I Peach (il GB si usa per non confonderli con gli omonimi americani attivi negli stessi anni) sono stati uno di quei gruppi veramente sfigati nel vero senso della parola, perchè le disavventure che si sono susseguite nella breve carriera hanno impedito loro di riscuotere un successo che probabilmente sarebbe arrivato. Dico così perchè all'inizio il loro percorso era affine e parallelo a quello dei Tool, con cui fecero un tour nel 1993. Prospettive post-metal apocalittiche e complesse, lezioni grunge assimilate, lontane ma nobili radici progressive (qui c'è addirittura una cover di Catfood dei King Crimson), un buon tasso tecnico. Se le intenzioni di partenza erano molto buone, il genere di fatto con gli anni è diventato pressochè da supermarket, non certo per colpa oggettiva di gruppi come Tool o Korn, che fanno il loro mestiere con bravura e professionalità. Semplicemente il nu-metal è stato promosso a musica di consumo dalle case discografiche americane che, in cerca della new big thing, hanno ben pensato di promuovere una miriade di gruppi inutili e dannosi che hanno svilito il mercato al servizio dei teenager assetati.
Comunque, i Peach di questo disco non erano per niente male e anticipavano non poco quelle tendenze future. Fra le loro sfighe maggiori c'era quella del nome che era già in mano a dei mediocri americani, quella del secondo disco che pronto per essere pubblicato fu messo in uno scaffale dalla casa discografica in fallimento, e ultima la perdita del valente bassista che accettò l'invito dei Tool stessi, facendo l'affare della propria vita.
Giving birth to a stone era un fascio di canzoni ben fatte e variegate; i muri di chitarra lasciavano intravedere un melodismo epico diretto discendente del doom e dal progressive anni '70 ma abilmente mixato con vaghe reminescenze new-wave. Forse il cantante non era particolarmente dotato e il prodotto finale era sostanzialmente acerbo, ma le premesse erano molto buone e avrebbero meritato un altra possibilità, senza dubbio.
Comunque, i Peach di questo disco non erano per niente male e anticipavano non poco quelle tendenze future. Fra le loro sfighe maggiori c'era quella del nome che era già in mano a dei mediocri americani, quella del secondo disco che pronto per essere pubblicato fu messo in uno scaffale dalla casa discografica in fallimento, e ultima la perdita del valente bassista che accettò l'invito dei Tool stessi, facendo l'affare della propria vita.
Giving birth to a stone era un fascio di canzoni ben fatte e variegate; i muri di chitarra lasciavano intravedere un melodismo epico diretto discendente del doom e dal progressive anni '70 ma abilmente mixato con vaghe reminescenze new-wave. Forse il cantante non era particolarmente dotato e il prodotto finale era sostanzialmente acerbo, ma le premesse erano molto buone e avrebbero meritato un altra possibilità, senza dubbio.
(originalmente pubblicato il 18/05/08)
Nessun commento:
Posta un commento