martedì 4 maggio 2010

Echo & The Bunnymen - Heaven up there (1981)

Sicuramente il miglior disco di McCulloch & co., anche se non ci sono gli anthem di Crocodiles come Villiers Terrace o Stars are Stars. Heaven up there gode di una compattezza qualitativa immane, con songwriting ispirato da cima a fondo. Il crooning del vocalist alterna fasi tenorili a implosioni schizofreniche, Sargeant sfodera riff pungenti dalla sua anima eternamente psichedelica. I clangori gotici di Show of strenght danno il via alle danze, e subito si capisce che gli Interpol hanno pescato a piene mani anche da qui oltre che dai JD. Il funk cadenzato di With a hip, le atmosfere panoramiche di Over the wall, il glam permeato da lussuriose lustrine scure di A promise e It was a pleasure, il disco procede accessibile (avrebbero meritato più successo, questo è chiaro) ma con una perdizione di fondo che ben si addiceva a 2 anime diametralmente opposte come i due leader (teatralità vs. psichedelia). La title-track è il pezzo migliore; una corsa a rotta di collo, con McCulloch invasato e la ritmica al galoppo. Si gira il lato e arrivano le perle sperimentali, The disease e All my colours sono esplorazioni dell'anima, girovagare nella coscienza amplificata, Velvet vs. Doors. In chiusura si torna a temi più confidenziali con Turquoise Days, All I Want, No dark things. La ristampa del 2003 ha aggiunto 4 songs dal vivo da qui estratte con gli uomini-conigli in grandissima forma e un'inedito, Broke my neck.
Un disco imprescindibile per la new-wave.

(originalmente pubblicato il 22/09/08)

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