazy Horse troviamo i passi mid-tempo di un panzer appesantito nel fango. E il cantato di Mascis è tutt'altro che impeccabile tecnicamente, ma che senso avrebbe qualcosa di perfetto nel sound? La ricerca di un power-pop effervescente si manifesta con In a Jar e Show me the way, caramelle rivestite da una scorza durissima. Nel contesto generale sembra un po' estraniato Poledo, l'unico pezzo firmato da Barlow, un folk perverso e allucinato da noise inquietanti.
Con i dischi successivi non riusciranno a ripetere il miracolo, anche se sono rimasti ad un ottimo livello.
(Originalmente pubblicato il 08/02/2008)
Di solito amo ascoltarlo in cuffia nel mio Zen mentre faccio jogging, perchè mi dà energia e resistenza. Un pezzo come Kracked non calerà mai la propria tensione, con quei sismi apocalittici di chitarra, qui terremoti di batteria e quelle ruvidezze di basso. Se il grunge si potesse inquadrare in un'arte onorevole, lo promuoverei ad inno assoluto.
Mascis, Barlow e Murph avevano trovato una fotosintesi assolutamente brillante: unire Neil Young con l'hardcore, mixando il tutto con una malcelata svogliatezza da slackers. L'incubo paranoico di Sludgefeast lascia posto alla frizzantissima The Lung, dall'attacco assolutamente irresistibile. Il loro melodismo roccioso trova un fondamento di malinconia tipicamente younghiana in Raisans e Tarpit, solo che al posto del tocco felpato dei Crazy Horse troviamo i passi mid-tempo di un panzer appesantito nel fango. E il cantato di Mascis è tutt'altro che impeccabile tecnicamente, ma che senso avrebbe qualcosa di perfetto nel sound? La ricerca di un power-pop effervescente si manifesta con In a Jar e Show me the way, caramelle rivestite da una scorza durissima. Nel contesto generale sembra un po' estraniato Poledo, l'unico pezzo firmato da Barlow, un folk perverso e allucinato da noise inquietanti.
Con i dischi successivi non riusciranno a ripetere il miracolo, anche se sono rimasti ad un ottimo livello.
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