domenica 25 aprile 2010

Red House Painters - Down Colorfull Hill (1992)

Ricordo che su un vecchio numero di Rockerilla vidi questa foto, lessi l'intervista di Costamagna e rimasi subito affascinato dall'aura di semplicità che emanavano le parole lapidarie di Mark Kozelek. Fu il benemerito Mark Eitzel a scoprire e le canzoni di questo ragazzo dal passato tormentato, fatto di un'adolescenza tossica e metallara, motociclette e donne...Ma la gioventù bruciata fu poi redenta, producendo nel buon Mark una spiccata vena cantautoriale, oltre che un anima perennemente tormentata come si intravede nei testi. Eitzel passò prontamente ad Ivo della 4AD un demo (la cui versione integrale uscirà anni dopo) che, saltando letteralmente sulla sedia all'ascolto, decise di pubblicarne un sampler così com'era, 6 pezzi, Down Colorfull Hill.
Kozelek era nativo della Georgia ma alla fine si era trasferito a San Franscisco insieme ad Anthony Koutsos, l'unico personaggio che a tutt'oggi lo segue fedelmente. Reclutati Gorden Mack e Jerry Vessel, i RHP iniziarono il loro percorso indolente ed emozionale. Negli anni di grazia del grunge c'erano già i Codeine ad insegnare a tutti come si faceva a rallentare i ritmi fino alla stasi, ma Kozelek lo fece con uno spleen fondamentalmente diverso. Indubbiamente la matrice era quella dei grandi cantautori e del folk, ma l'impronta di una grande personalità ed un emozionalità incredibile marchiò a fuoco fin da subito la sua stellare produzione.
24 è il primo flusso di coscienza, una divagazione sull'età che aveva raggiunto nel 1992 ma che gli sembrava un secolo di vita. Gli arpeggi e il ritmo sono vivisezionati con eleganza, grazia e raffinatezza. Un masterpiece dall'aria serena e vagamente malinconica, il cui assolo finale è talmente elementare che anch'io potrei imparare a farlo, ma perdio, ho sempre saputo che suonare lento è più difficile che suonare veloce! La voce è profonda e matura, con uno di quei timbri che non hai mai sentito prima ma già ti sembra un classico.
Medicine Bottle ha una profondità quasi dark, si dipana lungo 10 minuti in cui un feedback è appena udibile sotto la soglia dell'udito, scoria latente nell'animo di questo secondo capolavoro.
La title track è la terza gemma, una marcetta luminescente che si evolve in un imponente movimento scandito da vocalizzi riverberati, da chitarre finalmente libere di svolazzare, il tutto sempre nel tempo medio-lento. Il terzo ed ultimo movimento riporta tutto alla quiete, e Mark Kozelek entra già di diritto nell'olimpo dei miei preferiti di tutti i tempi.
Japanese to english è una scheggia di malinconia infinita conficcata; la lontananza da casa a soli 18 anni, questa giapponese che non si capisce, seduti da soli sulla spiaggia. Questo dizionario non è semplice e non ha mai una parola per poter descrivere ciò che si prova.... Quarto pezzo e quarto episodio che rimane impresso nell'anima.
Si chiude con un pizzico di solarità in più, Lord kill the pain addirittura velocizza il tema con le chitarre distorte, Michael è un canto accorato di nostalgia per un amico perso.
Un esordio da lasciare a bocca aperta, ma l'anno dopo rilanceranno in maniera eccezionale con i due eponimi, l'ottovolante + il ponte.
Un vero peccato che Kozelek non sia riuscito a mantenere questa intensità col passare degli anni. Non so se sia dipeso dal distacco da Mack e Vessel, ma i passi falsi che ha commesso (vedi gli album di cover davvero evitabili, ma anche ciò che ha fatto con i Sun Kil Moon non è stato certo formidabile) non scalfiscono di una virgola la produzione indimenticabile dei primi RHP.

(originalmente pubblicato il 24/04/08)

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